mercoledì 18 dicembre 2024

La Metafisica del Valore d’Uso…

Sul "feticismo del valore d'uso"
- Un'introduzione al "feticismo del valore d'uso" di Kornelia Hafner (1989) -
di Frank Engster

Ai fini della critica del capitalismo, le categorie attraverso le quali Marx attraversa il Capitale – il valore e il valore di scambio, il lavoro astratto e il denaro, la merce e, naturalmente, il capitale – sono state tutte ampiamente discusse. La categoria del valore d'uso, ha tuttavia ricevuto assai meno attenzione. Laddove il valore d'uso appare, spesso è stato messo sotto una luce positiva, talvolta è stato persino posizionato contro le altre categorie sopra menzionate. Spesso veniva lamentato un declino, o una degradazione del valore d'uso, si invocava la sua liberazione dal valore di scambio, o ci si schierava addirittura dalla parte del suo presunto potenziale emancipatore. Ciò valeva sia per il valore d'uso delle merci e per il loro lato materiale qualitativo, sia per il valore d'uso di quella merce speciale che è la forza-lavoro, vale a dire, il lavoro vivo e concreto e la sua forza produttiva. Nell'opera di Theodor W. Adorno, dei riferimenti positivi al valore d'uso e all'idea del suo decadimento possono essere trovati ovunque, molto probabilmente ed esplicitamente innanzitutto nel saggio "Sul carattere di feticcio in musica e la regressione dell'ascolto", e poi più estesamente nella "Dialettica dell'Illuminismo", anche se sempre con una certa moderazione. [*1] Ciononostante, tuttavia un'enfasi affermativa sul valore d'uso, o un riferimento pessimistico al suo decadimento, si può trovare non solo nell'opera di Adorno, ma in quella di quasi tutti i rappresentanti della prima generazione della Teoria critica. A volte ciò è stato persino spinto all'eccesso. Helmut Reinicke, per esempio, dice che il valore d'uso fornisce delle «forme di resistenza e di rivolta del concreto sensuale contro l'astratto». [*2] Herbert Marcuse, nel suo appropriarsi di Freud, e con riferimenti alle pulsioni psichiche, andò in una direzione simile. Wolfgang Pohrt , anche lui cercò di impiegare la categoria del valore d'uso - cui Marx prestò troppo poca attenzione - per svolgere una critica sociale radicale del capitalismo sviluppato, e nel farlo perseguì una definizione enfaticamente affermativa, nella misura in cui egli distingueva il valore d'uso del lavoro vivo (e del lavoratore) dal valore d'uso in quanto portatore necessario del valore di scambio; definendo il lavoro vivo come una forza produttiva, e una pura soggettività che il capitalismo derubava, privandolo della sua potenza storica. [*3] Più cautamente di Pohrt, ma da una prospettiva simile, anche Stefan Breuer esplorò il valore d'uso nel suo "Die Krise der Revolutionstheorie",  dove esamina la situazione, dopo il "decennio rosso" successivo all'anno decisivo che era stato il 1968. Anche Hans-Jürgen Krahl ha proposto un concetto positivo del valore d'uso, facendolo nella misura in cui - secondo lui - «Il valore è diventato semplicemente la forma cieca per la contemplazione di valori d'uso» e così facendo avrebbe «squalificato» il valore d'uso. [*4] Anche nell'Operaismo il concetto di valore-uso è stato talvolta caricato in maniera affermativa, e questo soprattutto perché, in accordo con il marxismo tradizionale, prima è stato localizzato nel lavoro vivo e concreto, per poi, nel post-operaismo, essere trasferito sui beni comuni, sull'intelletto generale, sul lavoro immateriale e sulle potenzialità della moltitudine. Nell'opera di Moishe Postone, la presunta prospettiva pessimistica della Teoria critica, che per lo più aveva continuato a lamentare il degrado unilaterale del valore d'uso, è stata sottoposta a una sorta di torsione. Così, Postone ha individuato il valore d'uso, non solo nella capacità temporale che aveva la merce forza-lavoro, di produrre più valore di quanto le serva per la sua riproduzione, e di quanto ne riceva il suo equivalente nella forma salariale, ma lo ha visto piuttosto nel valore d'uso che avrebbe il modo di produzione capitalistico in sé. È pertanto la spinta del capitale, a ridurre il tempo di lavoro necessario e a rendere superfluo il lavoro in quanto tale, operando così verso un'emancipazione - per così dire - dal lavoro.La ricchezza reale propria del modo di produzione capitalistico non risiede nell'immensa collezione di merci, ma è a livello temporale: risiede nella produzione di “tempo disponibile”. E tuttavia, un simile potenziale non viene liberato, ma viene azzerato in quello che è una specie di effetto tapis roulant, e porta a una frenetica battuta d'arresto, dal momento che, nel capitalismo, l'enorme sviluppo della forza produttiva viene sempre interrotto proprio da quello stesso tempo astratto, che si traduce sempre e solo in un nuovo tempo medio socialmente necessario. Il valore d'uso, e la dimensione temporale della ricchezza sociale astratta non trovano un'espressione adeguata per sé stessi, di modo che così il capitalismo si sviluppa in una contraddizione tra una crescente possibilità storica, e la necessità di determinare una forma capitalistica sempre identica a sé stessa, e quindi senza tempo. [*5]

