sabato 21 dicembre 2024

Facciamo la Morale !!

La visione etica marxiana di Vanessa Chris Wills
- La questione dell'etica marxiana e della storia del movimento operaio è centrale. Sollevata in particolare da autori francesi, come Althusser e Rubel, agli antipodi tra loro. Ora arriva un libro, venuto a fornirci una visione particolare, di cui possiamo però già individuare alcune insidie, come l'importanza attribuita alla dialettica, o al materialismo storico. Non fermiamoci a questo e leggiamo -
- di Sam Ben-Meir -

C'è molto da dire sul libro di Vanessa Christina Wills, "La visione etica di Marx". Un libro che non solo fa avanzare la ricerca marxista, ma prende anche una posizione chiara e ben argomentata su alcune delle questioni più delicate e importanti che chiunque, voglia comprendere il pensiero filosofico di Marx, deve affrontare. La questione del rapporto di Marx con l'etica – inclusa, ma non solo, la teoria morale – non è certo nuova. Si tratta di una domanda persistente e ricorrente tra gli interpreti di Marx. Una domanda emersa con la pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, e dalla sua analisi dell'alienazione del lavoratore nel capitalismo. La ragione fondamentale per cui Marx e l'etica sono stati fin da allora un enigma filosofico riguarda il fatto che, da un lato, ci sono state molte occasioni in cui Marx enfatizzava l'impoverimento delle vite per mano del capitalismo; e questo continuano ad avvenire in termini normativi assai duri, i quali implicano una condanna morale. Come osserva Wills: «“Vampiro”, "serpente", "barbaro": sono solo alcune delle descrizioni assai poco lusinghiere che Marx usa per il capitale, e tutte esse compaiono negli ultimi scritti, i quali molti interpreti ritengono però essere quelli più profondamente amorali» [*1]. Dall'altra parte, leggiamo, per esempio, ne "L'ideologia tedesca", che i comunisti non predicano affatto la morale; e a partire da questo, nel capitolo 9, la Wills offre un'interpretazione e una difesa del famoso "appello all'abolizione totale della morale" di Marx [*2]. Così, nell'elaborare un'etica marxista, Wills si inserisce in quello che è uno dei dibattiti in corso tra gli interpreti di Marx: la questione se ci sia stata o meno una grande rottura epistemica tra il cosiddetto primo Marx dei Manoscritti del 1844 e il Marx maturo del Capitale e del “socialismo scientifico”. L'idea che esistano “due Marx” è stata difesa in particolare da Althusser ed è inseparabile da lui! Egli ha sostenuto che più il suo lavoro diventava scientifico, meno Marx ricorreva alla teoria e al ragionamento morale. Wills respinge l'affermazione di Althusser secondo cui ci sarebbe stata una rottura radicale nel pensiero di Marx, una rottura tra un umanista romantico degli inizi da un lato e un socialista scientifico amorale dell'ultimo periodo dall'altro. Sebbene l'ultimo Marx non utilizzi la parola “alienazione”, l'idea rimane innegabilmente presente nei suoi scritti della maturità.

Per sottolineare il punto, Wills cita questo passaggio del Capitale: «l’operaio stesso produce costantemente la ricchezza oggettiva in forma di capitale, potenza a lui estranea, che lo domina e lo sfrutta, e il capitalista produce con altrettanta costanza la forza di lavoro in forma di fonte soggettiva di ricchezza, separata dai suoi mezzi di oggettivazione ed estrinsecazione, astratta, che esiste nella mera corporeità dell’operaio, in breve, egli produce il lavoratore come operaio salariato.» [*3]  Così facendo, respinge anche l'affermazione (associata a G. A. Cohen e ad Allen Wood) secondo cui Marx avrebbe potuto benissimo adottare dei principi morali per tutta la sua vita, ma che questi non potevano essere teoricamente conciliati con il suo materialismo storico e con il suo determinismo economico. Il marxismo analitico - che oggi ha pochi o nessun sostenitore - viene respinto principalmente in quanto la sua premessa di base, per cui non ci sarebbe un metodo particolare da trovare nell'opera di Marx, è nel migliore dei casi errata. La filosofia analitica è nata dal rifiuto dell'idealismo britannico, che aveva le sue radici in Hegel, e dall'ostilità verso la dialettica hegeliana in generale. Dal punto di vista della nostra comprensione di Marx, questo è inaccettabile, perché la dialettica è parte integrante del suo pensiero. Il metodo dialettico di Marx è indispensabile se vogliamo riconoscere che: «Il mondo può essere conosciuto solo negli aspetti contraddittori dell'esistenza ,e attraverso di essi [...] La dialettica considera la contraddizione come una caratteristica reale, ontologica e oggettiva di quello che è un unico mondo complesso, dinamico, internamente conflittuale e ambiguo» [*4]. Il che ci porta all'affermazione fondamentale di Wills, secondo cui, sebbene Marx non abbia mai scritto un trattato di etica, una ricostruzione critica del suo approccio all'etica è possibile e necessaria. Per Marx, le rivendicazioni normative ed etiche non costituiscono un insieme di verità astratte, astoriche ed eterne, ma sono piuttosto i «prodotti storici dell'esistenza sociale umana» [*5]. Pertanto, un'attenta lettura di Marx rivela «una prospettiva etica unica e coerente, la quale però si è evoluta e approfondita nel corso di tutta la sua vita intellettuale» [*6].

Wills sottolinea l'aristotelismo di Marx, vale a dire, «lo sviluppo di una ricca individualità», e la creazione di «queste condizioni sono favorevoli a uno sviluppo, in linea di principio illimitato, dei talenti e delle capacità umane e delle diverse forme di vita » [*7]. Sottolinea, inoltre, anche il «vivo interesse di Marx, mostrato assai presto, per lo studio del "De Anima" di Aristotele» [*8]; il cui risultato è stata la «concezione,da parte di Marx, dell'attività rivoluzionaria intesa come pratica che trasforma e affina l'attività umana della percezione (aesthesis), che consente di cogliere più immediatamente le dimensioni normative della vita sociale umana e, di conseguenza, di rispondere ad esse in modo più spontaneo e appropriato» [*9]. Wills riconosce che la moralità è, secondo Marx, una forma di ideologia; tuttavia, nel capitolo 2 del libro - "Critica dell'ideologia e critica della morale" - la sua intenzione è quella di mostrare che l'ideologia non va considerata come un termine del tutto peggiorativo e negativo; così, mentre i comandamenti morali possono effettivamente essere considerati una forma di ideologia, Marx tuttavia non intendeva «respingere a priori ogni ragionamento morale» [*10]. Pertanto l'ideologia non è «intrinsecamente e uniformemente reazionaria» ma ha bensì un «carattere potenzialmente rivoluzionario» [*11]. Wills non si nasconde il fatto che una rivoluzione proletaria non può avere successo semplicemente facendo appello al potere dell'argomentazione morale, ma tuttavia ciò non significa che non possa contribuire a far sì che la borghesia, in particolare, «si renda conto della necessità di cambiare, e sostenere la classe operaia» [*12]. Nel capitolo si legge un esame critico delle diverse teorie dell'ideologia, tra cui la nozione di Althusser, dell'ideologia vista come pensiero svuotato della sua storia, «che [l'ideologia] non ha una storia propria»: una strana affermazione questa, che è in qualche modo una distorsione di Marx, il quale - come sottolinea Wills - «non dice mai che l'ideologia non ha storia». Infatti, Althusser «travisa la critica materialista storica dell'ideologia, svolta da Marx, e lo fa insistendo sul fatto che per Marx l'ideologia verrebbe meglio compresa come 'immaginaria', che così facendo non dà alcuna idea dei rapporti oggettivi di produzione in una data società» [*13].

Una delle caratteristiche più apprezzabili del suo libro, è l'esame che Wills fa di quegli scritti di Marx che hanno ricevuto relativamente poca attenzione; per esempio, la sua dissertazione di dottorato sulla differenza tra le filosofie di Epicuro e Democrito. La sua lettura della tesi, ha lo scopo di avanzare l'idea più generale che Marx non dovrebbe essere visto come puramente deterministico: in altre parole Wills non sottoscrive quello che William James chiamerebbe l'universo del "blocco di ferro", nel quale tutto è già predeterminato senza eccezioni o riserve. La difesa, fatta da Marx, dell'affermazione di Epicuro secondo cui alcuni atomi a volte "deviano" dalla loro traiettoria iniziale, testimonia il suo impegno per un materialismo che «può accogliere la libertà, l'attività cosciente e l'intervento nel mondo materiale» [*14]. Wills conia il termine "compatibilismo dialettico", usandolo per descrivere la posizione assunta da Marx sulla libertà e sulla necessità. Libertà e determinismo sono «due aspetti che si condizionano a vicenda, in un'unica unità che si sviluppa storicamente» [*15]. La compatibilità tra libertà e determinismo, non è una realtà statica che rimane immutata, per gli esseri umani nel tempo. Come dice Wills: «Non si possono fare affermazioni universali e senza tempo circa il  grado in cui le determinanti esterne influenzano il comportamento umano [...] Le forze economiche determinanti funzionano anche come prerequisiti per la libertà umana, e fanno parte della storia dell'avvento di quella libertà».

Il capitolo 8, dedicato alla critica di Marx alle altre teorie morali, è particolarmente degno di nota per l'analisi approfondita che Wills fa del rapporto tra Marx e l'etica kantiana. Come Wills sottolinea, sono stati fatti notevoli tentativi di avvicinare Marx e il kantianesimo. La formulazione di Kant dell'imperativo categorico di non trattare mai un altro essere razionale solo come un mezzo, ma sempre anche come un fine in sé, fa indubbiamente pensare alla condanna che Marx fa della mutilazione e della negazione del lavoratore operata dal capitalismo, della sua trasformazione in una mera appendice dei mezzi di produzione. Eppure, secondo Marx, in ultima analisi l'etica di Kant non può servire da «guida per la trasformazione sociale», soprattutto a causa «dell'enfasi del kantismo sul "libero arbitrio" autonomo, e sulla conformità di questo arbitro alla legge morale vista come questione centrale della moralità»; e in secondo luogo, perché questa enfasi sulla spontaneità della volontà non riconosce adeguatamente «in che misura la volontà venga essa stessa determinata dalle condizioni materiali e dagli interessi materiali» [*16]. Il kantismo è «troppo facilmente conciliabile con l'impotenza nei confronti della realtà, rendendo la moralità una semplice questione di "buona volontà", che è buona senza alcun riferimento agli effetti» [*17]. Una simile critica non è infondata. Come disse lo stesso Kant nei "Fondamenti della metafisica della morale": «Anche se a causa di un un particolare sfavore della fortuna [...] Questa buona volontà sembra essere stata del tutto priva della capacità di realizzare il suo scopo... allora, come un gioiello, avrebbe ancora brillata da sola, come qualcosa che ha tutto il suo valore in sé» [*18].

