Nella sua "Introduzione a Finnegans Wake" (contenuto nella raccolta di saggi critici, "Our Exaggeration Round His Factification for Incamination of Work in Progress", originariamente pubblicato nel 1929 per i tipi della Shakespeare & Company), alla ricerca di un avvicinamento tra Joyce e Vico, Samuel Beckett comincia dando una definizione di Vico: «Giambattista Vico era un pratico napoletano dalla testa rotonda». C'è da dire che la traduzione che ne dà Lya Luft nel volume collettivo "Riverrun, Essays on James Joyce" (pubblicato da Imago nel 1992, recita invece che: «Giambattista Vico era un puritano napoletano». Un'altra traduzione più recente - di Lucas Peleias Gahiosk - pubblicata nella rivista Revista de Teoria da História (UFG), presenta invece la frase di Beckett come : «Giambattista Vico era un napoletano pratico e con i piedi per terra». Inoltre, il traduttore, per chiarire la scelta del termine "foot-in-the-ground"aggiunge addirittura una nota a piè di pagina :
« Beckett usa il termine "testa rotonda", che era usato anche da Joyce, in modo positivo, per sottolineare l'orientamento di Vico verso l'empirismo. Si veda: VERENE, Donald Phillip. Su Vico, Joyce e Beckett. In: Beckett/Filosofia. Matthew Feldman e Karim Mamdani. Stoccarda, Ibidem-Verlag, 2015. p. 69. »
Il problema non è tanto solo quello di eliminare un termine, dall'originale in traduzione, ma quanto piuttosto quello di eliminare un termine così importante ai fini della corretta valutazione della triangolazione Vico-Joyce-Beckett (tanto più allorché si tratta di un insieme di opere nelle quali la valorizzazione dei "termini" è enorme - si pensi all'uso che fa Vico fa filologia). L'evocazione della "testa" non solo corrisponde all'evocazione della "ragione" (il cogito, soprattutto nel momento in cui pensiamo alla rivalità che Vico stabilisce fin dall'inizio nei confronti del progetto cartesiano), ma serve a porre in primo piano la materialità del corpo, del suo peso, della sua influenza: nella sua Autobiografia, Vico parla di come egli fosse caduto, e aveva battuto la testa da bambino; e James Joyce, quando evoca Vico, si premura di ribadire questo fatto: questa scena inaugurale della testa incrinata come se fosse una password per poi poter vedere il mondo con altri occhi.
Nella sua opera, la mancanza di distanza critica di Beckett nei confronti di Cartesio è nota: tutto quanto aveva avuto il suo inizio con "Whoroscope", un lungo poema scritto in inglese ma pubblicato a Parigi da "The Hours Press" (una piccola casa editrice che aveva indetto un concorso letterario, vinto in quell'anno da Beckett). In quel poema, il personaggio principale è Cartesio (Beckett avverte di questo nelle note), il quale medita a proposito del tempo (era questo il tema del concorso!) mettendo in atto qualcosa che ricorda una sorta di flusso di coscienza mescolato a dei commenti culinari, geografici, teologici e retorici.
La testa, il cranio: Eugene Webb, in un libro del 1974 (The Plays of Samuel Beckett), parla dell'ambientazione di "Finale di Partita" come se si trattasse dell'interno del cranio «di un individuo che ha chiuso gli occhi al mondo». Nei suoi Quaderni, Paul Valéry racconta di aver avuto tra le mani il cranio di Cartesio durante una visita al Museo di Storia Naturale. Niente di più appropriato per il creatore di Monsieur Teste: per Valéry, il cogito di Cartesio è una finzione, se non addirittura un procedimento fittizio che non intende cambiare il pensiero ma serve, solamente, a dare coerenza alla storia che genera - proprio allo stesso modo di Teste, una storia che non vuole altro che perdersi nel suo proprio stesso infinito.
fonte: Um túnel no fim da luz
Nessun commento:
Posta un commento