Per dirla in sintesi, la categoria del valore d'uso è stata quindi avvicinata sia alla natura, al lavoro vivo, al conatus, alle pulsioni psichiche, alla sensualità, al qualitativo, al desiderio e al godimento, così come pure anche all'impulso e alla creatività produttiva. Kornelia Hafner è stata una delle poche autrici ad aver sottoposto il valore d'uso a una critica radicale, vale a dire, categorica. Tale critica ha due dimensioni. Da un lato, il "feticismo del valore d'uso" viene riferito alla concezione affermativamente positiva che corrisponde a quel lato del valore d'uso, tanto della merce quanto della merce della forza-lavoro; sia che ci si lamenti della sua decadenza, sia che se ne chieda la sua liberazione, o addirittura che lo si elevi a una sorta di forza emancipatrice. D'altra parte, il "feticismo del valore d'uso" consiste proprio nel prendere come punto di partenza la determinazione capitalistica della forma del valore d'uso. Tale forma è soggetta alla medesima critica relativa al carattere feticcio delle merci: il fatto che i rapporti sociali appaiano come proprietà di una cosa, vale tanto per il valore di scambio di una merce quanto per il suo valore d'uso. L'aspetto qualitativo non è una proprietà sovra-storica, quasi naturale o di proprietà individuale riferita alla cosa in sé. Qualunque sia il valore d'uso di un tavolo, di un razzo, di uno smartphone o di un taglio di capelli, si tratta sempre e comunque di una qualità, e di un valore (d'uso) che esiste solo all'interno di una relazione sociale data, senza la quale qualsiasi proprietà o qualità rimane inutile e priva di significato. Pertanto, nel suo insieme, la critica del "feticismo del valore d'uso" è principalmente diretta alla scissione che viene attuata nei confronti del carattere duale delle merci generali, da una parte, e della merce particolare della forza-lavoro, dall'altra: una divisione questa che pone le due parti l'una contro l'altra. Questa divisione, e opposizione, si collega a un anticapitalismo tronco, il quale trova la sua espressione nel pensiero che a partire dal romanticismo e dalle critiche reazionarie, antisemite e fasciste alla modernità, arriva anche alle attuali tendenze del transumanesimo.

- Frank Engster - Pubblicato il 3/11/2024 su A Contrary Little Quail -

NOTE:

[1] Si veda, ad esempio, Theodor W. Adorno (1974) Philosophische Terminologie, Band 2, Francoforte sul Meno: Suhrkamp, p. 269.

[2] Helmut Reinicke (1975) Revolt im bürgerlichen Erbe. Gebrauchswert und Mikrologie, Gießen: Achenbach, p. 205.

[3] Si veda Wolfgang Pohrt (1976) Theorie des Gebrauchswerts oder über die Vergänglichkeit der historischen Voraussetzungen, unter denen allein das Kapital Gebrauchswert setzt, Frankfurt am Main: Syndikat.

[4] Hans-Jürgen Krahl (1971) Konstitution und Klassenkampf, Francoforte, p. 83; si vedano in particolare "Zur Wesenslogik der Marxschen Wertformanalyse" e "Bemerkungen zur Krisentendenz des Kapitals".

[5] Vedi Moishe Postone (1993) Time, Labor and Social Domination: A Reinterpretation of Marx's Critical Theory, Cambridge: Cambridge University Press, in particolare i capitoli 5 e 8.

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