Tra l'etica marxista e l'etica kantiana, c'è un'altra differenza fondamentale, la quale ci pone di fronte a una delle tesi più importanti del libro, vale a dire, quella riguardante l'eventuale abolizione della morale.Kant afferma che l'immortalità dell'anima è un postulato della ragion pratica e pura proprio perché la completa conformità delle nostre norme alla legge morale «costituisce una perfezione che nessun essere razionale del mondo sensibile è in grado di raggiungere in nessun momento della sua esistenza [...] essa può essere trovata solo in un progresso infinito verso tale completa conformità» [*19]. Pertanto anche se non possiamo avere alcuna conoscenza teorica dell'immortalità, essa è qualcosa che la morale stessa ci costringe a pensare. Quello che si intende per "abolizione della morale" è ambiguo. Nel "Manifesto del Partito Comunista" si legge che la morale «scomparirà»con la «totale scomparsa degli antagonismi di classe» [*20], ma questo può essere inteso sia in senso debole che forte. Marx potrebbe semplicemente voler dire che nel comunismo non sarà più necessario predicare la morale: quando avremo soppresso lo sfruttamento e la degradazione degli esseri umani, la cosa «produrrà un'alterazione così profonda da rendere abituali, consuetudinarie e naturali le forme di interazione umana improntate alla pro-socialità» [*21]. Ma allora, non sarebbe altrettanto utile, se non di più, parlare della realizzazione o del compimento della moralità piuttosto che della sua abolizione? Se, d'altra parte, invece adottiamo un'interpretazione più forte secondo la quale «una società comunista pienamente sviluppata sarebbe priva di un ragionamento morale in quanto tale» [*22], ecco che allora la dichiarazione appare per me assai discutibile. Anche in una società comunista dove le ingiunzioni morali sono diventate inutili, i suoi membri si troveranno ancora in delle situazioni nelle quali qualcosa come il ragionamento morale sarà necessario. Con l'avanzare delle nuove tecnologie, continueranno a sorgere problemi e dilemmi morali, che al momento possiamo a malapena prevedere. Per Marx, il comunismo rappresenta il vero inizio della storia umana, e pertanto sembra strano che egli suggerisca che la storia dell'umanità stessa inizierà con l'abolizione del ragionamento morale, piuttosto che con il suo sviluppo.

A partire dl fatto che nel suo libro, Wills dedica gran parte della sua attenzione alla letteratura secondaria, la visione etica di Marx assume un interesse particolare per gli specialisti. Tuttavia, è stato anche scritto in maniera  molto accessibile, e copre così un terreno sufficientemente familiare per riuscire a essere anche un buon libro per coloro che hanno meno familiarità con il pensiero di Marx. Cosa ancora più importante, Wills offre una solida lettura dell'etica marxista, che ha molto da offrire rispetto ad altri approcci. Al livello più fondamentale, la sua interpretazione si basa su una comprensione olistica di Marx che ne abbraccia il metodo dialettico e vede il suo approccio all'etica in termini costruttivi, cosa di cui oggi abbiamo un gran bisogno. Viviamo in un'epoca di feroce lotta di classe - non inferiore a quella in cui Marx scriveva - con il lavoro minorile in aumento, la disuguaglianza economica alle stelle, l'estremismo di destra dilagante e la devastazione ambientale su scala globale. Per questo motivo oggi diventa più che mai importante guardare al capitalismo da un punto di vista morale, a partire proprio da quella bancarotta morale, per l'ingiustizia e la disumanità che esso rappresenta. A tale scopo, La visione etica di Marx offre un contributo significativo.

- Sam Ben-Meir - Pubblicato nel novembre 2024 su Marx & Philosophy Review of Books -

Vanessa Christina Wills, Marx’s Ethical Vision. Oxford University Press, New York, 2024. 298 pp., $45 - ISBN 9780197688144

NOTE:
1 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 2.
2 - Ibidem.
3 - Karl Marx, Il Capitale, Pris, PUF, p. 640 ss.
4 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 7.
5 - Ivi, p. 9.
6 - Ivi, p. 2.
7 - Ivi, p. 3.
8 - Ivi, p. 231.
9 - Ivi, p. 233.
10 - Ivi, p. 16.
11 - Ivi, p. 18.
12 - Ibidem.
13 - Ivi, p. 29.
14 - Ivi, p. 104.
15 - Ivi, p. 14.
16 - Ivi, p. 184.
17 - Ivi, p. 189.
18 - Kant 2012: 394.
19 - Kant 2015: 122.
20 - Marx ed Engels 1948: 504.
21 - Vanessa Chris Wills, La visione etica di Marx, Oxford University Press, New York, 2024, p. 238.
22 - Ivi, p. 213.

mercoledì 18 dicembre 2024

La Metafisica del Valore d’Uso…

Sul "feticismo del valore d'uso"
- Un'introduzione al "feticismo del valore d'uso" di Kornelia Hafner (1989) -
di Frank Engster

Ai fini della critica del capitalismo, le categorie attraverso le quali Marx attraversa il Capitale – il valore e il valore di scambio, il lavoro astratto e il denaro, la merce e, naturalmente, il capitale – sono state tutte ampiamente discusse. La categoria del valore d'uso, ha tuttavia ricevuto assai meno attenzione. Laddove il valore d'uso appare, spesso è stato messo sotto una luce positiva, talvolta è stato persino posizionato contro le altre categorie sopra menzionate. Spesso veniva lamentato un declino, o una degradazione del valore d'uso, si invocava la sua liberazione dal valore di scambio, o ci si schierava addirittura dalla parte del suo presunto potenziale emancipatore. Ciò valeva sia per il valore d'uso delle merci e per il loro lato materiale qualitativo, sia per il valore d'uso di quella merce speciale che è la forza-lavoro, vale a dire, il lavoro vivo e concreto e la sua forza produttiva. Nell'opera di Theodor W. Adorno, dei riferimenti positivi al valore d'uso e all'idea del suo decadimento possono essere trovati ovunque, molto probabilmente ed esplicitamente innanzitutto nel saggio "Sul carattere di feticcio in musica e la regressione dell'ascolto", e poi più estesamente nella "Dialettica dell'Illuminismo", anche se sempre con una certa moderazione. [*1] Ciononostante, tuttavia un'enfasi affermativa sul valore d'uso, o un riferimento pessimistico al suo decadimento, si può trovare non solo nell'opera di Adorno, ma in quella di quasi tutti i rappresentanti della prima generazione della Teoria critica. A volte ciò è stato persino spinto all'eccesso. Helmut Reinicke, per esempio, dice che il valore d'uso fornisce delle «forme di resistenza e di rivolta del concreto sensuale contro l'astratto». [*2] Herbert Marcuse, nel suo appropriarsi di Freud, e con riferimenti alle pulsioni psichiche, andò in una direzione simile. Wolfgang Pohrt , anche lui cercò di impiegare la categoria del valore d'uso - cui Marx prestò troppo poca attenzione - per svolgere una critica sociale radicale del capitalismo sviluppato, e nel farlo perseguì una definizione enfaticamente affermativa, nella misura in cui egli distingueva il valore d'uso del lavoro vivo (e del lavoratore) dal valore d'uso in quanto portatore necessario del valore di scambio; definendo il lavoro vivo come una forza produttiva, e una pura soggettività che il capitalismo derubava, privandolo della sua potenza storica. [*3] Più cautamente di Pohrt, ma da una prospettiva simile, anche Stefan Breuer esplorò il valore d'uso nel suo "Die Krise der Revolutionstheorie",  dove esamina la situazione, dopo il "decennio rosso" successivo all'anno decisivo che era stato il 1968. Anche Hans-Jürgen Krahl ha proposto un concetto positivo del valore d'uso, facendolo nella misura in cui - secondo lui - «Il valore è diventato semplicemente la forma cieca per la contemplazione di valori d'uso» e così facendo avrebbe «squalificato» il valore d'uso. [*4] Anche nell'Operaismo il concetto di valore-uso è stato talvolta caricato in maniera affermativa, e questo soprattutto perché, in accordo con il marxismo tradizionale, prima è stato localizzato nel lavoro vivo e concreto, per poi, nel post-operaismo, essere trasferito sui beni comuni, sull'intelletto generale, sul lavoro immateriale e sulle potenzialità della moltitudine. Nell'opera di Moishe Postone, la presunta prospettiva pessimistica della Teoria critica, che per lo più aveva continuato a lamentare il degrado unilaterale del valore d'uso, è stata sottoposta a una sorta di torsione. Così, Postone ha individuato il valore d'uso, non solo nella capacità temporale che aveva la merce forza-lavoro, di produrre più valore di quanto le serva per la sua riproduzione, e di quanto ne riceva il suo equivalente nella forma salariale, ma lo ha visto piuttosto nel valore d'uso che avrebbe il modo di produzione capitalistico in sé. È pertanto la spinta del capitale, a ridurre il tempo di lavoro necessario e a rendere superfluo il lavoro in quanto tale, operando così verso un'emancipazione - per così dire - dal lavoro.La ricchezza reale propria del modo di produzione capitalistico non risiede nell'immensa collezione di merci, ma è a livello temporale: risiede nella produzione di “tempo disponibile”. E tuttavia, un simile potenziale non viene liberato, ma viene azzerato in quello che è una specie di effetto tapis roulant, e porta a una frenetica battuta d'arresto, dal momento che, nel capitalismo, l'enorme sviluppo della forza produttiva viene sempre interrotto proprio da quello stesso tempo astratto, che si traduce sempre e solo in un nuovo tempo medio socialmente necessario. Il valore d'uso, e la dimensione temporale della ricchezza sociale astratta non trovano un'espressione adeguata per sé stessi, di modo che così il capitalismo si sviluppa in una contraddizione tra una crescente possibilità storica, e la necessità di determinare una forma capitalistica sempre identica a sé stessa, e quindi senza tempo. [*5]

Per dirla in sintesi, la categoria del valore d'uso è stata quindi avvicinata sia alla natura, al lavoro vivo, al conatus, alle pulsioni psichiche, alla sensualità, al qualitativo, al desiderio e al godimento, così come pure anche all'impulso e alla creatività produttiva. Kornelia Hafner è stata una delle poche autrici ad aver sottoposto il valore d'uso a una critica radicale, vale a dire, categorica. Tale critica ha due dimensioni. Da un lato, il "feticismo del valore d'uso" viene riferito alla concezione affermativamente positiva che corrisponde a quel lato del valore d'uso, tanto della merce quanto della merce della forza-lavoro; sia che ci si lamenti della sua decadenza, sia che se ne chieda la sua liberazione, o addirittura che lo si elevi a una sorta di forza emancipatrice. D'altra parte, il "feticismo del valore d'uso" consiste proprio nel prendere come punto di partenza la determinazione capitalistica della forma del valore d'uso. Tale forma è soggetta alla medesima critica relativa al carattere feticcio delle merci: il fatto che i rapporti sociali appaiano come proprietà di una cosa, vale tanto per il valore di scambio di una merce quanto per il suo valore d'uso. L'aspetto qualitativo non è una proprietà sovra-storica, quasi naturale o di proprietà individuale riferita alla cosa in sé. Qualunque sia il valore d'uso di un tavolo, di un razzo, di uno smartphone o di un taglio di capelli, si tratta sempre e comunque di una qualità, e di un valore (d'uso) che esiste solo all'interno di una relazione sociale data, senza la quale qualsiasi proprietà o qualità rimane inutile e priva di significato. Pertanto, nel suo insieme, la critica del "feticismo del valore d'uso" è principalmente diretta alla scissione che viene attuata nei confronti del carattere duale delle merci generali, da una parte, e della merce particolare della forza-lavoro, dall'altra: una divisione questa che pone le due parti l'una contro l'altra. Questa divisione, e opposizione, si collega a un anticapitalismo tronco, il quale trova la sua espressione nel pensiero che a partire dal romanticismo e dalle critiche reazionarie, antisemite e fasciste alla modernità, arriva anche alle attuali tendenze del transumanesimo.

- Frank Engster - Pubblicato il 3/11/2024 su A Contrary Little Quail -

NOTE:

[1] Si veda, ad esempio, Theodor W. Adorno (1974) Philosophische Terminologie, Band 2, Francoforte sul Meno: Suhrkamp, p. 269.

