C'è un interessante passaggio tratto da "Il progetto Lazarus", di Aleksandar Hemon, il suo unico romanzo pubblicato originariamente nel 2008 (lo stesso anno di "Uomo nel buio", un romanzo di Paul Auster che commenta anch'esso il rapporto tra immagine e violenza, facendo riferimento alla registrazione di una decapitazione in Iraq): nel libro, il narratore è un rifugiato di Sarajevo che vive da molti anni a Chicago (esattamente come lo stesso Hemon, sebbene non sia questo il suo nome), vince una borsa di studio per scrivere un libro, e va nell'Europa dell'Est insieme a una sua amica fotografa, Rora (ogni capitolo del romanzo di Hemon ha inizio con un'immagine, alcune tratte dagli archivi della Chicago Historical Society, altre realizzate da Velibor Božovic, che il lettore immagina sia il "modello" di Rora).
Alla fine di uno dei capitoli, quando il narratore e la fotografa sono già in viaggio, il primo si lascia andare a racontare ancora più dettagli su quelle che sono state le sue dinamiche domestico-familiari, parla dei suoi litigi con la moglie e, in questo caso specifico, parla di una discussione che hanno avuto a proposito delle immagini di tortura prese ad Abu Ghraib (lui scandalizzato, lei invece contemplandola a partire dalla sua prospettiva «puramente americana»). Dopo un lungo paragrafo sui disaccordi della coppia, il narratore interrompe bruscamente il flusso e dà inizio a un nuovo paragrafo (l'ultimo del capitolo):
« In particolar modo a Rambo piaceva quando scattavo foto dei morti per poi guardarle in un secondo tempo, disse Rora. Lo eccitava - era quello il suo cazzo grosso, il suo potere assoluto: essere vivo in mezzo alla morte. Tutto si riduceva a questo: i morti avevano torto, i vivi ragione. Il punto è che chiunque sia mai stato fotografato è morto o lo sarà. Ecco perché nessuno mi fotografa. Io voglio restare al di qua dello scatto» (nella traduzione italiana, p. 197).
Rambo è uno dei "caudillos" della guerra di Bosnia a cui Rora si riferisce continuamente durante il romanzo (quasi un contributo all'analisi di Sarmiento e Adorno sulla "personalità autoritaria"). Per quanto breve, la riflessione di Rora appare interessante sotto due aspetti: il modo in cui, in forma condensata, collega la fotografia alla morte, così come hanno fatto Benjamin, Sontag e Barthes; il modo in cui mette in relazione la registrazione visuale dei morti con il "potere assoluto" e con "l'eccitazione", poiché, ai fini del mantenimento dell'autorità, è centrale «essere vivi in mezzo alla morte»; qualcosa che si trova anche al centro dell'argomentazione di Elias Canetti in "Massa e Potere", per esempio, allorché parla de «Il potente come sopravvissuto» e dell'«avversione dei potenti per i sopravvissuti», oppure anche dei «morti, visti come coloro che sono sopravvissuti».
fonte: Um túnel no fim da luz
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