sabato 21 dicembre 2024

Facciamo la Morale !!

La visione etica marxiana di Vanessa Chris Wills
- La questione dell'etica marxiana e della storia del movimento operaio è centrale. Sollevata in particolare da autori francesi, come Althusser e Rubel, agli antipodi tra loro. Ora arriva un libro, venuto a fornirci una visione particolare, di cui possiamo però già individuare alcune insidie, come l'importanza attribuita alla dialettica, o al materialismo storico. Non fermiamoci a questo e leggiamo -
- di Sam Ben-Meir -

C'è molto da dire sul libro di Vanessa Christina Wills, "La visione etica di Marx". Un libro che non solo fa avanzare la ricerca marxista, ma prende anche una posizione chiara e ben argomentata su alcune delle questioni più delicate e importanti che chiunque, voglia comprendere il pensiero filosofico di Marx, deve affrontare. La questione del rapporto di Marx con l'etica – inclusa, ma non solo, la teoria morale – non è certo nuova. Si tratta di una domanda persistente e ricorrente tra gli interpreti di Marx. Una domanda emersa con la pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, e dalla sua analisi dell'alienazione del lavoratore nel capitalismo. La ragione fondamentale per cui Marx e l'etica sono stati fin da allora un enigma filosofico riguarda il fatto che, da un lato, ci sono state molte occasioni in cui Marx enfatizzava l'impoverimento delle vite per mano del capitalismo; e questo continuano ad avvenire in termini normativi assai duri, i quali implicano una condanna morale. Come osserva Wills: «“Vampiro”, "serpente", "barbaro": sono solo alcune delle descrizioni assai poco lusinghiere che Marx usa per il capitale, e tutte esse compaiono negli ultimi scritti, i quali molti interpreti ritengono però essere quelli più profondamente amorali» [*1]. Dall'altra parte, leggiamo, per esempio, ne "L'ideologia tedesca", che i comunisti non predicano affatto la morale; e a partire da questo, nel capitolo 9, la Wills offre un'interpretazione e una difesa del famoso "appello all'abolizione totale della morale" di Marx [*2]. Così, nell'elaborare un'etica marxista, Wills si inserisce in quello che è uno dei dibattiti in corso tra gli interpreti di Marx: la questione se ci sia stata o meno una grande rottura epistemica tra il cosiddetto primo Marx dei Manoscritti del 1844 e il Marx maturo del Capitale e del “socialismo scientifico”. L'idea che esistano “due Marx” è stata difesa in particolare da Althusser ed è inseparabile da lui! Egli ha sostenuto che più il suo lavoro diventava scientifico, meno Marx ricorreva alla teoria e al ragionamento morale. Wills respinge l'affermazione di Althusser secondo cui ci sarebbe stata una rottura radicale nel pensiero di Marx, una rottura tra un umanista romantico degli inizi da un lato e un socialista scientifico amorale dell'ultimo periodo dall'altro. Sebbene l'ultimo Marx non utilizzi la parola “alienazione”, l'idea rimane innegabilmente presente nei suoi scritti della maturità.