[2] Helmut Reinicke (1975) Revolt im bürgerlichen Erbe. Gebrauchswert und Mikrologie, Gießen: Achenbach, p. 205.

[3] Si veda Wolfgang Pohrt (1976) Theorie des Gebrauchswerts oder über die Vergänglichkeit der historischen Voraussetzungen, unter denen allein das Kapital Gebrauchswert setzt, Frankfurt am Main: Syndikat.

[4] Hans-Jürgen Krahl (1971) Konstitution und Klassenkampf, Francoforte, p. 83; si vedano in particolare "Zur Wesenslogik der Marxschen Wertformanalyse" e "Bemerkungen zur Krisentendenz des Kapitals".

[5] Vedi Moishe Postone (1993) Time, Labor and Social Domination: A Reinterpretation of Marx's Critical Theory, Cambridge: Cambridge University Press, in particolare i capitoli 5 e 8.

A chi il Plusvalore dell’Altro? A NOI !!

Citizen Trump: sotto il giogo dell'eccesso
- di Todd McGowan -

Cosa manca a Kane
C'è stata almeno una volta in cui Donald Trump ha dimostrato di essere più competente di qualsiasi altro presidente americano: alla domanda su quale fosse il suo film preferito, Donald Trump ha dato una risposta degna di uno studioso di cinema. Ha rammentato "Quarto potere" [Citizen Kane] (1941) di Orson Welles, non solo in quanto miglior film di tutti i tempi, ma anche come il suo preferito. Sicuramente,  si tratta della migliore risposta a questa domanda avrebbe potuto dare qualsiasi altro presidente americano. Ma se si guarda a fondo, la cosa ha tutte le caratteristiche di un errore inconscio. Trump identifica come suo film preferito, quello che è l'unico film in cui si racconta il vuoto di un uomo ricco e potente, che per di più ha una sorprendente somiglianza con lui stesso. Infatti, come modello per il personaggio di Kane, si è tentati di associare Donald Trump a Citizen Kane a causa delle somiglianze tra Trump e Charles Foster Kane (Orson Welles). E per quanto sappiamo che non è stato così, si arriva a immaginare che Welles avesse in mente proprio Trump, piuttosto che William Randolph Hearst. Ora, tutto questo suggerisce che Trump, più che essere una persona sui generis (come è stato spesso interpretato), faccia parte di una lunga serie di figure americane. Tanto Trump quanto Kane hanno costruito imperi finanziari nell'industria dei media, e a partire da lì si sono procurati cariche politiche grazie alla loro magniloquenza e arroganza. È impossibile non vedere come tra di essi esistano dei parallelismi. Ma ai fini dell'ascesa di Trump, l'importanza di Citizen Kane non consiste tanto nelle somiglianze tra le loro vite, quanto piuttosto nel fatto che il film ci fornisce una analisi della sua politica e del suo consenso popolare. E in tal senso, è proprio il suo amore per il film che richiede che il film sia da lui interpretato in maniera sbagliata; perché solo così può essere possibile conciliare tale amore con il suo stile di fare politica.  Infatti, il film mostra il difetto fondamentale del genere di promessa fatta da Trump, la quale consiste nel sostituire un oggetto perduto per mezzo di un'incessante accumulazione. Citizen Kane è il ritratto di una figura dell'eccesso[*1] . Il film descrive come un abuso - nello specifico l'accumulazione eccessiva di beni - derivi dal tentativo di superare una carenza. Ma questo tentativo si rivela terribilmente fallimentare. Kane accumula una quantità crescente di oggetti che sortiscono l'effetto paradossale di aumentare la sua insoddisfazione, anziché alleviarla. Quanto più egli cerca di sopperire alla mancanza, ricercando l'eccedenza, tanto più diventa bramoso. In altre parole, quanto più produce in eccedenza, tanto più sente la mancanza, perché la ricerca dell'eccedenza fatta ai fini di sfuggire a questa mancanza [transfinita] continua a fallire. L'oggetto che caratterizza il suo status di soggetto bisognoso, la slitta chiamata “Rosebud”, viene dimenticato e scompare in mezzo all'eccedenza di merci. Trattandosi di un oggetto identificato dalla mancanza, essa non incarna il possibile appagamento del desiderio, ma l'intrinseca incompletezza del soggetto, la mancanza che nessun oggetto può eliminare. La slitta, a differenza di tutte le merci che Kane accumula, mostra la propria insufficienza (proprio quella mancanza che Trump, ma anche tutta la soggettività capitalistica, deve tollerare). Contrapponendo la slitta, come oggettivazione della mancanza, all'eccedenza degli oggetti accumulati dal protagonista, il film Citizen Kane presenta un'immagine del godimento che sfida il sistema capitalista.

Il film inizia con la parola di Kane morente, "Rosebud"; cerca così di collegare un oggetto a questo significante attraverso una serie di interviste infruttuose, condotte dal giornalista Jerry Thompson (William Alland). Anche se Thompson non trova mai la soluzione al mistero per tutto il film, alla fine Wells dà allo spettatore la risposta che nessuno nella diegesi può imparare [*2]. Ma la chiave della risposta si rivela completamente deludente. Nella scena in cui un dipendente della villa di Kane getta vari oggetti in una fornace, si vede una slitta per bambini che viene bruciata e il nome "Rosebud" scritto su di essa. Il pubblico collega questo a una scena iniziale del film: Kane gioca con questa slitta, ma Walter Thatcher (George Coulouris) arriva e lo porta via dalla casa dei suoi genitori per dargli la migliore educazione possibile. Sebbene il giovane Kane abbia un buon rapporto con sua madre, suo padre era violento. Questo porta la madre a mandarlo via, usando per farlo la fortuna che ha ereditato in modo da dargli così quella che presume sarà una vita migliore. Visto il trattamento che Kane ha subito da parte del padre, la slitta non può rappresentare un periodo della vita segnato dall'innocenza e dalla pura soddisfazione. La slitta non è un ideale dimenticato che Kane ha perso o che ha tradito. Non è qualcosa di piacevole che Kane abbia perso. Piuttosto, rappresenta la perdita stessa. Kane si riferisce alla slitta come a un oggetto perduto, non come a qualcosa che può ancora essere ottenuto. Quando perde la slitta, perde la propria perdita in quanto tale [*3]. Sebbene "Rosebud" sia una parola morente, Kane trascorre tutta la vita cercando di sfuggire alla sua mancanza, accumulando cose in maniera eccessiva. Citizen Kane rappresenta le conseguenze della negazione compulsiva e feticistica di questa caratteristica mancanza di soggettività capitalista. La slitta mancante rappresenta questa mancanza; l'eccessiva accumulazione di merci, a sua volta, oscura la persistenza di questa mancanza. La merce della slitta funziona come un feticcio che offre e promette completamento al soggetto; si tratta, tuttavia, di una promessa che egli viola e ricostituisce perpetuamente. Mostrando il contrasto tra la slitta come oggetto perduto e l'infinità di oggetti empirici accumulati da Kane, Orson Welles offre una delle visioni più chiare di come la dialettica della mancanza e dell'eccedenza si sviluppi all'interno della società capitalista. Citizen Kane si concentra sul contrasto tra la singolarità dell'oggetto perduto e impossibile, il quale fornisce soddisfazione attraverso la sua assenza, e l'eccessiva accumulazione di oggetti empirici. Questi rendono il soggetto incapace di riconoscere la propria forma di soddisfazione. Kane passa la sua vita a cercare di colmare la mancanza con l'eccedenza, ma muore rimpiangendo la sua incapacità di riempirla. Nessuno nella realtà diegetica lo fa, ma al contrario, è lo spettatore che sperimenta l'oggetto perduto alla fine del film; in tal modo è in grado di riconoscere questo oggetto come fonte di soddisfazione [*4]. Si vede quindi, in Citizen Kane, che l'eccedenza è una risposta alla mancanza, un tentativo di sostituire ciò che il soggetto non possiede con un'eccedenza che si sforza di ottenere continuamente. Kane risponde alla mancanza in modo eccezionale, in modo più eccessivo rispetto alla maggior parte delle persone. Ma, anche così, lavora come se fosse un ragazzo esemplare. L'ingresso nel linguaggio – la sottomissione al significante – produce un soggetto bisognoso, un soggetto con desideri che non possono essere soddisfatti [*5]. Questi desideri forniscono soddisfazione attraverso il loro non appagamento, piuttosto che il loro appagamento, attraverso la ripetizione del fallimento che caratterizza il desiderio. Ogni volta che il soggetto incontra un oggetto specifico che promette di soddisfare il suo desiderio, ecco che egli passa rapidamente a un altro oggetto. Nessun oggetto è pienamente soddisfacente, perché nessun oggetto può essere l'oggetto  che incarna ciò che il soggetto sente di aver perso. Con il pretesto di una ricerca di una varietà di oggetti empirici, il soggetto cerca un oggetto perduto inesistente che gli dia la soddisfazione finale. Il fallimento del desiderio deriva dal tipo di oggetto da cui dipende. Non è un oggetto presente, ma assente. Jacques Lacan lo dimostra attraverso il desiderio di guardare: «che cosa cerca di vedere il soggetto? Quello che sta cercando di vedere, non fraintendeteci, è l'oggetto come assenza». Anche se non si riesce a vedere un'assenza, si può comunque riconoscere la soddisfazione che deriva da ciò che non c'è. È questo ciò che la psicoanalisi svela, vale a dire, esattamente ciò che la soggettività capitalistica oscura, dal momento che questa conoscenza distruggerebbe l'illusione che conferisce alla merce il suo fascino. L'inesistenza di questo oggetto non estingue il desiderio del soggetto, poiché, anzi, ha l'effetto opposto. La sua assenza produce un'eccedenza all'interno della soggettività. Poiché sono intrinsecamente bisognosi, i soggetti desiderano eccessivamente. Le persone danno un grande peso al desiderio proprio perché esso non può essere soddisfatto. Questa fondamentale sovrapposizione tra mancanza ed eccedenza definisce la soggettività, ma segna anche il soggetto con un trauma ineluttabile. Il trauma che definisce la soggettività è la sua incapacità di separare la mancanza dall'eccedenza. La capacità di eccessivo godimento dei soggetti, è indissolubilmente legata alla condizione che li pone come bisognosi. Di conseguenza, nessuna quantità di eccedenza può consentire una via d'uscita dalla carenza. Più ne hai, più ti senti come se non ne avessi. Nessuna eccedenza è abbastanza eccessiva da trascendere completamente la mancanza. L'eccedenza ha la sua origine nella mancanza, per cui più si è eccessivi, più si sperimenta la mancanza. Ebbene, questo è esattamente ciò che Welles ci dice in "Quarto potere". Come per Kane, il successo di Donald Trump ha una chiara relazione con l'eccedenza. Vive eccessivamente: compra vaste proprietà, si circonda di donne attraenti, costruisce grandi alberghi e accumula enormi ricchezze (o almeno mantiene una tale apparenza). Coloro che si uniscono a lui in quanto candidato alla Presidenza, professano la speranza che egli trametterà gli eccessi economici e sociali della sua vita personale a tutto il paese, che renderà di nuovo grande l'America, creando ogni genere di eccessi: un eccesso di prosperità, di sicurezza, di identità nazionale. Tuttavia, la chiave della popolarità del suo programma politico non risiede tanto nella sua offerta di eccedenze, quanto piuttosto nell'inflazionare la sua domanda. Trump trionfa convincendo i sostenitori che essi sono individui bisognosi, i quali si trovano di fronte a un Altro eccessivo nella forma dell'immigrato, del governo cinese o del politicamente corretto. Invocando questa specifica distribuzione di mancanza ed eccedenza, Trump permette ai seguaci di godere dell'eccedenza dell'altro che respinge, assicurandosi anche che non siano eccessivi. L'importanza di Citizen Kane, ai fini di riuscire a capire Donald Trump, risiede nella sua capacità di diagnosticare quali sono le ragioni del suo fascino.

