Nella prefazione al secondo volume di "Mito E Tragedia Nell'antica Grecia. La Tragedia Come Fenomeno Sociale Estetico E Psicologico" (Einaudi, 1977), Vernant e Vidal-Naquet commentano brevemente una traduzione francese dell'Edipo Re di Sofocle. «Quando, nell'Edipo Re di Sofocle» - scrivono - «il servo di Laio capisce che l'uomo che ha davanti a sé, sovrano di Tebe, è proprio quel bambino, con i piedi feriti, che ha consegnato al pastore del re di Corinto, egli gli dice - secondo la traduzione di Jean e Mayotte Bollack - "Se tu sei l'uomo che egli (il pastore di Corinto) dice che sei, sai anche che sei nato dannato"» (versi 1180-1181). Ora, il problema sta proprio nella parola "dannato". Che cosa ci fa qui questa parola, si chiedono Vernant e Vidal-Naquet, insieme alla sua "teodicea cristiana" che trasmette, e alla sua approssimazione in direzione di una "predestinazione agostiniana, o calvinista" che non ha niente a che fare con "l'angoscia tragica".
La traduzione (che troviamo qui e altrove; ma Vernant e Vidal-Naquet qui ne denunciano il dannoso anacronismo) rappresenta di già un'interpretazione e uno spiazzamento: porta Sofocle verso Dante, ci porta per mano dai dannati dell'Inferno, del peccato, della colpa e della paura, così come sono stati costruiti dalla tradizione cristiana. «Il testo greco dice» - ce ne informano, semplicemente, Vernant e Vidal-Naquet, «sappi che sei nato per un destino funesto». Poi, in una nota a piè di pagina, Vernant e Vidal-Naquet ce ne forniscono altri esempi: nel verso 823 - che essi traducono come «Nacqui per il male?» - i coniugi Bollack invece ci danno la traduzione: «Sono un uomo dannato dalla nascita?»; «Notiamo infine», aggiungono, «l'uso del termine "dannazione", che è stato usato per tradurre nel versetto 828 il greco ômos daimôn, vale a dire "una divinità selvaggia"».
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