Nelle sue "Ricerche filosofiche" - un libro postumo pubblicato nel 1953 (e nel 1967 in Italia, per Einaudi) - Ludwig Wittgenstein difende l'idea secondo cui non è possibile (o consigliabile) pensare in modo isolato rispetto al significato delle parole: le parole agiscono all'interno di giochi linguistici, mettendo in moto certe forme di vita; sono questi "giochi" e queste "forme di vita" che devono essere indagati. Cosa fa la lingua quando viene usata in una data situazione, al di là del significato stretto di ogni parola e frase? La combinazione di termini e il posizionamento di questi termini all'interno di un "gioco" (un contesto, una situazione di scambio, un dialogo, un'esposizione) estrapola il significato "dizionarizzato" di ogni termine colto singolarmente (il significato di una parola è il suo uso nella lingua, sezione 43).
Ogni uso del linguaggio si trova perciò inserito in un gioco, cosa che a sua volta ha delle ripercussioni anche sull'organizzazione di quello che è un modo di vivere; l'uso del linguaggio è legato a come si vede il mondo e a come si descrivono i suoi processi e i suoi elementi. Marcel Duchamp, per esempio, a partire dal 1914, definisce alcuni "oggetti quotidiani" (pala per spalare la neve, scolapasta) come se fossero "opere d'arte", agendo così sia sui termini che sugli oggetti, ma lo fa mettendo tuttavia in chiaro, allo stesso tempo e fin dall'inizio, che una tale operazione non funziona in qualsiasi momento, in qualsiasi contesto, di fronte a qualsiasi comunità (ragion per cui, il procedimento di Duchamp non può essere semplicemente "ripetuto": parole, oggetti, giochi linguistici e forme di vita devono trovarsi tutti nel contesto di una precisa congiunzione, affinché la "magia" avvenga).
fonte: Um túnel no fim da luz
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