Immagini dell'eccedenza negli altri
Percepire istintivamente Trump, significa riconoscere che in lui l'esperienza dell'eccedenza appare come mancanza e che, quindi, non è mai abbastanza eccessiva. In altre parole, consiste nel capire che l'immagine dell'eccedenza si vende assai meglio dell'esperienza che se ne può avere. Le immagini dell'eccedenza sembrano perfettamente eccessive, mentre l'esperienza di tale eccesso è necessariamente in qualche modo insufficiente. Trump, quindi, non mostra semplicemente le immagini del mondo dell'eccedenza che egli spera di creare: l'America resa di nuovo totalmente grande. Indica, invece, immagini di eccedenza mostrandole nella figura dell'Altro. L'eccedenza sembra davvero eccessiva solo quando la si vede a immagine dell'Altro e non in sé stessi. L'immagine dell'Altro che eccede è la pura forma dell'eccedenza, ed è per questo che i populisti come Trump vi ricorrono costantemente. La strategia politica di Trump consiste nel bombardare i potenziali sostenitori con immagini di eccedenza nell'Altro, mentre si contrappongono alla mancanza in coloro a cui egli si rivolge. Le figure di eccesso presentate da Trump sono i criminali messicani, i leader politici cinesi, i rifugiati musulmani e i praticanti del politicamente corretto nelle università. Mentre queste figure presumibilmente godono dei loro eccessi, gli americani comuni invece soffrono della loro mancanza. Secondo quanto egli riferisce, abbiamo gli americani che soffrono di accordi commerciali sleali, di persecuzioni religiose e di epidemie di overdose di droga. In tal senso, è questa l'assenza di grandezza in America, e la presenza di grandezza nell'Altro – la mancanza americana e l'eccedenza straniera – la quale è ironicamente essenziale per l'appeal esercitato da Trump. Tuttavia, egli non pretende che l'America sia grande per far sì che i suoi sostenitori sperimentino così l'eccesso puro che promette loro; dal momento che l'eccesso puro è impossibile da sperimentare. Il suo fascino si basa sul fallimento dei suoi sostenitori nel riconoscere come siano già soggetti di eccesso; ecco, essi non possono affrontare il miscuglio di mancanza ed eccedenza che li costituisce come soggetti del sistema. È sempre più facile poter riconoscere l'eccedenza nell'Altro, o nel futuro, piuttosto che in sé stessi. E questo perché l'eccedenza completamente separata dalla mancanza non la si sperimenta mai . La mancanza si intromette anche nei momenti di eccedenza più estremi, creando una situazione in cui i momenti di eccesso quotidiani non sembrano poi così eccessivi. Se sei assorto a guardare una partita di calcio, o se sei impegnato nel compito di mangiare un pezzo di torta al cioccolato, emergono subito alcuni rimpianti perché tutto questo ben presto finirà. Compaiono nel momento in cui si pensa di dover andare al lavoro il giorno dopo, o quando i bambini, o altre persone, devono interrompere il loro gioco cruciale, o smettere di mangiare proprio al momento del boccone più gustoso. Come soggetti desideranti, non si può sperimentare l'eccesso allo stato puro. Mentre si potrebbe immaginare che tali disturbi siano solo contingenti, che hanno uno status di evento necessario. Non c'è un eccesso puro (anche se, con Trump, c’è un eccesso adulterante). Tuttavia, è possibile vedere nell'Altro quello che sembra essere puro eccesso: ecco le immagini del jihadista, dell'arabo che celebra l'11 settembre sul tetto della sua casa, quelle del partecipante a un seminario o del professore universitario politicamente corretto. Gli eccessi stessi non sembrano mai essere eccessivi come gli eccessi degli altri. Di fronte all'immagine dell'altro eccessivo, la propria esperienza sembra segnata dalla mancanza, ed è questo che viene rafforzato dall'esperienza; l'inganno circa la soddisfazione dell'altro ha conseguenze politiche deleterie. È esattamente questo ciò che Welles diagnostica in Quarto potere. Si vede Kane costantemente sedotto dall'immagine dell'Altro che si diverte in un modo al quale egli stesso non ha pieno accesso. Tutti i suoi tentativi di acquistare la merce perfetta, o di raggiungere lo status giusto, falliscono perché non può mai sfuggire completamente alla sua posizione di suddito bisognoso. Welles evidenzia la mancanza dello spettatore, facendolo in un modo che coincide con quello di Kane. Gli spettatori perdono il significato di "Rosebud" in quanto oggetto perfetto; e pertanto lo cercano allo stesso modo in cui lo fa Kane. Ma il film consente allo spettatore di prendere coscienza della soddisfazione che offra una tale  posizione di mancanza, in un modo che Kane stesso non offre mai. Kane continua a cercare l'eccesso libero dalla mancanza, mentre il film esorta lo spettatore ad abbracciare l'eccesso attraverso la struttura della mancanza. Ed è questa tensione fondamentale, tra la posizione dello spettatore e quella di Kane (e degli altri personaggi all'interno della diegesi), a definire il film. La posizione che Citizen Kane crea per lo spettatore, ci consente di interpretare anche il fenomeno Donald Trump. L'attrattiva di Trump consiste nella costante ricerca di un eccesso senza ostacoli, che lui attribuisce all'Altro, e che promette di riconquistare per il bisognoso suddito americano. Attribuendolo all'Altro, e privando i "veri americani" di tale eccesso, Trump riesce ad attribuirsi la capacità di vedere nell'Altro un eccesso che tuttavia non si può sperimentare in se stessi, fornendo in tal modo le basi per il conservatorismo politico. Se ci si chiede perché il conservatorismo sembri che affronti sempre un compito politico più semplice di quello che affronta la sinistra in lotta; la risposta risiede nella forma dell'apparenza che hanno, rispettivamente, mancanza ed eccedenza: la mancanza è oscura ed è difficile da vedere nell'Altro, ma è facile da sperimentare in sé stessi; mentre l'eccesso, al contrario, si può facilmente vedere nell'Altro, ma non è mai completamente evidente su sé stessi. Il risultato di una simile distribuzione, è che si nutre un sospetto intrinseco nei confronti dell'Altro, che poi si combina con la convinzione di essere vittima della situazione strutturale. La dinamica per cui si riconoscere la mancanza in sé stessi, e l'eccesso nell'Altro, è la forma fondamentale della fantasia [*6].

La fantasia, fornisce la cornice all'interno della quale i soggetti organizzano la propria soddisfazione. Prende di mira l'eccesso dell'Altro – la capacità dell'Altro di godere, e di farlo in un modo che il soggetto stesso non può; e offre al soggetto uno scenario attraverso il quale egli può accedere al piacere dell'Altro, che altrimenti rimarrebbe irraggiungibile per il soggetto. In questo modo, la fantasia permette al soggetto di compiere l'impossibile per riuscire a colmare il divario che lo separa dal piacere dell'Altro. Trump vende la fantasia che Kane vive. È una fantasia che scopre l'eccesso illimitato dell'Altro, ottenuto attraverso un incessante processo di accumulazione. Affinché questa fantasia possa funzionare, si richiede l'immagine di un Altro che appaia eccessivo. Il nocciolo della strategia politica di Trump, consiste nel parlare della fantasia di ciò che consiste in un puro eccesso, convincendo i propri seguaci di essere soggetti del puro bisogno, mentre gli Altri (gli immigrati, la Cina, le élite politicamente corrette di Hollywood) si divertono troppo. Questo contrasto tra i bisognosi e gli eccessivi, non solo parla di un'ingiustizia fondamentale che l'americano medio ha subìto; essa parla anche di un Altro eccessivo, di qualcuno che-  secondo lo schema di Trump - ha rubato quell'eccedenza che invece spetta propriamente a chi ne è sprovvisto. Ecco qual è la logica all'opera in "make America great again". La convinzione che l'altro abbia rubato l'eccedenza o la grandezza dell'America, è la formula di base della paranoia, la quale fa fare alla logica della fantasia un passo avanti [*7].  La paranoia è la struttura psichica che si sviluppa a partire dalla logica della fantasia. Mentre la fantasia non attribuisce la malevolenza all'Altro eccessivo, la paranoia invece pone l'Altro come se fosse egli barriera all'eccesso del soggetto. Jacques Lacan afferma che «la conoscenza paranoica è quella conoscenza che si fonda sulla... rivalità». Il paranoico non sfugge mai allo spettro della rivalità, facendo sì che così la sua mancanza implichi necessariamente un corrispondente eccedenza nell'Altro. L'eccedenza dell'Altro diventa, per il soggetto paranoico, la causa della mancanza sperimentata dal soggetto. Ciò che questo soggetto non riesce a vedere, è che l'altro può essere eccessivo solo se lo è nella misura in cui egli soffre dello stesso difetto di cui soffre il soggetto stesso. Così, da un lato, la paranoia ricorda costantemente al soggetto quali sono i suoi difetti, rispetto all'Altro. L'Altro gode illegittimamente di un eccedenza che invece appartiene legittimamente al soggetto, mentre il soggetto soffre della mancanza. Gli immigrati arrivano in America illegalmente e si impadroniscono di lavori o di benefici che appartengono legittimamente ai cittadini statunitensi. I leader cinesi si appropriano del Capitale che appartiene di diritto all'America. I campioni del politicamente corretto proibiscono tutte quelle trasgressioni sociali che invece in precedenza erano consentite. Ecco il  modo in cui la paranoia intrattiene i soggetti nell'effetto della delusione. D'altra parte, la paranoia è una posizione psichica che si rivela soddisfacente in quanto permette al soggetto di credere che ci sia qualcuno che gode davvero di un eccesso puro, privo di mancanze. Attaccando l'Altro che ha rubato l'eccedenza, il soggetto gode effettivamente di quell'eccedenza in un modo tale che, altrimenti, sarebbe impossibile. Consiste nell'attacco all'Altro, fatto con il pretesto di eliminare il piacere illecito dell'Altro, mentre offre l'opportunità di sperimentare l'eccesso genuino. Questo è il modo in cui il soggetto si identifica con il nemico che presumibilmente gli ha rubato il piacere. In questo senso, la soggettività paranoica consente di intravedere un eccesso che nessuno può sperimentare. Promettendo un puro eccesso che non esiste, la paranoia ha un fascino che supera tutte le altre strutture psichiche. È questo il motivo per cui i soggetti sono così pronti ad adottare un atteggiamento paranoico, anche quando esso contraddice direttamente non solo i fatti, ma anche la loro stessa bussola morale. La paranoia è difficile da smontare poiché, ogni volta che qualcuno rivela all'altro che anche lui è un essere bisognoso, proprio come lo è lo stesso soggetto paranoico, quest'ultimo può immaginare un eccesso celato che si nasconde dentro la mancanza dell'altro. È per questo che i telegiornali che ritraggono la situazione orribile dei rifugiati nei campi di concentramento o la normalità degli immigrati messicani raramente sono efficaci.L'eccesso che viene visto dal soggetto paranoico non ha nulla a che fare con l'Altro empirico. Si tratta di un  eccesso che deriva dal rapporto che il soggetto ha con sé stesso. Pertanto, abbandonare questa credenza di base equivale ad abbandonare la propria capacità di goderne. Per questo il soggetto paranoico che riflette sull'eccesso illegittimo dell'Altro, ne ricava un piacere che altrimenti sarebbe impossibile. Negare l'esistenza, nell'Altro, di questo godimento significa privare il soggetto paranoico del proprio godimento. Ecco perché anche molte notizie sullo stato reale delle cose non riescono a convincerli. Il fatto determinante della carriera politica di Donald Trump consiste nella sua riuscita attuazione della logica della paranoia. Il suo appello a coloro che si sentono bisognosi, offre loro un modo per godere di un eccesso non bisognoso. Così facendo, Trump offre ai suoi seguaci la possibilità di essere Charles Foster Kane, vale a dire, un cittadino dell'eccesso. In tal modo, amplifica semplicemente quella struttura di incentivi che il capitalismo fornisce alla psiche. Il suo successo politico rivela che egli ha imparato la lezione fondamentale del capitalismo, non come sistema economico, ma in quanto sistema psichico.

