giovedì 20 gennaio 2022

Recessione Sociale !!

Il XXI secolo è il secolo della solitudine. Noreena Hertz lo sperimenta in prima persona: a un colloquio di lavoro viene valutata da un algoritmo; un pomeriggio fa shopping con un’«amica del cuore» affittata tramite un servizio online; di sera si trova a sfiorare la pelle artificiale di un robot progettato per essere il suo animale da compagnia. La solitudine che Noreena Hertz racconta non si limita alla frustrazione del desiderio di avere qualcuno vicino; è un male sottile che si è insinuato dentro di noi e ha permeato ogni aspetto della nostra società.È la solitudine strutturale creata dal sistema capitalistico, che ci spinge a pensare solo a noi stessi e a vedere gli altri come concorrenti o nemici. È l’isolamento provato dalle persone che si sentono trascurate e tradite dai propri rappresentanti e dalle istituzioni, al punto di lasciarsi sedurre dal richiamo del populismo e degli estremismi politici. È l’anziana signora giapponese che fa in modo di farsi arrestare per un reato minore, per poter trovare in carcere una forma di comunità. È il mondo parallelo e incontrollato dei social network, dove l’io si occulta dietro una maschera. È l’emarginazione sul posto di lavoro, dove il lavoratore si percepisce come un ingranaggio insignificante. È la solitudine speciale delle metropoli, dove possiamo ordinare centinaia di menu in consegna a domicilio ma non sappiamo il nome del nostro vicino di casa.Il secolo della solitudine è il racconto dolente della condizione in cui ciascuno di noi è venuto a trovarsi e insieme una chiamata alle armi contro le distanze siderali che si infiltrano nelle nostre vite, infettando come un virus tanto la salute dei nostri corpi e delle nostre menti quanto le strutture stesse della società. È una sfida a trasformare questa economia disumanizzante in un sistema più sostenibile attraverso interventi mirati dall’alto e dal basso, come maggiori investimenti nel welfare, ricostruzione delle comunità locali, banche del tempo e condomini solidali. È un invito a riscoprire e cementare i valori della collaborazione e dell’altruismo: la celebrazione del singolo non come atomo isolato ma come parte integrante di una comunità

(dal risvolto di copertina de:  "Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni", di Noreena Hertz. il Saggiatore, € 25)

Prigionieri della solitudine
- di Marco Onado -

In my solitude è un bellissimo pezzo jazz composto negli anni Trenta da Duke Ellington come canto struggente dei cuori infranti. Oggi potrebbe essere l’inno di milioni di cittadini in tutti i Paesi avanzati. Noreena Hertz è una delle più attive sentinelle delle degenerazioni della società moderna: dopo aver denunciato il potere delle multinazionali, il peso del debito pubblico e privato, la necessità di vigilare da parte di ciascuno di noi (con un titolo che sarebbe piaciuto a Stanley Kubrick: Eyes wide open), adesso rivolge la sua (e la nostra) attenzione a questo problema. L’idea base è che la solitudine non è una questione individuale, psicologica o nata dalle costrizioni imposte dall’epidemia. Al contrario, è un problema collettivo, con forti radici economiche e importanti implicazioni politiche; il Covid ha solo amplificato quella che l’autrice definisce la «recessione sociale» perché ha reso tossico il contatto fisico.
Ben prima del Covid, negli Stati Uniti tre adulti su cinque si consideravano soli; in Europa i numeri erano simili, anche in Paesi che consideriamo avere un tessuto sociale coeso, come Germania e Olanda. Nel Regno Unito, il problema era diventato talmente grave che nel 2018 il primo ministro ha ritenuto necessario nominare un ministro della Solitudine. La residenza e il lavoro non uniscono più: tre quarti dei cittadini non conoscono il nome dei propri vicini, il 60 per cento degli impiegati ha dichiarato di sentirsi solo sul lavoro. E non a caso Ken Loach ha smesso da un pezzo di presentarci il pub come luogo di aggregazione.
Le implicazioni individuali e sociali sono enormi: Noreena Hertz snocciola una serie impressionante di statistiche e di casi che dimostrano gli effetti negativi della solitudine sull’equilibrio psichico, sull’aspettativa di vita («La solitudine uccide» è il titolo di un capitolo), sulla produttività del lavoro.
Anche social e smartphone non sono la causa principale; piuttosto, hanno amplificato fenomeni che risalgono agli anni Ottanta quando si affermò una forma particolarmente dura di capitalismo: il neoliberismo, che premiava una forma idealizzata di autonomia, un governo debole e una mentalità competitiva che poneva l’interesse personale (e il fine di profitto delle imprese) al di sopra della comunità e del bene collettivo.
Ciò ha lasciato sempre più potere alle grandi imprese e alla grande finanza, permettendo loro di plasmare le regole del gioco e le condizioni di lavoro. Dopo la grande crisi finanziaria, un numero record di persone in tutto il mondo riteneva che il capitalismo di oggi facesse più male che bene. Il corollario era che ritenevano che lo Stato non si prendesse cura di loro e si sentissero isolate ed emarginate.
Gli ultimi decenni hanno visto una trasformazione profonda del mercato del lavoro: la gig economy imperante costringe a ritmi forsennati, al secondo impiego, alla solitudine su un posto di lavoro in cui vengono praticate sottili ma alienanti forme di controllo elettronico degne del capitalismo rapace dell’Ottocento («La frusta elettronica» è il titolo di un capitolo). Nel Regno Unito, la gig economy è raddoppiata tra il 2016 e il 2019 e, con la tendenza attuale, entro il 2027 un americano su tre si manterrà con un lavoro occasionale tramite piattaforme online. E senza stabilità economica ci si sente soli.
Ovvio quindi che la solitudine abbia implicazioni politiche profonde. Fin dal 1992, alcuni ricercatori hanno dimostrato il nesso tra l’isolamento sociale e i voti per il Front National di Le Pen padre. Qui è la parte più convincente del libro. Hertz si riallaccia addirittura a Hannah Arendt e alla sua analisi per dimostrare che l’estraniazione, o il «senso di non appartenenza al mondo è l’essenza del regime totalitario, [...] la preparazione delle vittime e degli esecutori».
Donald Trump ha ridisegnato la mappa politica puntando proprio su questo, facendo sì che chi si sentiva economicamente abbandonato e ignorato - soprattutto la classe media che storicamente non si era mai sentita così - avesse l’impressione di essere finalmente ascoltato. Una constatazione amara, se si pensa che i partiti tradizionali che si ispiravano alla solidarietà (si pensi per l’Italia ai partiti di sinistra e alla Democrazia cristiana) non abbiano saputo cogliere questa elementare verità e come i loro epigoni si affannino a ricercare consensi in categorie fatalmente più sensibili alle sirene populiste.
L’analisi è ricca di riferimenti alla letteratura accademica, ma anche a mille casi pratici, tanto da rischiare la ridondanza. Meno sviluppata è la parte del sottotitolo, cioè quella riferita a come riannodare i fili della solidarietà, ma la lode più schietta che si può fare di quest’opera è che le recenti proposte di un economista del calibro di Raghuram Rajan su come sviluppare le comunità, il terzo pilastro dimenticato da Stato e mercato, sono perfettamente coerenti con l’analisi della Hertz.

- di Marco Onado - Pubblicato su La Domenica del 19/12/2021 -

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