Nonostante tutti gli orologi che ci danno l’illusione di una sua misurazione oggettiva, il tempo è qualcosa di molto diverso nella nostra esperienza personale: rigorosamente strutturato nella musica, illimitato e piacevole quando siamo nel cosiddetto “tempo libero”. Quando siamo annoiati o preoccupati, il tempo sembra lentissimo; quando siamo rapiti nella contemplazione, assorbiti da un compito, persi nell’amore o liberi di giocare, sembra che voli o si fermi.
Ancora diversa è la nostra percezione del tempo quando lo si collega al vortice delle interazioni sociali, al mondo in continua accelerazione degli affari e dei media, quando leggiamo un libro o quando possiamo comunicare o diffondere un messaggio in ogni continente. Poi all’improvviso arriva un giorno in cui il trascorrere del tempo è l’unico nostro pensiero…
Rüdiger Safranski ci conduce con competenza e maestria nei mille volti del tempo muovendosi tra pensatori, filosofi, scienziati, scrittori e fornendo spunti e riflessioni per trattare con cura questa merce preziosissima.
(dal risvolto di copertina di: Rüdiger Safranski, "Il tempo. Che cos’è e come lo viviamo". Keller, pagg. 216, euro 18)
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- Perduto, ritrovato, frammentato, relativo. Rüdiger Safranski riflette sul concetto che più di tutti sfugge all’essere umano -
di Marco Belpoliti
Italo Calvino ha scritto una volta che la cosa che ci sembra più scarseggiare, e di cui siamo ovviamente avari, è il tempo. Correvano gli anni Ottanta del XX secolo e oggi le cose sembrano messe anche peggio. Come ci avverte in un libro molto acuto, Il tempo, Rüdiger Safranski, saggista tedesco, viviamo in un regime temporale molto rigido: orari di lavoro, tempo libero, frequenza della scuola, corsi di formazione, eccetera. Neppure la pandemia ha incrinato questo regime, anzi, per alcuni aspetti, salvo forse il tempo del lockdown, l’ha persino irrigidito. Ora gli obblighi sanitari istituiti dal Covid regolano in modo molto più preciso il nostro tempo: quello che possiamo e quello che non possiamo più fare. Il tempo ha preso ad accelerare e insieme a rallentare, così sperimentiamo due regimi differenti del tempo, qualcosa che ci ha resi ancora più schizofrenici rispetto a ciò che facciamo ogni giorno. Ora, come ci avverte la frase di copertina, tratta da Der Spiegel, il tempo è un labirinto ed è questa la sensazione che si ha comunemente quando si pensa al tempo che stiamo passando in queste settimane. Mentre ci barcameniamo con il contagio, da qualche parte i computer lavorano per guadagnare tempo, per arrivare in anticipo con le nuove produzioni ed essere sempre più rapidi a sfruttare le innovazioni. Nel capitolo sul “tempo regolamentato” l’autore ci spiega, senza saperlo, in cosa consista il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”: viviamo nell’epoca del credito facile, poiché la produzione del valore si è spostata dal passato al futuro. «Consuma adesso e paga dopo», sembra lo slogan più adatto a definire il nostro tempo, in cui il pagamento del debito sembra spostato così avanti che non sono ancora nati coloro che lo pagheranno. Il tempo è anche questo.
Nel tempo privo di eventi dei mesi di lockdown abbiamo sperimentato la noia, cui Safranski dedica il primo fulminante capitolo: «più gli eventi si assottigliano più il tempo si fa evidente». Il pensatore che ha sviscerato meglio la noia è Martin Heiddeger, che ha chiarito che il tempo non è solo un mezzo in cui ci si muove, ma noi umani ne siamo anche i coproduttori. E poiché ogni agire è connesso alle conseguenze imprevedibili, che si mostreranno solo col trascorrere del tempo, la seconda figura dopo la noia è la preoccupazione: un tempo aperto e quindi temibile. L’età moderna, ha scritto Ulrich Beck, reca con sé un nuovo motivo di inquietudine: il rischio. Anche questo lo abbiamo sperimentato col Covid 19. Non solo il rischio, ma anche la cura contro il rischio. Con che effetti? Il progresso tecnico-sociale accresce l’influenza umana sul futuro, e dunque cosa ne sarà delle generazioni future e del Pianeta? Cos’è in definitiva il tempo? Un prodotto sociale, si dovrebbe rispondere. I nostri orologi lo certificano, ma già Aristotele l’aveva compreso: «il tempo è questo: il numero del cambiamento secondo il prima e il poi» (Fisica). E non c’è solo l’orologio a determinarlo, ma anche il denaro: «un mezzo della dilatazione temporale del consumo immediato». Gli economisti lo sanno bene: il denaro è tempo futuro, dal momento che non solo il tempo è denaro, ma ora prima di tutto il contrario. Più si avanza nella lettura del libro di Safranski più s’aprono sentieri che ci offrono soluzioni differenti nel nostro cammino per uscire dal labirinto medesimo. Quale imboccare?
Einstein ha alimentato la nostra immaginazione facendoci capire con le sue teorie della relatività che il tempo non è più un medium omogeneo, ponendosi il problema della simultaneità: il tempo scorre in modo differente nell’universo e nessuno può esperire la sincronizzazione di questi tempi lontani nello spazio stellare. Il fascino e il successo di un libro come quello di Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, va interpretato come il bisogno di una guida nel labirinto del tempo, così come la fisica quantistica non è più solo roba da scienziati, ma un modo per evadere con la mente e l’immaginazione da una costrizione temporale sempre più fitta e stringente. Come ha scritto acutamente Alexander Kluge, regista e saggista, viviamo sotto «l’attacco del presente al resto del tempo», una cosa che sparge a piene mani ansia. Eppure in uno degli aforismi di quel libro talmudico suo malgrado che è il Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein, c’è scritto: «Se, per eternità, si intende non infinita durata del tempo, ma intemporalità, vive eterno colui che vive nel presente». Cosà avrà voluto dire quel genio intrattabile del filosofo austriaco? Che dobbiamo vivere nel presente? Safranski, acuto studioso dei filosofi tedeschi, ci spiega che il presente non è la cruna dell’ago temporale attraverso cui viene fatto passare il tempo, ma piuttosto ciò che persiste per eccellenza. Schopenhauer ha usato una efficace definizione: il tempo è il verticale che taglia la linea orizzontale del tempo. Mentre il mondo antico immaginava l’eternità opposta al tempo come atemporalità, esistono tuttavia anche attimi che fendono verticalmente il tempo e l’attualizzano nel presente. Sono quelli della felicità, che si sperimenta nell’arte, nella poesia e soprattutto nell’amore. Lì ci dimentichiamo di noi stessi, delle nostre preoccupazioni, degli interessi materiali, dei crucci e dei doveri. Lì il tempo non esiste più. Chi non ha mai sperimentato questo tempo è senza dubbio il più infelice degli umani.
- di Marco Belpoliti - Pubblicato su Robinson del 22/1/2022 -
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