Cinema: l'orrore come poesia e anestesia
- di José Geraldo Couto -
Nightmare Alley [La fiera delle Illusioni] di Guillermo del Toro, che quest’anno concorre all'Oscar come miglior film, è un curioso caso di riciclaggio tardivo del genere noir, così come lo sono stati, a suo tempo, Chinatown (Roman Polanski, 1974), Brivido Caldo (Lawrence Kasdan, 1981) e persino Blade Runner (Ridley Scott, 1982). Si tratta, infatti, di un remake del classico "Nightmare Alley", diretto nel 1947 da Edmund Goulding e interpretato da Tyrone Power. Il film di Del Toro è oggi nei cinema, mentre quello di Goulding è appena entrato nella piattaforme di streaming ed è anche disponibile su Youtube. Potrebbe essere interessante confrontare le due versioni, non come giudizio di valore (tipo, «questo è meglio di quello»), ma piuttosto per osservare le differenze tra due epoche, due cinema, due mondi, oltre, naturalmente, alle differenze di stile e di temperamento dei due registi.
Racconto morale
In entrambi i casi la storia - tratta dal romanzo Nightmare Alley (1946) di William Lindsay Gresham [Sellerio] - è fondamentalmente la stessa: un giovane povero e ambizioso, Stanton Carlisle, viene assunto come tuttofare in un parco divertimenti itinerante, dove impara a fare un numero di telepatia ("mentalismo", nel linguaggio dell'epoca), per poi lanciarsi in una carriera di successo per conto suo, in partneriato con la sua dolce compagna Molly. Nel film originale, Stanton è interpretato da Tyrone Power; nel remake, da Bradley Cooper. Coleen Gray è Molly nel film del 1947, un ruolo che nella versione di Guillermo del Toro viene assunto da Rooney Mara. In entrambi i film, il dramma si approfondisce nel momento in cui Stanton, nelle sue performance, oltrepassa il confine esistente tra telepatia (il "mentalismo") e la medianità (lo "spiritualismo"), cosa che Molly considera una grave trasgressione etica, un crimine di ciarlataneria. In entrambi i casi, abbiamo a che fare con un racconto morale, una parabola sull'ambizione e sulla mancanza di scrupoli, un vizio analogo a quello dell'alcolismo, visto a partire dai suoi deleteri effetti sulla condotta umana. Il film del 1947 è più snello, più condensato; 40 minuti più corto di quello nuovo.
La prima cosa da esaminare, quindi, è che cosa Guillermo del Toro abbia aggiunto nella sua versione. Ci sono state diverse aggiunte. Forse il più importante di questi è il background del protagonista. Nel film di Goulding, Stanton Carlisle arriva dal nulla e non si sa nulla della sua vita precedente. Quello del 2021, invece inizia già mettendo in scena un avvenimento emblematico della sua biografia, al quale la narrazione poi tornerà di tanto in tanto. Ciò che è stato aggiunto, è una dimensione psicoanalitica, esplicativa del comportamento del personaggio. Oltre a questo, vediamo tutta una serie di personaggi, e di episodi, che sono assenti nell'originale, insieme a descrizioni più dettagliate della vita al Luna Park e nella metropoli, così come assistiamo anche all'introduzione di quello che è il contesto storico (l'invasione della Polonia da parte di Hitler, la seconda guerra mondiale, il governo Roosevelt), che nella prima versione è del tutto assente. Nel film di Del Toro, tutto è più esplicito soprattutto l'erotismo e la violenza. Nella versione di Goulding, il geek (l'uomo-bestia che divora polli vivi) aveva una grande importanza, soprattutto simbolica, ma che noi non vedevamo sullo schermo. Nel film del 2021 appare in tutto il suo orrore, così come appaiono i feti umani e gli animali deformi. Il cambiamento sembra voler quasi dire che, proprio come il pubblico della fiera delle attrazioni di una volta, anche il pubblico del cinema di oggi si aspetta di venire scioccato a livello sensoriale. Come se volessero vedere "tutto", senza dover immaginare nulla. Il sensazionalismo del circo degli orrori contamina così l'esperienza cinematografica. Il cinema - vale la pena ricordare - ha avuto iniziato proponendosi come l'attrazione di una fiera a buon mercato.
Ostentatamente Noir
Ma forse, in questo confronto tra le due messinscena della medesima storia, la cosa più curiosa è nel constatare come la versione recente sia più ostentatamente noir dell'originale, vale a dire, i segni e le figure stilistiche più caratteristici del genere sono molto più presenti nel film di Del Toro: riprese prevalentemente notturne in controluce, con una illuminazione espressionista, abuso di inquadrature oblique, contrasto tra ambienti esageratamente lussuosi rispetto ad altri esageratamente sordidi, un protagonista freddo che cammina si muove lungo il confine di una frontiera morale, ecc. Nel ruolo della viperina psicologa Lilith Ritter, vediamo una scatenata Cate Blanchett che interpreta una femme fatale da almanacco, quasi un clone di Veronica Lake, in contrasto con la più discreta Helen Walker, che era la sua controparte nella versione originale. Guillermo del Toro, abituato com'è a vagare con disinvoltura nel fantastico (Cronos, Il labirinto del fauno, La forma dell'acqua), si addentra qui in un terreno rigorosamente "realistico"; nel senso che non ricorre mai al soprannaturale (anzi, al contrario, il film, in un certo senso, costituisce una critica all'illusione del soprannaturale, una denuncia della manipolazione della fede nell'al di là). Nel cambiare genere e terreno, il regista messicano sembra aver adottato un approccio apparentemente contraddittorio: un realismo brutale combinato con una ostentata stilizzazione. Non a caso, Nightmare Alley è in gara anche per gli Oscar per la cinematografia, alla direzione artistica e ai costumi. Se nell'immediato dopoguerra, il film di Goulding scommetteva ancora su una certa discrezione e si affidava all'immaginazione dello spettatore, Del Toro preferisce invece abbagliarlo con uno stile visivo spinto all'estremo, nel mentre che simultaneamente lo rassicura spiegandogli tutto nei dettagli, senza altresì lasciare nulla all'ombra dell'ambiguità. Investe in tal modo sulla passività di un pubblico saturo di immagini di ogni tipo. Può anche non essere ciarlataneria, ma si tratta comunque di una forma di illusionismo.
- José Geraldo Couto - Pubblicato il 17/2/2022 su OutrasPalavras -
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