26 Gennaio 1939, Barcellona. Come se fosse stato l'ultimo atto di un copione già scritto, la Catalogna è stata occupata dai franchisti. Barcellona è stata espugnata. Nessuna resistenza, niente di niente. Sia il governo repubblicano, che i «notabili» delle organizzazioni politiche e sindacali hanno già riparato all'estero. Al sicuro. Sembra che sia davvero ormai tutto irrimediabilmente perduto. Le giornate di luglio 1936 sembrano ormai lontane mille anni. Eppure, tuttavia, anche in quel momento così buio, ad aleggiare sulle teste di tutti continuava a esserci un però! Un però costituito dai combattenti che in Spagna ancora resistevano a centinaia di migliaia, asserragliati tra Madrid e Valencia, lontano da Barcellona.
Fra di essi, Cipriano Mera che di fatto continua a essere il generale comandante il sesto corpo di armata dell'esercito repubblicano. Solo pochi giorni prima, aveva proposto a Negrin di rompere tutti quanti i fronti e di passare alla guerriglia. In risposta, aveva ricevuto il silenzio. Era una cosa che forse avrebbero dovuto già fare molti mesi prima. Un cosa che si trovava insieme alle altre tre proposte che potevano essere lette tra i punti del rapporto stilato da Pierre Besnard, segretario dell'A.I.T., per il Congresso Anarchico Internazionale del 1937.
1° - Una rivolta in Marocco, che avrebbe dovuto essere accompagnata dal riconoscimento pubblico da parte di Largo Caballero.
2° - Una rivolta in Portogallo.
3° - Espropriazione dell'oro della Banca di Spagna.
Ovviamente, la storia non può essere di certo fatta a colpi di «... e se... » e l'oro spagnolo era stato da tempo trasferito a Odessa, nelle casseforti sovietiche, quando già dal giugno 1938, dalla Russia ormai non arrivava più niente; neppure quegli schioppi senza otturatore che, con brioso senso dell'umorismo, Stalin era solito inviare. Ora, siamo nel 1939 e la politica di non aggressione tra Unione Sovietica e Germania è un fatto compiuto. E tutti sanno che la Spagna non vale tanto, non ha mai valso tanto.
Cipriano Mera sceglierà di sostenere la giunta di Casado, allorché questi si illuderà di riuscire a negoziare una pace dignitosa, per salvare il salvabile. Sosterrà la giunta, fino all'ultimo, Mera; e per farlo spazzerà via il tentativo stalinista di riprendere il controllo dell'esercito (che Negrin aveva loro consegnato al prezzo, anche, delle giornate del maggio 1937, a Barcellona); lo farà facendo pelo e contropelo ai comunisti, a Fuencarral. E si arriverà così al colonnello Casado che negozia la resa, e lo fa supplicando Franco. Si parla di rispettare quelli che non si erano macchiati le mani di sangue, e di dare un passaporto e aprire le porte dell'esilio a quelli che le mani invece se le erano macchiate e come. Qualcuno perfino ci crede! Ma era troppo tardi per poter tornare indietro, mentre Mera inghiotte e manda giù tutta la sua amarezza e comincia a parlare alla radio. E’ lui il Paladino, il campione del Consiglio di Difesa di Casado, che lo guarda, da vicino, mentre appare come incuriosito. Mentre, nella fotografia, vediamo Salgado e Garcia Pradas che quasi sfumano nella penombra e nel segreto. Nella foto non compare, ma non troppo lontano doveva esserci anche il colonnello José Centaño de la Paz, quintacolunnista della "Lucero Verde" nonché capo di stato maggiore della repubblica e strettissimo collaboratore di Casado, con il quale rimase in massima confidenza, per tutta la guerra. In un certo qual modo, Cipriano Mera sta chiudendo, a Madrid, il conto apertosi nel 1937 a Barcellona.
già pubblicato in forma diversa sul blog
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