Un giorno di inizio primavera Dorrit, scrittrice cinquantenne single e senza figli, viene accompagnata all’Unità. D’ora in avanti vivrà lì. Quello che la accoglie è un luogo idilliaco, almeno in apparenza: una struttura all’avanguardia dotata di eleganti appartamenti immersi in splendidi giardini, dove vengono serviti elaborati pasti gourmet e ci si può dedicare alle più svariate attività. I residenti sono accomunati da una caratteristica: non hanno figli né una vita sentimentale stabile. Finalmente libera dal giudizio sociale che ha sempre percepito come un peso, Dorrit è felice di poter fare amicizia con persone come lei. Ma c’è un prezzo da pagare: gli ospiti dell’Unità, chiamati “i dispensabili”, si trovano lì per un motivo ben preciso. Faranno da cavie per una serie di test farmacologici e psicologici, per cominciare, e poi doneranno i loro organi, uno per uno, fino alla cosiddetta “donazione finale”. Anche loro, così, saranno utili alla società: si sacrificheranno per chi, nel mondo fuori, è genitore. Dorrit è rassegnata al suo destino e desidera soltanto trascorrere i suoi ultimi giorni in pace, ma presto incontra un uomo di cui si innamora follemente, e l’inaspettata felicità da cui è travolta la costringe a ripensare ogni cosa. Nel suo romanzo d’esordio la svedese Ninni Holmqvist, una narratrice formidabile, immagina un mondo lontano eppure pericolosamente vicino. L’Unità, considerato un classico moderno e già molto apprezzato in patria e all’estero, racconta una storia vivida, commovente e attualissima, che racchiude un’acuta riflessione sulla società odierna e l’identità femminile.
(dal risvolto di copertina di: Ninni Holmqvist, "L’Unità". Fazi editore, Pagine: 276, € 18,50)
La leggenda delle cavie (quasi) felici
- Disturbante ed efficacissima, la scrittrice Ninni Holmiqvist immagina un mondo alle prese con una strana forma di schiavitù -
di Licia Troisi
L'Unita della scrittrice svedese Ninni Holmqvist, è un libro nient'affatto facile. Non tanto per quel che riguarda la scrittura, o il ritmo, quanto per il mondo che mette in scena, per le domande che solleva. Si rifiuta di mettere il lettore in una situazione di comodità, ma anzi lo costringe a mediare l'orrore che mette in scena e la patina di piacevolezza di cui lo ammanta. Siamo dalle parti della distopia e nella Svezia di un futuro non meglio specificato, ma non particolarmente remoto, si è deciso che le donne sopra i cinquant'anni e gli uomini sopra i sessanta che non abbiano figli debbano essere ricoverati in una struttura chiamata L'Unità. Qui tutto sembra perfetto; non si può uscire e non ci sono finestre, certo, ma si trascorre piacevolmente il tempo tra arte, trattamenti di bellezza e hobby di vario genere. L'unico neo è che gli ospiti sono "dispensabili", oosia considerati un peso per la società; il prezzo che devono pagare per non aver voluto o potuto riprodursi è l'essere usati letteralmente come cavie e pezzi di ricambio per gli indispensabili, i membri produttivi della società. È in questo posto che svolge la vicenda di Dorrit, che ha vissuto una vita d'indipendenza dagli uomini e dai figli, e che deve pagarne il prezzo.
Il primo aspetto notevole del libro è che la Svezia raccontata non è una dittatura: la legge che ha portato alla costruzione dell'Unità è stata liberamente votata dai cittadini. Già questa induce una prima, inquietante riflessione: non serve un regime per decidere di compiere atti orrendi. Del resto, Hitler era stato regolarmente votato, e la politica eugenetica portata avanti dai nazisti era accettata dalla popolazione. Il male è dentro di noi, e dal capitalismo il passo è breve a considerare gli esseri umani come mere risorse per la società, che si tratti di fare figli o diventare cavie. La seconda riflessione è ancor più inquietante. Nessuno nell'Unità si ribella. C'è paura, ovviamente, e un senso di invidia e odio per chi sta fuori, ma nessuno mette davvero in discussione l'ordine delle cose, e non lo fa perché la vita nell'Unità è piacevole. Ai degenti non manca niente, e per certi versi, come dirà Dorrit a un certo punto, persino migliore di quella là fuori, più autentica, più libera. È una felicità artificiale, quella dell'Unità, ma pur sempre felicità. Qualcuno per questo libro ha tirato in ballo Il Racconto dell'Ancella, ma l'opera più vicina è Il mondo nuovo di Huxley. Anche lì il sistema funziona perché la gente è indotta a credere di essere felice: grazie al soma, la droga del benessere, l'ingegnerizzazione degli esseri umani, tutti sono contenti. Ma se in Huxley la ribellione non è possibile perché nessuno è davvero consapevole della realtà, in Holmqvist tutti sanno perfettamente come vanno le cose, e lo accettano. All'orrore delle pratiche condotte sui corpi dei dispensabili, si contrappone la cura con cui essi vengono accuditi nell'Unità: a parte il non poter uscire, c'è grande libertà, anche di tessere relazioni amorose, e non mancano gli psicologi per sostenere i degenti. Ed è proprio questo contrasto che lascia spiazzati, e ci chiama in causa: a cosa saremmo disposti a rinunciare pur di essere felici? La felicità è più importante della dignità, della giustizia, persino della vita?
In questo quadro, sostenuto per altro da un'abilità narrativa eccezionale che rende il libro incredibilmente scorrevole, stona solo una nota. Non viene mai chiarito completamente come la società svedese abbia deciso di costruire un sistema di questo genere, ma qualche indizio viene qua e là disseminato: è iniziato con un desiderio di uguaglianza di genere, e con l'obbligo di pari congedo parentale tra uomini e donne alla nascita dei figli. Dorrit, per altro, nutre un certo rancore nei confronti della madre, che l'ha sempre cresciuta come donna libera, una cosa che considera alla radice del suo non aver avuto figli. Infine, nel mondo di fuori c'è un'ossessione per la correttezza nei rapporti tra i sessi, che induce a considerare molestia sessuale pressoché qualsiasi forma di approccio romantico. Inoltre, la famiglia tradizionale, con la donna che si occupa della casa e dei figli, è fortemente stigmatizzata. Dorrit infatti gode di avere un partner, nell'Unità, che la domina, per il quale può cucinare e che po' in qualche modo curare. Si può essere d'accordo o meno con una visione del genere - io non lo sono - ma non credo sia granché aderente alla direzione che la nostra società sta prendendo negli ultimi anni. La lotta a qualsiasi forma di inclusione nelle narrazioni cinematografiche e televisive, l'esaltazione dei modelli tradizionali di famiglia che vediamo in Italia, l'evidente disparità tra uomini e donne ancora esistente sul lavoro e più in generale nella società, sembrano tirare in un'altra direzione, e rendono la distopia di Holmqvist in qualche modo poco plausibile. In ogni caso, L'Unità resta un libro che vale la pena leggere, proprio perché interroga il lettore e ne scuote la sicurezza; in un mondo che vuole una letteratura sempre più anestetizzata e scevra dal conflitto, Holmqvist ci ricorda che le storie che ci restano dentro sono quelle che ci trascinano fuori dalla nostra comfort zone.
-Licia Troisi - Pubblicato su Robinson del 7/4/2024 -
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