Attacco all'Ucraina: la lotta per l'ordine mondiale
- La rottura delle relazioni russo-tedesche e il ritorno della guerra come continuazione della geopolitica imperialista in Europa -
di Tomasz Konicz
"Shock and awe"! È questo il denominatore del massiccio attacco della Russia all'Ucraina, in cui, in tempo assai breve, sono stati bombardati decine di obiettivi, al fine di paralizzare le forze armate ucraine e impedire una resistenza coordinata contro l'avanzata dell'esercito russo nell'est del paese (al momento, le forze di terra russe sono attive solo a est del Dnieper). L'attacco su larga scala a livello nazionale, nel quale le strutture di comando, i depositi e le forze aeree dell'Ucraina sono stati attaccati, e parzialmente distrutti, assomiglia al metodo usato dagli Stati Uniti nell'ultima guerra in Iraq, quando l'aviazione americana ha anche fatto ricorso a un assalto schiacciante contro le infrastrutture militari del regime iracheno in difficoltà. Questo inizio della guerra in Ucraina, ha lo scopo di dare una lezione agli USA e all'UE. Imitando l'attacco statunitense all'Iraq, il Cremlino vuole dimostrare che la Russia si trova, militarmente, allo stesso livello imperialista dell'Occidente; un livello che dal punto di vista geopolitico Washington, Berlino e Bruxelles vogliono negare a Mosca. La sfera d'influenza imperiale russa nello spazio post-sovietico, che non avrebbe più dovuto essere concessa a questa Mosca in declino economico, viene ora letteralmente bombardata dalla Russia nucleare, mentre l'Occidente deve assistere impotente, se non vuole rischiare un'apocalisse nucleare. In tal modo, il Cremlino mette così in chiaro che difenderà il più possibile la propria posizione imperiale, come una grande potenza che vuole ottenere le sue "sfere d'influenza", proprio come gli Stati Uniti e la Germania.
Germania e Russia: strette relazioni economiche
Le conseguenze politiche ed economiche della guerra saranno enormi, soprattutto per Berlino, dal momento che la Repubblica Federale Tedesca continua a mantenere strette relazioni economiche con la Russia; sebbene abbiano superato il loro zenit, dopo la debacle filo-occidentale di Kiev nel 2014, che include anche la successiva guerra civile ucraina. La bilancia commerciale Germania-Russia ha raggiunto il suo picco, corrispondente a 80 miliardi di euro, nel 2012, per poi scendere a 48 miliardi nel 2016, in seguito alle sanzioni. L'anno scorso c'era stata una leggera ripresa che l'aveva riportata a poco meno di 60 miliardi di euro. La Germania esporta principalmente prodotti di alta tecnologia, come macchinari o automobili, mentre la Russia esporta materie prime, e soprattutto combustibili fossili; con una leggera eccedenza commerciale. Circa il 55% del gas naturale che viene importato in Germania proviene dai depositi russi. La Germania rimane così il più importante partner commerciale europeo della Russia; a livello globale, la RFT, come partner, è stata superata dalla Cina solo pochi anni fa. Una grande battuta d'arresto per le ambizioni della politica energetica di Berlino, è stata costituita dalla cancellazione del controverso gasdotto Nord Stream 2, la cui messa in opera avrebbe reso la Germania un centro di distribuzione dell'energia in Europa centrale. Ora, invece, i consumatori e l'industria tedeschi dovranno far fronte a un rapido aumento dei prezzi dell'energia. Secondo l'ex presidente russo Dmitry Medvedev, ben presto ci vorranno 2.000 dollari per ottenere 1.000 metri cubi di gas. Questa imminente conseguenza economica, può essere stata la ragione più importante che ha causato l'atteggiamento esitante di Berlino verso Mosca. A Washington, sulla stampa americana, il rifiuto di Berlino di fornire armi all'Ucraina, o di abbandonare il progetto del gasdotto del Mare del Nord, è stato aspramente criticato per settimane. E ora quando persino la "Tagesschau" ritiene che, una volta "fallito" il metodo della politica tedesca verso la Russia basato sul "dialogo", sia probabile un sostanziale riorientamento da parte di Berlino. Pertanto, la strategia tedesca di una penetrazione soprattutto economica nello spazio post-sovietico, fallita in primo luogo a causa dell'invasione russa dell'Ucraina, in ultima analisi a causa dei mezzi militari di Mosca. Ai "think tank" tedeschi piacerebbe spiegare questo percorso tedesco in direzione di uno sviluppo geopolitico del potere, a partire dal concetto di geoeconomia, come una strategia complessa nella quale «il commercio, la tecnologia, la finanza o la politica energetica vengono strumentalizzati e vengono usati come mezzi per poter raggiungere obiettivi strategici». Il modo in cui si svolge un simile conflitto geoeconomico, è quello sperimentato dalla Grecia nel corso della crisi del debito nell'estate del 2015, quando il paese ellenico violentato da Schäuble venne portato sull'orlo del collasso economico.