Per sottolineare il punto, Wills cita questo passaggio del Capitale: «l’operaio stesso produce costantemente la ricchezza oggettiva in forma di capitale, potenza a lui estranea, che lo domina e lo sfrutta, e il capitalista produce con altrettanta costanza la forza di lavoro in forma di fonte soggettiva di ricchezza, separata dai suoi mezzi di oggettivazione ed estrinsecazione, astratta, che esiste nella mera corporeità dell’operaio, in breve, egli produce il lavoratore come operaio salariato.» [*3]  Così facendo, respinge anche l'affermazione (associata a G. A. Cohen e ad Allen Wood) secondo cui Marx avrebbe potuto benissimo adottare dei principi morali per tutta la sua vita, ma che questi non potevano essere teoricamente conciliati con il suo materialismo storico e con il suo determinismo economico. Il marxismo analitico - che oggi ha pochi o nessun sostenitore - viene respinto principalmente in quanto la sua premessa di base, per cui non ci sarebbe un metodo particolare da trovare nell'opera di Marx, è nel migliore dei casi errata. La filosofia analitica è nata dal rifiuto dell'idealismo britannico, che aveva le sue radici in Hegel, e dall'ostilità verso la dialettica hegeliana in generale. Dal punto di vista della nostra comprensione di Marx, questo è inaccettabile, perché la dialettica è parte integrante del suo pensiero. Il metodo dialettico di Marx è indispensabile se vogliamo riconoscere che: «Il mondo può essere conosciuto solo negli aspetti contraddittori dell'esistenza ,e attraverso di essi [...] La dialettica considera la contraddizione come una caratteristica reale, ontologica e oggettiva di quello che è un unico mondo complesso, dinamico, internamente conflittuale e ambiguo» [*4]. Il che ci porta all'affermazione fondamentale di Wills, secondo cui, sebbene Marx non abbia mai scritto un trattato di etica, una ricostruzione critica del suo approccio all'etica è possibile e necessaria. Per Marx, le rivendicazioni normative ed etiche non costituiscono un insieme di verità astratte, astoriche ed eterne, ma sono piuttosto i «prodotti storici dell'esistenza sociale umana» [*5]. Pertanto, un'attenta lettura di Marx rivela «una prospettiva etica unica e coerente, la quale però si è evoluta e approfondita nel corso di tutta la sua vita intellettuale» [*6].

Wills sottolinea l'aristotelismo di Marx, vale a dire, «lo sviluppo di una ricca individualità», e la creazione di «queste condizioni sono favorevoli a uno sviluppo, in linea di principio illimitato, dei talenti e delle capacità umane e delle diverse forme di vita » [*7]. Sottolinea, inoltre, anche il «vivo interesse di Marx, mostrato assai presto, per lo studio del "De Anima" di Aristotele» [*8]; il cui risultato è stata la «concezione,da parte di Marx, dell'attività rivoluzionaria intesa come pratica che trasforma e affina l'attività umana della percezione (aesthesis), che consente di cogliere più immediatamente le dimensioni normative della vita sociale umana e, di conseguenza, di rispondere ad esse in modo più spontaneo e appropriato» [*9]. Wills riconosce che la moralità è, secondo Marx, una forma di ideologia; tuttavia, nel capitolo 2 del libro - "Critica dell'ideologia e critica della morale" - la sua intenzione è quella di mostrare che l'ideologia non va considerata come un termine del tutto peggiorativo e negativo; così, mentre i comandamenti morali possono effettivamente essere considerati una forma di ideologia, Marx tuttavia non intendeva «respingere a priori ogni ragionamento morale» [*10]. Pertanto l'ideologia non è «intrinsecamente e uniformemente reazionaria» ma ha bensì un «carattere potenzialmente rivoluzionario» [*11]. Wills non si nasconde il fatto che una rivoluzione proletaria non può avere successo semplicemente facendo appello al potere dell'argomentazione morale, ma tuttavia ciò non significa che non possa contribuire a far sì che la borghesia, in particolare, «si renda conto della necessità di cambiare, e sostenere la classe operaia» [*12]. Nel capitolo si legge un esame critico delle diverse teorie dell'ideologia, tra cui la nozione di Althusser, dell'ideologia vista come pensiero svuotato della sua storia, «che [l'ideologia] non ha una storia propria»: una strana affermazione questa, che è in qualche modo una distorsione di Marx, il quale - come sottolinea Wills - «non dice mai che l'ideologia non ha storia». Infatti, Althusser «travisa la critica materialista storica dell'ideologia, svolta da Marx, e lo fa insistendo sul fatto che per Marx l'ideologia verrebbe meglio compresa come 'immaginaria', che così facendo non dà alcuna idea dei rapporti oggettivi di produzione in una data società» [*13].

