« Dal protestantesimo e dall'illuminismo, il marxismo del movimento operaio non aveva "ereditato" solamente una metafisica del lavoro - vista come ontologia del lavoro - e un "ethos del lavoro", ma anche le relazioni di genere di un patriarcato oggettivato sotto quella forma in cui i momenti della riproduzione sociale che non potevano essere dissolti in valore si trovavano dissociati, oltre a essere in gran parte determinati come "femminili" e scaricati sulle donne. Negli anni 90, la critica del valore si era pertanto sviluppata nel senso di una critica delle relazioni dissociative legate al valore. Secondo questa critica, la dissociazione è "co-originariamente" legata al lavoro astratto; non è qualcosa di secondario, di derivato. A essere costitutive del capitalismo, non sono solo le forme politico-economiche viste come apparentemente neutre - dal punto di vista del genere del moderno sistema produttore di merci - ma lo è anche la relazione di dissociazione - valore che viene assunta in un senso assai più ampio, vale a dire, come "sesso del capitalismo" o come patriarcato produttore di merci. Tutto ciò ha una doppia conseguenza.
In primo luogo, apre una nuova dimensione per quel che riguarda la critica della conoscenza, a partire dal fatto che tutta la storia che va dalla teoria dall'Illuminismo in poi - ivi incluso il marxismo - si trova racchiusa nel quadro di una falsa universalità che si basa sulla relazione di dissociazione. Il linguaggio teorico moderno in sé, in quanto tale, con il suo apparato concettuale, rimane legato a tale quadro, vale a dire che quel linguaggio si muove nell'orizzonte di una costruzione teorica androcentrica e universalista. Estendere la critica del valore alla critica della dissociazione, comporta quindi assumersi il compito di dinamizzare il quadro concettuale moderno. Ciò pone dei notevoli problemi di rappresentazione, i quali sono ben lontani dall'essere risolti. La difficoltà si riflette perfino anche in ciò che appare esso stesso come se si trattasse di un ingombro: la doppia denominazione di un nuovo sviluppo teorico che assume il nome di critica della dissociazione - valore. Del resto, questa teoria della dissociazione del valore implica anche un corrispondente allargamento della critica che deve andare al di là del femminismo attuale, il quale invece - come il movimento operaio - si era finora limitato solo a quello spazio di manovra offerto dal moderno rapporto feticista. In questo senso, prevale anche qui la medesima rottura fondamentale, sia rispetto alla giustificazione dell'azione rivoluzionaria sia rispetto alla critica del lavoro: la critica della dissociazione - valore non difende più il mero punto di vista di un interesse, o di un'identità sessuale considerata nell'involucro-forma esistente, ma mira piuttosto alla lacerazione di questo involucro, e con ciò mira anche al superamento del patriarcato oggettivato della modernità, che si trova inscritto nella forma astratta universale della società.
Pertanto, nella costruzione teorica, così come nella determinazione dell'azione rivoluzionaria, quella che appare è una relazione di tensione tra una critica del valore androcentrica e universalista (vale a dire, limitata, tronca) e una critica della dissociazione - valore, che però rimane ancora da fare. »
- Robert Kurz - (Cfr. Roswitha Scholz, Il sesso del capitalismo)
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