La geopolitica tedesca e le differenze interne all'Occidente
Ma in realtà, nei confronti della Russia non esiste un'univoca politica tedesca; ma tale politica è stata sempre solo l'espressione di un'instabile costellazione di potere costituitasi tra, da una parte, le forze in seno alle élite funzionali tedesche orientate all'Occidente (spesso derise come atlantiste) e, dall'altra, le forze derise, a loro volta, come "simpatizzanti di Putin", le quali sostenevano un orientamento eurasiatico verso la Russia, la Cina, ecc. Non esiste alcuna perfetta sovrapposizione tra lo spettro politico e la rispettiva preferenza geopolitica, poiché eurasiatici e atlantisti si trovano in proporzioni variabili in quasi tutti i partiti del Bundestag - anche se la SPD, il Partito della Sinistra e soprattutto l'AfD hanno una percentuale particolarmente alta di "simpatizzanti di Putin". Gli atlantisti, invece, li possiamo trovare principalmente tra i Verdi. Si tratta semplicemente dell'orientamento geopolitico della RFT in quanto superpotenza europea dominante, nel cui ambito si devono realizzare le sue proprie ambizioni globali: per esempio, l'espansione della sfera d'influenza tedesca nell'Europa orientale e sudorientale, la quale, nel corso dell'allargamento dell'UE, da tempo è stata trasformata nel banco di lavoro esteso dell'industria d'esportazione tedesca. Sullo sfondo di questa formazione, costituita da fazioni sciolte e mutevoli all'interno delle élite funzionali tedesche, è emersa di fatto una doppia strategia verso la Russia, che il geo-stratega tedesco Wolfgang Ischinger ha descritto come «congagement»: un neologismo composto dalle parole inglesi che vengono usate per «contenimento» e «coinvolgimento». La cooperazione economica, dove la Russia assume de facto la posizione periferica di fornitore di energia e materie prime, è stata accompagnata dagli sforzi della Germania per minimizzare l'influenza geopolitica della Russia nell'Europa orientale e nello spazio post-sovietico. Alla fase di tumultuosa espansione economica e politica degli anni '90 - quando Berlino ha sostenuto la disintegrazione della Cecoslovacchia, la dissoluzione della Jugoslavia e l'espansione verso est dell'UE e della NATO - è seguita la fase di cooperazione con l'ascesa al potere di Putin, che si è conclusa solo nel 2014 con la crisi in Ucraina. Tuttavia, sulla scia della rivolta filo-occidentale a Kiev, è diventato anche chiaro come Berlino sia attiva in quanto attore geopolitico indipendente che non permette a Washington di dettare la sua politica. Nel 2013, esisteva ancora un accordo circa lo sforzo di separare l'Ucraina dalla pianificata unione economica russa. A quel tempo, la Germania, attraverso la Fondazione Konrad Adenauer, costruì il partito Klitschko UDAR, il quale mirava a un cambiamento di potere attraverso nuove elezioni, ma che durante i combattimenti di Maidan entrò rapidamente in conflitto con forze più radicali, sponsorizzate dagli USA. Il famoso «Fuck the EU» della diplomatica statunitense Victoria Nuland, pubblicato come registrazione di una conversazione telefonica al culmine della crisi, riflette proprio queste differenze interne all'Occidente, cosa che spiega anche l'attuale reticenza tedesca.