Una delle caratteristiche più apprezzabili del suo libro, è l'esame che Wills fa di quegli scritti di Marx che hanno ricevuto relativamente poca attenzione; per esempio, la sua dissertazione di dottorato sulla differenza tra le filosofie di Epicuro e Democrito. La sua lettura della tesi, ha lo scopo di avanzare l'idea più generale che Marx non dovrebbe essere visto come puramente deterministico: in altre parole Wills non sottoscrive quello che William James chiamerebbe l'universo del "blocco di ferro", nel quale tutto è già predeterminato senza eccezioni o riserve. La difesa, fatta da Marx, dell'affermazione di Epicuro secondo cui alcuni atomi a volte "deviano" dalla loro traiettoria iniziale, testimonia il suo impegno per un materialismo che «può accogliere la libertà, l'attività cosciente e l'intervento nel mondo materiale» [*14]. Wills conia il termine "compatibilismo dialettico", usandolo per descrivere la posizione assunta da Marx sulla libertà e sulla necessità. Libertà e determinismo sono «due aspetti che si condizionano a vicenda, in un'unica unità che si sviluppa storicamente» [*15]. La compatibilità tra libertà e determinismo, non è una realtà statica che rimane immutata, per gli esseri umani nel tempo. Come dice Wills: «Non si possono fare affermazioni universali e senza tempo circa il  grado in cui le determinanti esterne influenzano il comportamento umano [...] Le forze economiche determinanti funzionano anche come prerequisiti per la libertà umana, e fanno parte della storia dell'avvento di quella libertà».

Il capitolo 8, dedicato alla critica di Marx alle altre teorie morali, è particolarmente degno di nota per l'analisi approfondita che Wills fa del rapporto tra Marx e l'etica kantiana. Come Wills sottolinea, sono stati fatti notevoli tentativi di avvicinare Marx e il kantianesimo. La formulazione di Kant dell'imperativo categorico di non trattare mai un altro essere razionale solo come un mezzo, ma sempre anche come un fine in sé, fa indubbiamente pensare alla condanna che Marx fa della mutilazione e della negazione del lavoratore operata dal capitalismo, della sua trasformazione in una mera appendice dei mezzi di produzione. Eppure, secondo Marx, in ultima analisi l'etica di Kant non può servire da «guida per la trasformazione sociale», soprattutto a causa «dell'enfasi del kantismo sul "libero arbitrio" autonomo, e sulla conformità di questo arbitro alla legge morale vista come questione centrale della moralità»; e in secondo luogo, perché questa enfasi sulla spontaneità della volontà non riconosce adeguatamente «in che misura la volontà venga essa stessa determinata dalle condizioni materiali e dagli interessi materiali» [*16]. Il kantismo è «troppo facilmente conciliabile con l'impotenza nei confronti della realtà, rendendo la moralità una semplice questione di "buona volontà", che è buona senza alcun riferimento agli effetti» [*17]. Una simile critica non è infondata. Come disse lo stesso Kant nei "Fondamenti della metafisica della morale": «Anche se a causa di un un particolare sfavore della fortuna [...] Questa buona volontà sembra essere stata del tutto priva della capacità di realizzare il suo scopo... allora, come un gioiello, avrebbe ancora brillata da sola, come qualcosa che ha tutto il suo valore in sé» [*18].

