Nel commentare Baudelaire e il XIX secolo (la lirica, il capitalismo, la vita nelle grandi città), Walter Benjamin stabilisce un legame tra l'autore dei "Fiori del male" e l'autore del "Cimitero marino", vale a dire Paul Valéry. Per Benjamin, Valéry si assume il compito di descrivere la discrepanza tra «vita naturale» e «arte»; che evidenzia in maniera esponenziale mediante la trasformazione di quelle che sono le «tecniche» di cattura del reale e di produzione delle diverse arti. A Benjamin, Valéry appare quasi come se fosse un attualizzatore delle intuizioni di Baudelaire: tanto in quelle espresse nella sua poesia, quanto in quelle che emergono nelle sue riflessioni a proposito delle «crisi» dello «spirito» e che indicano tutte un'insufficienza dell'umano di fronte al proliferare di dispositivi, di tecniche e di tecnologie: come può l'arte funzionare come se fosse una sorta di stazione di registrazione degli stimoli? Come se l'arte risiedesse in una qualche sorta di archivio di annotazioni, le quali hanno smesso di passare dalla soggettività, ma che invece procedono e si esprimono attraverso il puro scambio di quanto viene «emesso» e poi viene organizzato grazie ai dispositivi, e proprio a partire dai dispositivi?
Da questa prima triangolazione (Baudelaire/Valéry/Benjamin) ne corrisponderà poi una seconda, successiva (Foucault/Deleuze/Agamben), che a sua volta poi organizzerà alcune relazioni tra dispositivo e creazione. E arriviamo così a ciò che proviene dall'esperienza di lettura dell'opera di David Markson, la quale per l'appunto passa proprio attraverso questi elementi.
I suoi «romanzi», infatti, non sono soltanto un insieme di frammenti che arrivano a sfidare il gesto automatico del lettore, il quale poi gli «dà un senso» (quello di articolare il manifestarsi dei frammenti in un insieme provvisorio); simultaneamente, parallelamente, Markson riesce a rendere «fantasmatico» o «spettrale» perfino il soggetto stesso che si muove nel frammento, rendendolo in qualche modo senza né sfondo né sostanza (un soggetto, la cui materialità consiste della bobina della macchina da scrivere, o meglio della scatola di scarpe dove teneva i chip di memoria prima del processo di montaggio-trasformazione in «romanzo»). Prima di riferirsi a una qualche voce centralizzata di un autore, i frammenti di Markson fanno riferimento proprio alla disposizione stessa del frammento sulla pagina, corrisponde al movimento di archiviazione di questi frammenti considerati rispetto a un tutto mai realizzabile o attualizzabile, sempre in divenire, in processo.
fonte: Um túnel no fim da luz
Nessun commento:
Posta un commento