«Si può tranquillamente affermare che in queste lettere si ritrova ogni aspetto di Conrad, dalla più insignificante idiosincrasia – e ne aveva molte! – alla più impegnata presa di posizione sul mistero dell’universo e alla più vibrante difesa della sua arte e del suo metodo narrativo; dal mezzo sorriso ironico che, pur nella sua vita sostanzialmente tragica, gli fa riconquistare, ad ogni brusca svolta, il senso delle proporzioni, allo sconforto amarissimo e agli estenuanti calcoli economici nei lunghi anni di stenti fino al 1913-1914, quando il successo americano di Chance [Destino] gli portò un meritato sollievo. In esse, inoltre, si incontrano, in nuce, alcuni spunti che germoglieranno poi nella sua narrativa: aneddoti, discussioni politiche, dubbi e interrogativi sulle vaste zone d’ombra della realtà; [...] Impegnato sempre in una estenuante ricerca formale nelle sue opere narrative, Conrad scriveva le sue lettere in fretta, spesso a notte tarda, dopo aver lavorato per lunghe ore alla sua maniera spasmodica, per un bisogno quasi fisico di aprire un colloquio con gli altri uscendo dal cerchio delle sue ossessioni. Perciò il tono di queste lettere è talvolta estenuato e rauco, la stesura frammentaria, il ritmo nervoso; ma, così a caldo, non è raro che gli escano di bocca delle frasi stupefacenti, che illuminano tutta una fase della sua vita o uno dei tanti angoli oscuri del suo mondo fantastico». Dall’Introduzione di Alessandro Serpieri
(dal risvolto di copertina di: Joseph Conrad, "Epistolario". Giometti & Antonello, pagg. 400 euro 36)
Cuore di Conrad
- di Piero Melati -
Ci mancò poco che Joseph Conrad non malmenasse — da rude marinaio — il premio Nobel per la letteratura George Bernard Shaw. In una lettera datata 1899 al critico Edward William Garnett, suo primo editor, lo stesso Conrad racconta: «Quattro o cinque mesi fa, rimorchiato da H.G. Wells, Shaw venne a trovarmi… e poco ci mancò che non lo picchiassi». L’incidente aveva avuto un precedente, rievocato da Wells: «La prima volta che Conrad incontrò Shaw in casa mia, Shaw gli parlò con la sua solita franchezza: sai, caro amico, i tuoi libri non vanno. Poi uscì dalla stanza e subito mi trovai Conrad alle calcagna, tutto pallido, che mi domanda: credi che quell’uomo voglia insultarmi?».
Come ogni gentiluomo di fortuna, non era troppo a suo agio nella civiltà. Nell’Epistolario 1885-1924, oggi riproposto dall’editore Giometti & Antonello di Macerata, a cura di Alessandro Serpieri, cui seguirà un secondo volume di lettere inedite, c’è tutto il tormento di vent’anni di precaria carriera letteraria, i conseguenti stenti economici, le incomprensioni (ma anche le amicizie) con i colleghi scrittori. Tedio e delusioni che, infine, si risolveranno appena agguantato il successo popolare (ma solo nel 1913) con Chance, che tradotto in italiano è diventato Destino o Il caso. Prima ancora, c’erano stati i due decenni da marinaio e comandante delle marine mercantili francese e inglese. E le avventure per mare.
Oggi Conrad ha sfondato le paratie dell’immaginario contemporaneo grazie alla trasposizione di Francis Ford Coppola, in chiave guerra del Vietnam, del suo “Cuore di tenebra” nel film di culto del 1979, Apocalypse Now, con la leggendaria interpretazione del comandante Kurtz (che nella saga conradiana è un trafficante d’avorio) da parte di Marlon Brando. E, seppure osteggiato dapprima dalla critica marxista in quanto “conservatore”, poi dalla cancel culture quale “colonialista misogino”, sempre oggi Conrad è considerato profeta indiscusso della narrativa d’avventura, insieme a London, Melville, Kipling e Stevenson. Ma ancora in vita (lo testimonia un patrimonio di cinquemila lettere) fu vittima di un interdetto, espresso in recensioni come quella di H.G. Wells: «Deve ancora imparare l’altra grande metà della sua arte, l’arte di lasciare non scritte delle cose».
Pedante come uno scrupoloso argonauta: questo gli avevano insegnato due oceani, Pacifico e Atlantico, la Malesia e il Congo, l’Estremo Oriente e l’India, il Sud America e le nevi d’Europa. Tutti lembi del globo toccati dapprima dall’avventuriero e poi rievocati in una narrativa che ha influenzato Faulkner, Hemingway, Greene, e suscitato l’amicizia da parte di Stephen Crane e Henry James. Discendente dall’aristocrazia terriera polacca, due genitori patrioti deportati in seguito all’insurrezione del 1862, dopo la loro morte adottato dallo zio, una fuga a Marsiglia per scampare alla proscrizione dell’esercito russo, e da qui la via del mare. Di più, la cattura di un sogno: «Da bambino toccavo la cartina dell’Africa, il luogo più sconosciuto tra quelli ancora sconosciuti, e mi dicevo: un giorno ci andrò». Garnett così lo descrive: «Mai visto un uomo tanto virilmente penetrante quanto femminilmente sensibile». Si incontravano nelle trattorie londinesi di Soho e in un caffè turco di Cheapside, a Londra. Il futuro autore consegnerà all’amico il primo manoscritto, La follia di Almayer. Confesserà che ci lavorava senza sosta durante le navigazioni, ma subito aggiungendo: «Non mi propongo di scrivere altro. Probabile che presto torni in mare».
E invece, tempestando Garnett di richieste di consigli, scriverà Un reietto delle isole e Il negro del Narciso, La linea d’ombra e Cuore di tenebra. Pur torturato da frequenti blocchi creativi, non perderà in carisma. Scriverà di lui il filosofo Bertrand Russell: «Conoscerlo è stata una esperienza diversa da qualsiasi altra. Ne venni via confuso, appena in grado di ritrovare la mia strada nelle questioni quotidiane».
Anche Garnett è sconvolto. Ma per altri motivi. A proposito di Cuore di tenebra annota: «Mi narrò la sua esperienza congolese una mattina. Quando la vidi stampata, un terzo dei fatti era stato rimpiazzato, come quello in cui era in fin di vita in una capanna. Ma era diventato artisticamente più maturo». Conrad aveva imparato a sottrarre. Da questo periodo in poi si infittiscono le lettere con l’editore William Blackwood di Liverpool, il futuro sodale Ford Madox Ford, gli amici polacchi. Sono gli anni di Nostromo: Conrad ritorna alla più oscura sequenza della vita, quando fu un gun runner (trafficante d’armi), naufragò col battello The Tremolino sulle coste spagnole, ebbe una relazione con l’avventuriera basca Donna Rita, venne ferito in duello con pistola da un certo capitano Blunt.
Fino a una delle ultime missive, alla signora Doubleday: «Ho ricevuto una lettera del Primo Ministro che mi offriva la dignità di cavaliere… ho rifiutato». Ormai il vecchio marinaio non era più un “reietto” a caccia di «cinque ghinee per mille parole».
- Piero Melati - Pubblicato su Robinson dell'11 dicembre 2021 -
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