Capitalismo e fascismo
Sia Donald Trump che Charles Foster Kane sono soggetti capitalisti paradigmatici. Ma il successo politico di Trump deriva dalla sua grande capacità di trarre vantaggio dal difetto della psiche della logica stessa del capitalismo. Non è semplicemente un rappresentante del sistema capitalista, ma si presenta come qualcuno che offre il correttivo per quello che il capitalismo non può fornire. In questo senso, diventa la svolta verso il fascismo. L'economia capitalista dipende da dei soggetti che si sentono bisognosi nel mentre che essi identificano nell'Altro un eccesso. È questo ciò che motiva la competizione e dà impulso al sistema capitalista. L'eccedenza dell'Altro è ciò che i soggetti capitalistici mirano a ottenere per mezzo del processo di scambio, e grazie all'accumulazione di capitale. L'accumulazione del capitale è il tentativo di appropriarsi dell'eccedenza dell'Altro assumendola per sé stessi, al fine di eliminare la propria mancanza; ottenendo così l'eccedenza, senza che vi sia più alcuna traccia di mancanza. Marx, con la sua visione critica della sfera economica, descrive questo processo come appropriazione dell'eccedenza lavorativa da parte dell'Altro; tuttavia, tale processo è in atto, in maniera più ampia, in tutto il sistema capitalistico..È così che questo processo si è installato nella psiche per far sì che il capitalismo potesse funzionare. Di conseguenza, ogni azione nel capitalismo si basa sul tentativo di appropriarsi per sé stessi dell'eccesso dell'Altro, al fine di eliminare in tal modo la propria mancanza. È questa la logica del capitalismo che si è ormai installata nella psiche. Senza questa disposizione psichica, volta a superare la mancanza attraverso l'accumulazione del capitale, il capitalismo non potrebbe funzionare, semplicemente. Il capitalismo ha bisogno di soggetti per i quali l'accumulazione costituisce una legge inviolabile; Marx ne ha parlato quando, nel Capitale, asserisce che a Manchester la legge era «accumulare, accumulare! Ecco Mosè e i profeti». Se si ritiene che già si abbia troppo, non ci si  imbarca nel processo per accumulare continuamente sempre di più. È questo il motivo per cui gli agenti capitalistici devono costantemente ricordare alla gente che manca loro sempre qualcosa, e che tale eccedenza è disponibile solo per mezzo della merce. È questa la funzione di base svolta dalla pubblicità rivolta ai consumatori; ma ciò è anche quello che spinge l'azienda a cercare di assumere dipendenti, e l'imprenditore a considerare di attuare un investimento in capacità produttiva aggiuntiva, o l'agente di cambio a valutare che cos'è che gli conviene comprare e vendere. I soggetti capitalisti accumulano con l'idea di accumulare abbastanza denaro o merci per goderne poi senza restrizioni. L'idea di farlo senza misura, anziché semplicemente goderne, è assolutamente cruciale ai fini della strutturazione psichica degli agenti del capitalismo. Riconoscere che la soddisfazione implica una mancanza e che, pertanto, essa dipenda da una qualche forma di restrizione, impedisce di avere dei soggetti capitalistici efficaci. L'unica immagine consentita dal capitalismo, è quella di un godimento senza mancanza. Il problema, però, è che non si raggiunge mai l'obiettivo di averne abbastanza, poiché, man mano che ci si avvicina, quel punto si allontana facendosi sempre più distante, proprio come la luce verde che, per Gatsby, indica la casa di Daisy,  ne Il grande Gatsby. Man mano che ci si avvicina, ci si allontana sempre di più. Nell'universo psichico del capitalismo, più si ha, più si sperimenta la mancanza. Invece di colmare la mancanza, l'eccedenza la evidenzia sempre di più. Ecco perché gli accumulatori più ardenti nell'economia capitalistica non sono quelli che stanno in basso, ma quelli che stanno in alto. Ogni volta che si ottiene ciò che si desidera, diventa subito evidente che è necessario ancora un po' più di eccedenza. E una volta ottenuto ciò che volevi, vuoi più soldi, un telefono più nuovo o un televisore più grande. Accumulare, genera inevitabilmente il desiderio di accumulare ancora di più, anziché sancire la sazietà di desiderio. Nell'ambito dell'economia psichica capitalista,  dal momento che non si sperimenta mai qualcosa che possa essere considerato abbastanza eccessivo, nessuno dice che adesso possiede abbastanza. E questo perché l'esperienza di un eccesso non può mai essere così soddisfacente quanto invece promette di esserlo l'immagine di quello che lo sarà. L'eccedenza è eccessiva, nella misura in cui essa non può mai essere raggiunta; il che significa che non emancipa mai il soggetto dalla mancanza. Il risultato di questa logica, è quella per cui i soggetti capitalistici si trovano costantemente insoddisfatti senza che ci sia alcuna spiegazione chiara per tale insoddisfazione, dal momento che essa deriva dal sistema capitalista stesso. All'interno della logica del capitalismo, non esiste alcuna soluzione a questo problema. Siccome il problema non è risolvibile, esso ha il potenziale per produrre uno spirito rivoluzionario capace di guardare oltre l'orizzonte del capitalismo a un diverso sistema socio-economico [*8]. Ma per evitare che ciò accada, avviene che arrivi sempre in soccorso del capitalismo, nei suoi momenti di maggiore difficoltà, una fantasia paranoica. Nel capitalismo, infatti, la disposizione psichica fa sì che esso si trovi sempre sul punto di cadere nella paranoia; è questo motivo per cui la democrazia capitalistica si confronta continuamente con il pericolo del fascismo. La fantasia, secondo cui l'Altro sia la barriera che si frappone a quell'eccesso che il capitalismo promette, costituisce la fantasia fascista basilare. È precisamente questa. la fantasia promulgata da Donald Trump. Per Trump, è eccessivo è l'Altro; sia che si tratti dell'immigrato criminale, dell'astuto governo cinese o del professore universitario politicamente corretto. E quest'altro si frappone, poi, come la barriera che impedisce agli americani di sfuggire al bisogno. L'America può tornare a essere libera dal bisogno, o grande, semplicemente eliminando quella barriera. È la svolta paranoica che Trump imprime alla fantasia capitalista: un'inversione di tendenza che fa sì che la democrazia capitalista si muova verso il fascismo. La democrazia capitalistica si basa ora sulla fantasia che il soggetto coltiva circa l'eccesso dell'Altro. E non può fare a meno di questa fantasia di base perché adesso motiva l'incessante concorrenza tra il soggetto e gli Altri. Senza questa fantasia sugli Altri, nessuno si imbarcherebbe nel progetto di accumulazione che il capitalismo gli richiede. Anche Adam Smith lo confessa , nella sua "Teoria dei sentimenti morali", quando sottolinea come i ricchi vivano una vita miserabile, ma coltivano la necessaria fantasia che la ricchezza porterà loro completa soddisfazione. Smith sostiene che questa fantasia «risveglia e mantiene in continuo movimento l'industria dell'umanità». Se non si credesse nella fantasia che l'accumulazione ci porterà alla soddisfazione finale, si smetterebbe di accumulare. Ma quando questa fantasia capitalistica di base si trasforma in paranoia nei confronti di un Altro – visto come se esso fosse una barriera illecita all'eccesso ambìto dal soggetto – ecco che scoppia il fascismo. Il fascismo rappresenta la posizione pratica assunta dalla paranoia politica. Esso identifica in un Altro, o in  molti Altri i responsabili del furto delle eccedenza della società, e si assume l'impegno di realizzare l'impossibile progetto di eliminare questo Altro. Ma in definitiva il fascismo è un vicolo cieco; non può avere successo proprio perché la sua struttura paranoica dipende dal quell'Altro che cerca di eliminare. Quanto più il fascismo elimina l'Altro che gli appare come una barriera al raggiungimento di una pura eccedenza, tanto più finisce coll'erige un'altra barriera. Poiché non c'è puro eccesso, non c'è fascismo di successo.