Tra l'etica marxista e l'etica kantiana, c'è un'altra differenza fondamentale, la quale ci pone di fronte a una delle tesi più importanti del libro, vale a dire, quella riguardante l'eventuale abolizione della morale.Kant afferma che l'immortalità dell'anima è un postulato della ragion pratica e pura proprio perché la completa conformità delle nostre norme alla legge morale «costituisce una perfezione che nessun essere razionale del mondo sensibile è in grado di raggiungere in nessun momento della sua esistenza [...] essa può essere trovata solo in un progresso infinito verso tale completa conformità» [*19]. Pertanto anche se non possiamo avere alcuna conoscenza teorica dell'immortalità, essa è qualcosa che la morale stessa ci costringe a pensare. Quello che si intende per "abolizione della morale" è ambiguo. Nel "Manifesto del Partito Comunista" si legge che la morale «scomparirà»con la «totale scomparsa degli antagonismi di classe» [*20], ma questo può essere inteso sia in senso debole che forte. Marx potrebbe semplicemente voler dire che nel comunismo non sarà più necessario predicare la morale: quando avremo soppresso lo sfruttamento e la degradazione degli esseri umani, la cosa «produrrà un'alterazione così profonda da rendere abituali, consuetudinarie e naturali le forme di interazione umana improntate alla pro-socialità» [*21]. Ma allora, non sarebbe altrettanto utile, se non di più, parlare della realizzazione o del compimento della moralità piuttosto che della sua abolizione? Se, d'altra parte, invece adottiamo un'interpretazione più forte secondo la quale «una società comunista pienamente sviluppata sarebbe priva di un ragionamento morale in quanto tale» [*22], ecco che allora la dichiarazione appare per me assai discutibile. Anche in una società comunista dove le ingiunzioni morali sono diventate inutili, i suoi membri si troveranno ancora in delle situazioni nelle quali qualcosa come il ragionamento morale sarà necessario. Con l'avanzare delle nuove tecnologie, continueranno a sorgere problemi e dilemmi morali, che al momento possiamo a malapena prevedere. Per Marx, il comunismo rappresenta il vero inizio della storia umana, e pertanto sembra strano che egli suggerisca che la storia dell'umanità stessa inizierà con l'abolizione del ragionamento morale, piuttosto che con il suo sviluppo.

A partire dl fatto che nel suo libro, Wills dedica gran parte della sua attenzione alla letteratura secondaria, la visione etica di Marx assume un interesse particolare per gli specialisti. Tuttavia, è stato anche scritto in maniera  molto accessibile, e copre così un terreno sufficientemente familiare per riuscire a essere anche un buon libro per coloro che hanno meno familiarità con il pensiero di Marx. Cosa ancora più importante, Wills offre una solida lettura dell'etica marxista, che ha molto da offrire rispetto ad altri approcci. Al livello più fondamentale, la sua interpretazione si basa su una comprensione olistica di Marx che ne abbraccia il metodo dialettico e vede il suo approccio all'etica in termini costruttivi, cosa di cui oggi abbiamo un gran bisogno. Viviamo in un'epoca di feroce lotta di classe - non inferiore a quella in cui Marx scriveva - con il lavoro minorile in aumento, la disuguaglianza economica alle stelle, l'estremismo di destra dilagante e la devastazione ambientale su scala globale. Per questo motivo oggi diventa più che mai importante guardare al capitalismo da un punto di vista morale, a partire proprio da quella bancarotta morale, per l'ingiustizia e la disumanità che esso rappresenta. A tale scopo, La visione etica di Marx offre un contributo significativo.

- Sam Ben-Meir - Pubblicato nel novembre 2024 su Marx & Philosophy Review of Books -

Vanessa Christina Wills, Marx’s Ethical Vision. Oxford University Press, New York, 2024. 298 pp., $45 - ISBN 9780197688144

NOTE:
1 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 2.
2 - Ibidem.
3 - Karl Marx, Il Capitale, Pris, PUF, p. 640 ss.
4 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 7.
5 - Ivi, p. 9.
6 - Ivi, p. 2.
7 - Ivi, p. 3.
8 - Ivi, p. 231.
9 - Ivi, p. 233.
10 - Ivi, p. 16.
11 - Ivi, p. 18.
12 - Ibidem.
13 - Ivi, p. 29.
14 - Ivi, p. 104.
15 - Ivi, p. 14.
16 - Ivi, p. 184.
17 - Ivi, p. 189.
18 - Kant 2012: 394.
19 - Kant 2015: 122.
20 - Marx ed Engels 1948: 504.
21 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 238.
22 - Ivi, p. 213.

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