Luigi Mangione: sintomo e simbolo della stanchezza per lo sfruttamento e per la condizione proletaria nel XXI secolo.
L'esecuzione del CEO della più grande compagnia assicurativa sanitaria statunitense, Brian Thompson, per mano dell'informatico Luigi Mangione, è pienamente giustificata, in quanto si tratta di una controffensiva alla violenza strutturale, quotidiana e normalizzata del Capitale nei confronti del proletariato e della sua riproduzione. O meglio: è la difesa selvaggia della vita nei confronti di una spietata gestione della morte di migliaia di proletari finiti nelle grinfie delle aziende sanitarie, sia per mancanza di cure, sia per mancanza di denaro per quelle cure, sia per essere rimasti indebitati e sfruttati per tutta la vita per poterle ottenere.
Pertanto, quella di Mangione non è un'azione individuale o isolata, ma è un sintomo e un simbolo collettivo, non solo della crisi del Capitale in quanto relazione sociale, ma persino della guerra di classe, in atto malgrado la controrivoluzione capitalista e la sconfitta storica del proletariato mondiale: «La coscienza anarchica sembrerebbe mantenere la totalità dell'obiettivo riducendo il soggetto del movimento all'individuo, al singolare, nel quale sembra essersi rifugiata tutta la vitalità della classe sconfitta. In realtà , la coscienza anarchica permette, durante questo periodo, di mantenere la totalità immediata dell'obiettivo della ribellione, una totalità che viene celata dal riformismo, il quale si presenta come un'opposizione costante ad essa».". (Cornelius Castoriadis, "Fenomenologia della coscienza proletaria"). A ciò si deve aggiungere che non si tratta tanto di “coscienza anarchica”, quanto piuttosto del movimento reale che sovverte le condizioni capitalistiche, vale a dire il comunismo - o, se si preferisce, l'anarchia - a prescindere da questo o quell'individuo che lo esprime in una situazione concreta, ivi compresa la sua ideologia. Ovvero: in questo caso, ciò che conta è l'espressione del movimento reale che si oppone, faccia a faccia, al Capitale e alle sue personificazioni, e non la vita personale e le idee di Luigi.
Tanto meno contano le opinioni infondate e i giudizi moralistici di chiunque e di chicchessia. Sebbene sia differente dalla guerra militare, la guerra di classe esiste ed è quello che è. Come scrivono Dauvé e Nesic in "Uscire dalla fabbrica": «È chiaro che il nostro “obiettivo” è un sistema sociale, il Capitale [l'abolizione del valore], e non i padroni, i dirigenti, gli esperti e la polizia che esso mette al proprio servizio. [...] Tuttavia, rinunciare alla violenza, rifiutare in anticipo qualsiasi uso delle armi, significa rinunciare alla rivoluzione [...] Senza un minimo di passione, e senza l'identificazione di ciò che consideriamo un nemico non esiste lotta per il comunismo».
Luigi Mangione: è sintomo e simbolo di quella stanchezza anticapitalistica che prima o poi, si spera, diventi un innesco o un'azione esemplare per le masse, negli USA e in tutto il mondo; ma questo non perché esse si affermino come classe del lavoro/capitale, né tanto meno come “popolo” che chiede democraticamente più briciole allo Stato borghese che le spreme e le schiaccia, bensì per abolirsi in quanto tale attraverso l'insurrezione e la comunizzazione di tutto ciò che esiste, vedendo tutto questo come dei processi molecolari e auto-organizzati, non come eventi messianici. Luigi Mangione: Il quale, tra l'altro, due giorni fa è stato catturato dalla polizia, dopo essere stato "venduto" da un dipendente di McDonald's in cambio di una lauta ricompensa (un fatto che, senza dubbio, dimostra l'egemonia della controrivoluzione capitalista su quella contraddizione vivente che è il proletariato; ma che, allo stesso tempo, non invalida affatto il gesto di Luigi). Pertanto, dalla regione ecuadoriana siamo solidali con lui e chiediamo la sua libertà.
Proletari stufi di esserlo - Quito, 11 dicembre 2024
1 commento:
Difficile che il gesto di Mangione possa dare il via ad una nuova stagione della lotta armata, o a nuove forme di insurrezione. Non siamo più negli anni '70. Oggi è pieno di telecamere ovunque (impossibile latitare o nascondersi a lungo), manca un senso collettivo di appartenenza, un movimento di classe che incanali il malcontento in una direzione trasformativa, al punto che interpretare la vicenda con le categorie marxiane ortodosse tende a portare fuori strada.
Quando si attaccano dei simboli è perché non si ha più la forza di fare presa sul reale. Poi si diventa a propria volta dei simboli (in questo caso dei meme) e dopo poco si finisce nel dimenticatoio, perché il carrozzone mediatico deve andare avanti e trovare qualcosa di nuovo da spremere.
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