Discorso di Orson Welles
Dopo aver nominato "Quarto potere", in quanto suo film preferito, Donald Trump ne ha anche dato una breve interpretazione. Ha sostenuto che la lezione del film consiste nel fatto che Kane non ha mai trovato la donna giusta; che la donna giusta gli avrebbe dato quella soddisfazione che né il suo giornale, né le sue proprietà, né le sue statue avrebbero mai potuto dargli. Kane ha provato a sposarsi per due volte, e ha fallito in entrambe, mentre invece Trump – così egli stesso sostiene – ha trovato la soluzione nella sua terza moglie. In tal senso, Trump avrebbe perciò imparato quella che sarebbe la lezione fondamentale proveniente da Citizen Kane; continuare a cercare la donna giusta finché non la trovi. Per quanto assurda possa sembrare, l'interpretazione di Trump non è del tutto sbagliata. Un simile errore diventa pertanto la base di tutto il suo progetto politico. Trump vede, correttamente, come il film si concentri su un oggetto che fornisce soddisfazione. Il film, tuttavia, non ci mostra un Kane che non ha mai trovato la sua Melania, dal momento che rivela come il suo fallimento sia proprio il risultato dei suoi sforzi per raggiungere un eccesso senza una mancanza. L'oggetto giusto non è empirico, non è una donna giusta, quanto piuttosto un oggetto assente. Kane non si rende conto che la soddisfazione implica sempre che in ciò che manca ci sia un Altro. E inoltre, non vede che la mancanza non solo sia inevitabile, ma è salutare per il soggetto. Per Kane, negare la necessità della mancanza significa condannarsi a una vita di sforzi infiniti che non portano da nessuna parte. È questa la posizione occupata anche dallo spettatore per la maggior parte del film. Come dice il commentatore James Naremore: «Come i giornali di Kane, anche la macchina da presa del regista va alla ricerca. Ecco, la sua ricerca instilla anche nel pubblico il desiderio di trovare il significato privato di Kane, anziché il suo significato pubblico». Ma alla fine del film, Welles allontana lo spettatore dalla perpetua ricerca di Kane dell'oggetto che sarebbe finalmente soddisfacente. Nel finale del film, Welles distoglie lo spettatore dalla perenne ricerca di Kane di un oggetto che possa essere finalmente soddisfacente. Il punto in cui il film distoglie lo spettatore dalla prospettiva di Kane (e da quella degli altri personaggi del film) è proprio quello che Trump non riesce a spiegare, né attraverso la sua breve interpretazione né tantomeno mediante il proprio progetto politico complessivo. Quando il film si conclude, nelle battute finali, il giornalista Thompson riassume l'esito della sua indagine. Conclude che la sua incapacità di trovare quell'oggetto - che corrisponde al significante "Rosebud" - significa che un simile oggetto non esiste, che non esiste alcun oggetto che possa rispondere al problema che il film aveva posto nella sua apertura. Anche un altro giornalista, poi gli dice: «Se si potesse scoprire il significato di Rosebud, scommetto che questo spiegherebbe tutto». Di fronte a questa considerazione, Thompson risponde allora: «No, non lo credo, per niente. Il signor Kane era un uomo che otteneva tutto ciò che voleva, ma poi ha perso. Forse Rosebud era qualcosa che non aveva ottenuto, o qualcosa che aveva perso. Ad ogni modo, questo non spiegherebbe nulla. Non credo che esista una qualche parola che possa spiegare tutta la vita di un uomo. No, penso che Rosebud sia solo un pezzo di un puzzle, un pezzo mancante». Mentre Thompson parla, Welles ritira indietro la macchina da presa e poter così creare un'inquadratura estremamente lunga dell'interno della villa di Xanadu, mostrando in tal modo molti di tutti gli oggetti che Kane ha accumulato. Questa scena sembrerebbe confermare la validità della tesi: tra tutti questi oggetti, è impossibile sceglierne uno che racchiuda il segreto dell'esistenza di Kane. Welles avrebbe potuto concludere il film con il discorso finale del giornalista Thompson. Ma, come accennato, parla della sua ultima incapacità di identificare l'eccesso che muove una persona. Se avesse concluso qui il film, Welles avrebbe proclamato che non è possibile conoscere l'eccesso dell'altro. Un finale del genere lascerebbe lo spettatore con l'illusione che ci sia un eccesso non correlato alla mancanza. Lascerebbe lo spettatore nella posizione del soggetto capitalista. In questo senso, nonostante l'inventiva formale di tutto ciò che viene subito prima, invece è la scena della slitta tra le fiamme a conferire al film la sua importanza politica. Mostrando allo spettatore la slitta, in quanto oggetto corrispondente al significante "Rosebud", Welles permette allo spettatore di vedere ciò che Thompson e gli altri personaggi non sono riusciti a vedere. Rosebud non è un oggetto misterioso che Kane sopravvaluta, come si potrebbe immaginare guardando il film. Rosebud è la perdita che definisce la loro soggettività. Piuttosto che essere la forma specifica di successo di Kane, questo oggetto indica invece proprio il suo singolare fallimento. Welles costringe così lo spettatore a vedere l'inevitabile connessione esistente tra la mancanza del soggetto e il suo eccesso, tra ciò che manca al soggetto e il modo in cui se ne gode; ossia, ciò che Kane stesso non vede mai. L'incomprensione di sé stesso come soggetto, che ha Kane, consiste nella luce che porta "Quarto Potere" in quanto film. Si può sfuggire alla logica dell'invidia e della paranoia, solo nella misura in cui si accetta che l'eccesso è inestricabile dalla mancanza. Solo in questo modo si può evitare di vedere gli eccessi negli altri come se essi fossero le barriere alla propria soddisfazione. L'eccesso non riempie la mancanza, e non la elimina, perché la ricrea sempre di nuovo. Esso è solo il modo per continuare ad affrontare questa mancanza. La scommessa di "Quarto Potere" come film è quella che si possa accedere al legame fondamentale esistente tra mancanza ed eccesso. Non c'è bisogno di passare la vita a cercare invano l'eccesso, solo per poi continuare a essere respinti nella mancanza. Non è necessario - per dirlo in altre parole - essere vittima della promessa di Donald Trump di superare definitivamente la mancanza. È possibile, invece, riconoscere che l'immagine dell'eccesso che vediamo nell'Altro è solamente l'esperienza della mancanza in sé stessi. Si può sfuggire alla paranoia, solo riconoscendo che si è già eccessivi; questa è la conclusione a cui "Quarto Potere" ci permette di arrivare. L'intero progetto politico di Donald Trump – e anche il progetto della sua vita – si basa sulla sua errata interpretazione del film. La sua fede nella promessa dell'eccesso puro, è esattamente ciò che il film mostra essere irrealizzabile. È solo intravedendo ciò che Trump non riesce a vedere nel film che si può evitare di cadere vittima della promessa capitalistica, la quale lascia sempre gli individui e la società sull'orlo del fascismo. Il film preferito di Donald Trump ci mostra in che modo opporsi a lui.

- Todd McGowan - Pubblicato il 14/12/2024 su "Economia e Complexidade" -

NOTE:

1 - Ciò che McGowan chiama eccesso è lo stesso di ciò che Hegel chiamava male infinito.

2 - Il punto chiave è che Thompson non riesce a trovare l'oggetto che corrisponde al significante "Rosebud" a causa del fatto che l'eccesso di merci oscura l'unicità degli oggetti in generale. Come osserva Hel-Geudi in "Orson Welles: La règle du faux", gli investigatori "non riescono a vedere quale sia l'obiettivo cruciale della loro ricerca in mezzo a tutta quella profusione di oggetti". (Vedi: Johan-Frédérik Hel-Geudi, Orson Welles: La règle du faux ; Parigi: Éditions Michalon, 1997). Allo stesso modo, l'eccesso capitalistico sortisce l'effetto di rendere impossibile riconoscere la colpa.

3 - Kane, dopo essere andato in collegio, perde la libertà che aveva e che Wells rappresenta sulla slitta. Ma perde anche la memoria di questa perdita; la ricerca di colmare una perdita perduta è un compito di Sisifo, uno sforzo irrazionale, una ricerca che non può mai essere soddisfatta. Il capitalismo, bloccando il "principio di piacere", facendo lavorare l'uomo in modo folle, sopprime la sua libertà, promettendogli in cambio una vita di godimento (una soddisfazione che rimane insoddisfatta). Il liberalismo, la socialdemocrazia, il neoliberismo e il fascismo sono normatività che tentano di sostenere questa promessa in qualche modo nella storia del capitalismo; Lo fanno per un po', ma finiscono per fallire perché il capitalismo entra inesorabilmente in crisi, compromettendo il raggiungimento del godimento. Il fascismo, alla fine, fa appello in un modo o nell'altro alla paranoia politica.

4 - Laura Mulvey sottolinea la disgiunzione tra la posizione dello spettatore e quella dell'investigatore in Citizen Kane; ne risulta che lo spettatore sperimenta il piacere del desiderio, che non è evidente a Thompson all'interno della diegesi filmica. Scrive: "mentre 'Rosebud' dà significato al 'mistero di Kane' nella storia, Welles presenta allo spettatore una serie di spunti visivi che letteralmente postulano questo mistero come immagini sullo schermo. Il testo enigmatico si materializza gradualmente in un appello a uno spettatore attivo e curioso che si diverte a individuare, decifrare i segni dati all'interpretazione". (Vedi Laura Mulvey, Fetishism and Curiosity, Bloomington: Indiana University Press, 1996). Ma la differenza va ancora oltre. Perché, dato il vantaggio dal punto di vista dello spettatore di apprezzare la slitta come un oggetto perduto per la soddisfazione, egli deve riconoscere che la soddisfazione sta nel decifrare la mancanza al di là del piacere, come sottolinea Mulvey.

5 - La necessità naturale, attraverso il linguaggio, si eleva a desiderio, diventando in principio infinita. Nelle società pre-capitaliste, quando la scarsità sembra ancora insormontabile, l'infinità del desiderio viene soddisfatta immaginariamente attraverso un principio di bene comune, che deve essere sostenuto dalla comunità, dallo Stato e dalla religione. Nella società capitalistica, in cui la scarsità è superata, a poco a poco, nel tempo, il desiderio è catturato dalla logica del capitale, che è dell'ordine del male infinito.

6 - La fantasia non è solo un integratore che viene introdotto nella vita di tutti i giorni per aggiungere un po' più di soddisfazione. È la base essenziale della vita di tutti i giorni. Tuttavia, la fantasia che guida la vita delle persone in generale è principalmente inconscia. Diventa noto solo attraverso riferimenti che ispirano le persone ad agire. Ecco cosa dice Juan-David Nasio nel suo libro sulla fantasia: "il soggetto è governato dalle sue fantasie, ma non vede la scena né distingue chiaramente i protagonisti". (Juan-David Nasio, Le Fantasme: Le plasir de lire Lacan; Parigi: Petite Bibliothèque Payot, 2005).

7 - Nel suo saggio fondamentale sulla fantasia, Un bambino è in banca, Freud mostra la relazione tra diverse forme di fantasia e lo sviluppo della paranoia. Per come la vede lui, la struttura della fantasia punta decisamente alla paranoia. E lo fa a causa della condizione privilegiata dell'altro (e del godimento dell'altro) nella fantasia. Vedi (Sigmund Freud, A Child Is Being Beaten: A Contribution to the Study of the Origin of Sexual Perversions, The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, vol. 22, ed. James Strachey, Londra: Hogarth Press, 1955).

8 - E questo nuovo sistema, non ancora realizzato nella storia, deve regolarsi con un buon infinito terreno, non trascendentale e non trascendente.

Scene del crimine…

"Made in USA", 2025
- dallo stock della crisi di mercato a una nuova crisi sanitaria? -

Mentre nel 2024, dopo l'elezione di Trump (e di Elon Musk, il suo vero ma effimero colister), il mercato azionario statunitense si trovava temporaneamente in rialzo, a quanto pare, nel 2025 il disincanto si diffonderà rapidamente tra l'elettorato di questa diarchia, e tra la classe capitalista nel suo complesso. La rivista francese Capital descrive senza mezzi termini la situazione del mercato azionario statunitense: «Il 2025,  per la maggior parte dei mercati azionari, potrebbe essere un anno volatile. E un crollo viene addirittura considerato probabile da BCA Research, che prevede che, da qui alla fine di giugno 2025, il mercato azionario crollerà di oltre il 20%. In tal senso, c'è tutta una serie di venti contrari all'opera (in particolare, c'è l'andamento negativo tanto dei consumi delle famiglie quanto dell'occupazione), per poi non parlare delle incertezze che hanno caratterizzato la politica economica degli Stati Uniti durante il secondo mandato di Donald Trump. Infine, le valutazioni raggiunte dal Nasdaq e dal Dow Jones suggeriscono che a Wall Street si sarebbe formata una bolla che potrebbe finire per scoppiare» [*1]

Sul fronte della salute internazionale, il famosissimo ricercatore di Hong Kong, Yuen Kwok-yung [*2] ha dichiarato pubblicamente che «una nuova pandemia è inevitabile, e sarà ancora più grave». Nonostante egli sia stato minacciato della revoca di tutte le sue qualifiche mediche, nel 2019-2020 ha affermato che "la scena del crimine" del Covid 19 era il mercato del pesce di Wuhan [*3] . Intanto, nel mentre, in altri paesi asiatici, gli effetti deleteri del cambiamento climatico, negati dalla tribù scettica del clima, si stanno facendo sentire  acutamente: «... da un'insolita malattia, trasmessa dalle zecche, in Thailandia, all'improvvisa comparsa, in Colombia, di un'infezione trasmessa da dei moscerini» [*4].

Stiamo assistendo al peggioramento della situazione, che avviene a partire dalla diffusione di quelli che sono dei nuovi fattori epidemiologici. La cosa è palpabile in tutti i continenti, anche in quelli più "sviluppati": «Gli effetti dovuti all'impatto del cambiamento climatico possono essere visti nel loro complesso, e vanno dalle epidemie record di dengue in America Latina e nei Caraibi, alla diffusione del "West Nile virus" negli Stati Uniti» [*5]. Tutto questo mentre, negli Stati Uniti, il campione di tutti i tempi delle armi di distruzione di massa, Donald Trump, ha aggiunto all’arsenale la propria bomba elettronica (epidemica) nominando un ex avvocato, Robert F. Kennedy Jr, al Dipartimento della Salute. Stiamo parlando di un sostenitore anti-vax patentato e di un estremista del “Bizness as usual”, i cui servizi tengono conto solo degli interessi della grande borghesia del settore agroalimentare, giocando consapevolmente a fare l'apprendista stregone: «Nelle ultime settimane, i team del signor Kennedy hanno contattato anche un importante produttore lattiero-caseario i cui prodotti a base di latte crudo sono stati sequestrati più volte a causa della contaminazione da virus H5N1. Perché hanno fatto? La futura amministrazione forse vuole beneficiare dei suoi consigli per promuovere il consumo di latte crudo negli Stati Uniti (sic)».