"Oceanico" contro "Eurasiatico"
A partire da allora, Washington ha cercato di creare un cuneo tra Berlino e Mosca, attraverso un'ulteriore escalation al fine di impedire il formarsi di una grande alleanza eurasiatica, mentre Berlino ha invece cercato di abbracciare Mosca fino alla morte, per ridimensionarla alla periferia, come parte di una strategia di cambiamento grazie a un avvicinamento economico. L'impero in declino di Washington vede la Cina - insieme a un'alleanza eurasiatica (parola chiave: Nuova Via della Seta) - come la minaccia centrale alla sua egemonia in declino. Un intervento degli Stati Uniti a Kiev, ha pertanto lo scopo di consolidare la propria alleanza "oceanica", che si estenda quanto più possibile attraverso l'Atlantico e il Pacifico, ed è in ultima analisi rivolta contro la Cina. Oceanico contro eurasiatico: è questo il che definisce l'attuale lotta egemonica globale, nella quale i campi imperialisti stanno cercando di espandere i confini delle loro sfere di influenza. Gli Stati Uniti, per esempio, stanno cercando di ricondurre saldamente di nuovo nella loro sfera d'influenza l'UE dominata dalla Germania; Europa, che dall'era Trump vuole sempre più agire come un attore indipendente. La crescente autonomia d'azione degli Stati tardo-capitalisti si fa sentire anche nei paesi dell'Europa dell'Est, i quali dipendono economicamente dalla Repubblica Federale, ma allo stesso tempo tendono però a fare dei propri patti con gli Stati Uniti (soprattutto la Polonia e i paesi baltici) allorché si tratti di silurare un ulteriore avvicinamento tra Berlino e Mosca. La vecchia paura, di lunga data, dell'Europa centrale e orientale di subire una nuova divisione della regione tra Berlino e Mosca, ravvivata dal gasdotto Nord Stream, ha fornito agli Stati Uniti una buona leva di potere, nel "cortile" economico della RFT, per spingere questa agenda. In definitiva, i crescenti conflitti militari che si stanno svolgendo nella semi-periferia del sistema mondiale, ivi comprese le ambizioni imperiali della Turchia, sono proprio dovuti al declino imperiale degli Stati Uniti. Washington non può più mantenere la promessa che aveva fatto negli anni '90, di essere la "polizia del mondo" e di monopolizzare ampiamente l'uso dei mezzi militari in delle sanguinose guerre di ordinamento mondiale. Le potenze regionali si stanno muovendo in quel vuoto di potere sempre più emergente per poter imporre le loro ambizioni imperialiste con mezzi militari, se necessario.
Ordine mondiale instabile e crisi del capitale
Si tratta, in breve, nella crisi socio-ecologica del capitale, del così tanto invocato «ordinamento mondiale multipolare». Il declino degli Stati Uniti ha infatti portato all'emergere di una serie di piccoli «Stati Uniti junior», i quali vogliono proiettare all'estero, con mezzi militari, le loro crescenti distorsioni sociali (e, in prospettiva, anche ecologiche) causate dalla crisi: dalle avventure belliche turche in Siria, nel Caucaso meridionale e in Libia, all'invasione russa dell'Ucraina, fino al possibile scontro tra Pechino e Washington su Taiwan.
Una crisi economica, somigliante a quella degli anni '30, si sta abbattendo su degli apparati statali in rovina. La necessità di trasferire agli altri le conseguenze della crisi è in costante crescita. Nell'ambito della sua espansione economica, la Repubblica Federale di Germania è riuscita letteralmente a esportare le conseguenze della crisi, quali il debito o la disoccupazione, grazie a degli elevati surplus commerciali a spese dei deficit di quei paesi importatori dell'offensiva dell'esportazione tedesca. La crisi del debito sovrano dell'Eurozona nell'ultimo decennio ne è un esempio. In un tale contesto, non è meno importante che gli Stati Uniti, spietatamente sovra-indebitati, siano effettivamente costretti a lottare per la loro posizione egemonica, dal momento che devono mantenere il dollaro come moneta mondiale. Senza il dollaro - come unità di misura del valore di tutte le materie prime, e che fino a poco tempo fa Washington poteva stampare a volontà per finanziare l'enorme deficit di bilancio degli Stati Uniti - gli Stati Uniti degenererebbero diventando un gigantesco Stato debitore armato di nucleare. Le élite funzionali americane, a causa dello sconvolgimento sociale in patria, hanno ormai da tempo sviluppato una paranoia circa l'influenza russa, simile a quella sviluppata dal Cremlino nei confronti delle «rivoluzioni colorate» finanziate dall'Occidente.
Ma in fondo è proprio la crisi socio-ecologica globale del capitale, specificamente nella sua forma di inflazione crescente, che sta impedendo anche a Washington questa opzione di "deficit spending", con cui si potrebbero mascherare le contraddizioni interne.
Il pericolo di una Grande Guerra
In questo modo, per le élite funzionali tardo capitaliste la guerra come strumento politico diventerà ancora più attraente. È un catalizzatore del processo di crisi economica e, a lungo andare, anche del processo di crisi ecologica: gli sconvolgimenti sociali che ne derivano trovano in essa un mezzo violento per scaricarsi all'esterno, che finisce per realizzare la tendenza autodistruttiva del capitale; perfino la minaccia di una grande guerra nucleare. Nel caso dell'Ucraina, possiamo ancora sperare che l'unico pericolo nucleare sia costituito dalle centrali nucleari del paese: un intervento della NATO sembra per ora improbabile, dopo che il presidente americano Biden ha scartato la possibilità di un intervento militare diretto, già prima della guerra. Tuttavia, non si può escludere una nuova escalation bellica. Oggi, la sinistra impotente ha solo l'opzione della lotta per la pace e del lavoro di informazione: evidenziando come necessità per la sopravvivenza, una trasformazione sistemica post-capitalista, al fine di evitare il collasso barbarico a causa di un'altra guerra su larga scala.
- Tomasz Konicz - 24 febbraio 2022 -
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