Intanto, un giornalista del quotidiano francese Le Monde ha riassunto la situazione come segue: «Quello che stiamo guardando è come un qualcosa fuoriuscito da un film dell'orrore. Non solo il futuro Segretario alla Salute degli Stati Uniti è un anti-vax, ma egli ha anche intenzione di promuovere, nei confronti dei virus attualmente in circolazione negli Stati Uniti tutti i comportamenti più rischiosi. La gestione da parte dell'America, della crisi H5N,1 ha messo e continuerà a mettere a rischio il mondo intero»[ *6].

- da "Pantopolis", 16 dicembre 2024.

NOTE:
 
[1] https://www.capital.fr/entreprises-marches/bourse-cac-40-nasdaq-dow-jones-ces-risques-pourraient-mener-a-un-krach-en-2025-1506836#:~:text=Le%20CAC%2040%20et%20Wall,de%20krach%20de%20la%20Bourse.

[2] Yuen Kwok-yung e il suo team hanno isolato e identificato la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), una malattia polmonare infettiva causata da un coronavirus.

[3] https://www.tf1info.fr/sante/sante-covid-19-une-nouvelle-pandemie-est-inevitable-et-sera-encore-plus-grave-alerte-un-eminent-chercheur-hongkongais-2310129.html.

[4] https://www.ledevoir.com/societe/sante/820083/chasseurs-virus-traquent-prochaines-menaces-pandemie.

[5] Articolo dell'AFP , in Le Devoir, Montreal, settembre 2024.

[6] Le Monde, 15 dicembre 2024.

lunedì 16 dicembre 2024

Chi ha paura di chi !!

Orwell fuggì dalla Spagna il 23 giugno 1937, a causa del pericolo che correva di essere imprigionato per aver combattuto nelle milizie del POUM. In realtà, l'articolo che segue è stato scritto in quello stesso momento in cui Orwell aveva iniziato a scrivere il suo "Omaggio alla Catalogna". Ed è per questo motivo che in entrambi i testi compaiono dei concetti e delle frasi che coincidono. La tesi più importante dell'articolo consiste nella la sua intuizione secondo cui lo stalinismo ha più somiglianze che differenze con il fascismo. Per un combattente antifascista come Orwell, questo rappresenta un brutale paradosso. Un paradosso che non viene assimilato del tutto (ovvero, non viene portato fino alle sue ultime conseguenze) allorché ci dice che, malgrado tutto, è meglio continuare a combattere il fascismo aperto di un Franco e di un Hitler, poiché il loro regime sarà sempre peggiore di quello del fascismo occulto del Fronte Popolare. Questa posizione di Orwell, incoerente e frutto di un'esperienza immediata, verrà modificata solo due mesi dopo, grazie alla riflessione politica. Ragion per cui, in una lettera datata settembre 1937 e indirizzata a Geoffrey Gorer (inclusa nel volume "La mia guerra civile spagnola"), egli scrive: «Dopo quello che ho visto in Spagna, sono giunto alla conclusione che è inutile essere antifascisti e cercare allo stesso tempo di mantenere il capitalismo. Il fascismo non è altro che uno sviluppo del capitalismo (...). Se si collabora con il governo imperialista-capitalista nella lotta contro il fascismo - vale a dire contro quello che è un capitalismo concorrente -  in effetti si lascia entrare il fascismo dalla porta di servizio». Questa analisi, fa di Orwell un lucido interprete della guerra di Spagna, vista nel suo significato storico più profondo: la collaborazione di classe dell'antifascismo ha negato la rivoluzione, e in tal modo ha quindi ostacolato l'azione dei lavoratori in quanto classe rivoluzionaria. Che questa nota serva anche come risposta chiara alle sciocchezze riversate dai neostalinisti e agli insulti di Paul Preston.

- Nota di Agustín Guillamón (maggio 1984 e dicembre 2024) -


Sono stato (testimone oculare) a Barcellona
- di George Orwell -

Molto è già stato scritto sui tumulti di maggio a Barcellona, e un quadro sinottico degli eventi principali è stato minuziosamente tracciato da Fenner Brockway nell'opuscolo "La verità sui giorni di Barcellona". Penso, pertanto, che la cosa più utile che posso fare sia semplicemente aggiungere, nella mia qualità di testimone oculare, alcune note marginali riguardanti alcuni punti particolarmente controversi. Consideriamo, prima di tutto, quale sarebbe stato lo scopo perseguito - ammesso che sia esistito - lo scopo perseguito dalla presunta insurrezione. La stampa comunista ha sostenuto che si sarebbe trattato di un tentativo accuratamente preparato per rovesciare il governo - e persino per consegnare la Catalogna ai fascisti, provocando così un intervento straniero a Barcellona. Questa insinuazione è troppo ridicola per richiedere una confutazione. Se era vero che il POUM e l'ala sinistra degli anarchici si sarebbero alleati con i fascisti, come spiegare allora che i miliziani in prima linea non abbiano disertato, lasciando una breccia aperta al fronte? Come spiegare che i trasportatori, membri della CNT, abbiano continuato, nonostante lo sciopero, a rifornire di cibo il fronte? Tuttavia, non posso affermare con assoluta certezza che non sia esistito, nella mente di un piccolo numero di estremisti - in particolare i bolscevichi-leninisti (che vengono abitualmente chiamati trotskisti), i quali  distribuivano volantini sulle barricate - un preciso progetto rivoluzionario. Ciò che posso dire è che gli uomini sulle barricate non hanno mai considerato di star prendendo parte a una rivoluzione. Tutti avevamo come la sensazione di stare agendo contro un tentativo di colpo di Stato da parte della Guardia Civil, la quale aveva occupato con la forza la Centrale Telefonica e che avrebbe potuto occupare anche altre strutture se non fossimo stati decisi a combattere. La mia interpretazione della situazione si basa su ciò che gli uomini stavano effettivamente facendo e dicendo in quel momento, ed è la seguente: gli operai sono scesi spontaneamente in strada per difendersi, e c'erano solo due cose che volevano consapevolmente, la restituzione della centrale telefonica e il disarmo delle odiate guardie civili. Bisogna anche tenere conto del risentimento causato a Barcellona dalla crescente miseria, e dallo stile di vita lussuoso della borghesia. Tuttavia, è probabile che se fosse stato trovato un leader in grado di trarne vantaggio, ci sarebbe stata la possibilità di rovesciare il governo. Viene da tutti ammesso che il terzo giorno gli operai erano in grado di prendere il potere in città; non si può negare che la Guardia Civil fosse profondamente demoralizzata e si era arresa in massa. Il governo di Valencia, avrebbe certamente potuto  inviare delle truppe fresche per schiacciare gli operai (infatti, inviò seimila guardie d'assalto quando i combattimenti furono finiti); ma non avrebbe potuto però mantenere a Barcellona quelle truppe qualora i trasportatori avessero deciso di non rifornirle. Tuttavia, fatto sta che non emerse alcun leader rivoluzionario determinato. I leader anarchici avevano disapprovato del tutto l'azione, e avevano detto di: tornate al lavoro. I leader del POUM rimasero dubbiosi. Gli ordini che ricevevamo sulle barricate difese dagli uomini del POUM - ordini che provenivano direttamente dalla direzione del POUM - ci ordinavano di sostenere la CNT, ma di non sparare, a meno che non ci avessero sparato loro per primi,  o che le nostre sedi e strutture fossero state attaccate (personalmente, sono stato oggetto di fucilate in diverse occasioni, senza però mai sparare in risposta.) Poi, via via che le provviste diminuivano, gli operai, a poco a poco, uno dopo l'altro, tornarono al lavoro. E naturalmente, una volta che fu permesso loro di disperdersi senza difficoltà, iniziarono le rappresaglie. Sapere, però, se la situazione rivoluzionaria avrebbe dovuto essere sfruttata è tutt'altra questione. Dovessi dare la mia opinione, risponderei di no. Per prima cosa, è dubbio che gli operai avrebbero potuto mantenere quell'energia per più di qualche settimana; e, in secondo luogo, ciò avrebbe significato perdere la guerra contro Franco. Dall'altra parte, però, l'atteggiamento essenzialmente difensivo degli operai era chiaramente legittimo: che si trovassero o meno in guerra, avevano tutto il diritto di difendere ciò che avevano conquistato nel luglio del 1936. Potrebbe sembrare ovvio dire che in quei giorni di maggio la rivoluzione era stata definitivamente perduta, ma io credo che però perdere la rivoluzione fosse un male minore - anzi a dire il vero molto minore - di quello di perdere la guerra. Il secondo punto in discussione riguarda i partecipanti. Quasi fin dall'inizio, la tattica della stampa comunista era stata quella di fingere che l'insurrezione fosse esclusivamente, o quasi esclusivamente, opera del POUM (assecondato da alcuni altri malfattori irresponsabili, se dobbiamo credere al New York Daily Worker). Chiunque si trovasse a Barcellona in quel momento sapeva che si trattava di un'affermazione assurda. In generale,  la stragrande maggioranza di coloro che difendevano le barricate apparteneva alla CNT. E questo è un punto importante, visto che di recente il POUM è stato rimosso in quanto capro espiatorio per la rivolta di maggio; i quattrocento e più membri del POUM che ora popolano le celle, sporche e infestate da cimici, di Barcellona, ufficialmente si trovano lì a causa della loro partecipazione ai disordini di maggio. E' pertanto essenziale dimostrare che, per due buone ragioni, il POUM non è stato, né avrebbe potuto esserne, il motore. Prima ragione: il POUM era un partito di minoranza. Se sommiamo al numero dei membri del partito, quello dei miliziani in congedo e wuello dei sostenitori e simpatizzanti di ogni tipo, il numero dei membri del POUM per strada, non poteva certo avvicinarsi ai diecimila (e probabilmente non arrivava a più di cinquemila); e invece, il numero di partecipanti alla rivolta è stato stimato in decine di migliaia. Secondo motivo: c'è stato uno sciopero generale, o quasi generale, durato diversi giorni. Senza dubbio, il POUM da solo non avrebbe potuto avere il potere di scatenare uno sciopero, e lo sciopero non avrebbe potuto avere luogo se i militanti della CNT non lo avessero voluto. Quanto a coloro che erano impegnati dall'altra parte della barricata, il Daily Worker di Londra, in una delle sue edizioni, ha avuto la sfrontatezza di pretendere che l'insurrezione sarebbe stata repressa dall'Esercito Popolare. Tutti a Barcellona sanno - e il Daily Worker non può ignorarlo - che l'Esercito Popolare è rimasto neutrale, e  durante tutto il periodo dei disordini le sue truppe non hanno lasciato le loro caserme . Alcuni soldati, tuttavia, vi avevano preso parte, ma a titolo individuale. Io ne ho visti due, uno sulle barricate del POUM. Il terzo punto ha a che fare con  il presunto accumulo di armi, da parte del POUM, a Barcellona. Questa storia è stata così talmente  diffusa che persino un osservatore come H. N. Brailsford, di solito con un grande senso critico, l'accetta senza verificarla, arrivando a parlare di carri armati e pezzi di artiglieria che il P.O.U.M. avrebbe rubato dagli arsenali del Governo (New Statesman, 22 maggio). In realtà, il POUM possedeva purtroppo assai poche armi, tanto al fronte quanto nella retroguardia. Durante i combattimenti di strada, mi sono trovato in quelle che erano le  tre fortezze principali del POUM: la sede del suo Comitato Esecutivo, in quella del Comitato Locale, e nell'Hotel Falcón. Vale la pena elencare in dettaglio le armi presenti in questi edifici. Si contavano in totale un'ottantina di fucili, alcuni dei quali difettosi, oltre ad alcune vecchie armi di diversi modelli, tutte fuori uso per mancanza di proiettili adatti. Per quanto riguarda le munizioni: una cinquantina di cartucce per fucile, niente mitragliatrici, niente pistole, niente proiettili di pistola, alcune scatole di bombe a mano che ci erano state mandate dalla CNT dopo l'inizio dei combattimenti. Un eminente ufficiale della milizia che mi ha parlato dell'argomento, riteneva che a Barcellona il POUM possedesse un totale di circa 150 fucili e una sola mitragliatrice. Pertanto, come si vede, si trattava solo dell'armamento giusto per le guardie che, a quel tempo, tutti i partiti senza eccezione, PSUC, CNT-FAI, collocavano nelle loro sedi più importanti. Forse si sostiene che, anche durante le giornate di maggio, il POUM ha continuato a nascondere le sue armi? Ma allora che cosa rimane della teoria della rivolta di maggio, vista come un'insurrezione guidata dal POUM per rovesciare il governo? In realtà, il maggior responsabile, e di gran lunga, riguardo la questione delle armi che venivano tenute lontane dal fronte, è il governo stesso. Sl fronte aragonese, la fanteria era molto peggio armata di quanto lo è in Inghilterra una scuola OTC. Mentre al contrario, le truppe della retroguardia - le guardie civili, le guardie d'assalto, i carabinieri - che non erano state assegnate al fronte, ma che venivano usate per mantenere l'ordine (o meglio: per intimidire gli operai) nella retroguardia, erano armate fino ai denti. Le truppe sul fronte aragonese avevano fucili Mauser deteriorati che in genere si inceppavano dopo cinque colpi, avevamo una mitragliatrice ogni cinquanta uomini e una pistola o un revolver ogni trenta. E queste armi, così necessarie nelle trincee della linea di fuoco, non venivano distribuite dal governo, ma dovettero essere acquistate illegalmente e con grande difficoltà. Le guardie d'assalto avevano fucili russi, nuovi di zecca, e ogni gruppo di dodici uomini aveva la sua mitragliatrice. Questi dati parlano da soli. Un governo che manda al fronte dei quindicenni con vecchi fucili di oltre quarant'anni, e tiene nelle retrovie i suoi uomini più forti e le sue armi più moderne, è manifestamente più spaventato dalla rivoluzione che dai fascisti. Sta qui la spiegazione della debolezza della politica di guerra degli ultimi sei mesi, e del compromesso con cui la guerra sicuramente finirà . Quando, tra il 16 e il 17 giugno, il POUM, l'opposizione di sinistra (che si pretendeva che fosse trotskista) erede del comunismo spagnolo, venne soppresso, la cosa in sé non sorprese nessuno. Già a maggio, e anche da febbraio, era diventato evidente che, se i comunisti avessero realizzato i loro propositi, il POUM sarebbe stato liquidato. Tuttavia, la repressione improvvisa e il misto di perfidia e brutalità con cui l'azione venne condotta, colsero tutti, compresi i leader, alla sprovvista. Ufficialmente il partito veniva soppresso e l'accusa - ripetuta per mesi dalla stampa comunista senza che fosse presa sul serio da nessuno in Spagna - di essere al soldo dei fascisti si abbatteva sui dirigenti del POUM. Il 16 giugno, Andrés Nin, il leader del partito, viene arrestato nel suo ufficio. Quella stessa notte, senza preavviso, la polizia fa irruzione nell'Hotel Falcón - una specie di pensione familiare organizzata dal POUM e frequentata principalmente dai miliziani in permesso - arrestando tutti coloro che si trovavano lì, senza accusarli di nulla in particolare. La mattina dopo, il POUM viene dichiarato illegale e tutti i suoi locali, non solo uffici, biblioteche, ecc., ma anche le librerie e le infermerie per i feriti vengono sequestrati dalla polizia. Nel giro di pochi giorni quasi tutti i quaranta membri del Comitato esecutivo vengono arrestati. Uno o due di loro, che erano riusciti a nascondersi, sono costretti a consegnarsi quando, facendo uso della condatta imparata dai fascisti, le loro donne vengono prese in ostaggio. Nin viene trasferito a Valencia, e da lì, a Madrid, accusato di aver venduto informazioni militari al nemico. È inutile dire che le solite confessioni, le lettere misteriose scritte con inchiostro invisibile e tutte le altre prove, erano pronte per essere pubblicate in una tale abbondanza che potevano ragionevolmente essere considerate come già preparate in anticipo. Intorno al 19 giugno, da Valencia, la notizia che Nin era stato ucciso arriva a Barcellona. Speravamo che la voce fosse falsa, ma è quasi superfluo sottolineare quanto sia obbligatorio per il governo di Valencia fucilare alcuni, forse una dozzina, di dirigenti del POUM se vuole che le sue accuse siano prese sul serio. Durante tutto questo periodo, la base del partito, non solo i membri, ma anche i soldati appartenenti alle milizie del POUM, e simpatizzanti o sostenitori di qualsiasi tipo, venivano gettati in prigione non appena la polizia riusciva a catturarli. È quasi impossibile fare una statistica esatta, ma tutto indica che, durante la prima settimana, ci sono stati più di quattrocento arresti, solo a Barcellona. Sappiamo, senza nessun dubbio, che le prigioni erano così talmente  piene che un gran numero di prigionieri dovette essere rinchiuso in tende e altre strutture temporanee. Secondo la mia inchiesta, nel corso di questi arresti non è stata fatta alcuna distinzione tra coloro che hanno preso parte ai disordini di maggio e coloro che non l'hanno fatto. Del resto, la messa al bando del POUM era retroattiva. Dal momento che il POUM era appena stato messo fuori legge, tutti coloro che avevano fatto parte del POUM venivano considerati trasgressori della legge. La polizia ha persino arrestato i feriti nelle infermerie. Ho visto, per esempio, tra i detenuti di una delle prigioni, due uomini che conoscevo, che avevano avuto una gamba amputata; e persino un bambino che non aveva più di dodici anni. Bisogna pensare a che cosa significhi praticamente, la reclusione in Spagna in questo momento. Per non parlare del sovraffollamento delle carceri provvisorie, delle condizioni igieniche precarie, della mancanza di luce e di aria e del cibo sporco, e di come ci sia la totale assenza di qualsiasi cosa che possa assomigliare alla legalità. Nulla è più legittimo, per esempio, dell'habeas corpus; ebbene, secondo la legge attualmente in vigore in Spagna - o, comunque, secondo la sua attuale applicazione - chiunque potrebbe essere imprigionato a tempo indeterminato, non solo senza processo, ma anche senza accusa. E finché non c'è un'accusa, le autorità possono, se vogliono, tenerti in isolamento (cioè, non hai il diritto di comunicare nemmeno con un avvocato o qualsiasi altra persona al di fuori del carcere). È facile capire quale valore si possa dare alle confessioni ottenute in simili condizioni. La situazione è ancora peggiore per i più poveri, dato che, insieme alle altre organizzazioni del POUM,  è stato soppresso anche il Soccorso Rosso, il quale forniva un avvocato ai detenuti. Ma forse l'aspetto più odioso di tutti è il fatto di avere deliberatamente impedito che, almeno per cinque giorni o più, qualsiasi informazione su questi eventi potesse raggiungere le truppe sul fronte aragonese. Per l'esattezza, sono stato al fronte dal 15 al 20 giugno. Sono stato trasferito in ambulanza nelle città di seconda linea, Siétamo, Barbastro, Monzón, ecc. In tutti questi luoghi, le sedi delle milizie del POUM, i loro Comitati di Soccorso Rosso e le altre strutture funzionavano normalmente; anche perfino a Lleida (100 chilometri da Barcellona), e fino al 20 giugno, nessuno sapeva assolutamente niente del fatto che il POUM era stato soppresso; non venne detta una parola sui giornali di Barcellona, mentre allo stesso tempo in quelli di Valencia (che non arrivarono sul fronte aragonese) si diffondeva la storia del tradimento di Nin. Come tanti altri compagni, anch'io ho fatto l'amara esperienza di tornare a Barcellona per scoprire che durante la mia assenza il POUM era stato soppresso. Fortunatamente, sono stato avvertito appena in tempo per poter riuscire a scappare, ma altri non hanno avuto alcuna possibilità. Ogni miliziano del POUM che arrivava dal fronte in quel momento, poteva solo scegliere tra nascondersi immediatamente o venir messo subito in prigione. Un'accoglienza davvero gradevole dopo tre o quattro mesi in prima linea! Il motivo di tutto questo era ovvio: l'offensiva di Huesca era appena iniziata, e il governo probabilmente temeva che, se i miliziani del POUM avessero scoperto cosa stava succedendo, avrebbero abbandonato il fronte. Personalmente, non credo che la fedeltà dei miliziani sarebbe venuta meno. Ma, in ogni caso, avevano il diritto di conoscere la verità. C'è qualcosa di indicibilmente odioso nell'inviare uomini in battaglia (quando ho lasciato Sietamus, i combattimenti erano già cominciati e i primi feriti, messi sulle ambulanze, venivano sballottati su strade abominevoli) nascondendo loro che, proprio in quello stesso momento, alle loro spalle, il loro partito era stato soppresso, i loro capi denunciati come traditori e i loro amici e parenti gettati in prigione. Senza dubbio, tra tutti i partiti rivoluzionari, il POUM era il più debole, e la sua soppressione riguardò solo poche persone. Secondo tutte le indicazioni, in tutto non ci saranno stati più di una ventina di fucilati o condannati a lunghe pene detentive, alcune centinaia di esistenze distrutte e qualche migliaio di perseguitati per qualche tempo. Tuttavia, la sua soppressione è, se vista come un sintomo, assai importante. In primo luogo, mostra  all'estero in maniera chiara quello che era già evidente ad alcuni osservatori in Spagna: che l'attuale governo ha più punti di somiglianza, piuttosto che di differenza, con il fascismo (il che non significa in alcun modo che il fascismo più aperto di Franco e Hitler non valga la pena di essere combattuto. Quanto a me, era già da maggio che avevo capito la tendenza fascista del governo, ma ciò non significava che avrei smesso di continuare a fare il volontario al fronte, come ho fatto). In secondo luogo, l'eliminazione del POUM è un segno sconfortante dell'attacco imminente nei confronti degli anarchici. Sono loro i nemici più temuti dai comunisti, molto più di quanto abbiano mai temuto il POUM, numericamente insignificante. Adesso anche i leader anarchici hanno avuto una dimostrazione dei metodi che verranno usati contro di loro: l'unica speranza che rimane per la rivoluzione, e probabilmente anche per la vittoria in guerra, è che la lezione sia loro utile e che si decidano a difendersi prima che sia troppo tardi.

- Articolo di George Orwell che Historia 16 pubblicò nel 1984, fonte: ser històrico -
-  Articolo pubblicato in inglese sulla rivista "Controversy" nell'agosto del 1937 e in francese sul n° 255 di "La Révolution Prolétarienne" del 25 settembre 1937 -