domenica 6 febbraio 2022

Estrattivista e Neocoloniale !!

da "IL MURO ENERGETICO DEL CAPITALE", - di Sandrine Aumercier
- Un contributo al problema dei criteri di superamento del capitalismo dal punto di vista della critica delle tecnologie -
INTRODUZIONE

Il vecchio ottimismo del pensiero marxista, che per liberare la società dal lavoro si basava sullo sviluppo delle forze produttive, non prevede quasi nessuna eccezione [*1]. La tecnologia viene descritta come un fattore di alienazione nelle condizioni attuali, tuttavia il prossimo mutamento la farebbe passare da un segno "meno" a un segno "più", e così farebbe, per così dire, esplodere le sue possibilità emancipatrici, o perfino lo sviluppo tecnologico, liberando progressivamente la forza lavoro, assecondando un determinismo che la porterebbe automaticamente a un superamento dialettico del capitalismo. Questa ambivalenza, che fino a oggi è stata caratteristica del pensiero marxista, mette quindi in discussione, insieme allo statuto della tecnologia, anche un elemento decisivo della critica del capitalismo, e che in parte spiega la repulsione reciproca che marxisti ed ecologisti hanno a lungo intrattenuto [*2]. Questa repulsione pervade ancora le lotte sociali, sebbene si sia cominciato a costruire qualche ponte; questo di fronte all'evidenza che le crisi sociali e le crisi ecologiche non sono rispettivamente «preoccupazioni dei poveri» e «preoccupazioni dei ricchi» bensì piuttosto manifestazioni multiple di una stessa crisi fondamentale che colpisce tutte le classi sociali. Il fenomeno della crisi globale sta ora cominciando a imporsi al pubblico come discorso alla moda circa il collasso, facendolo diventare un affare che coinvolge a tutto campo i politici, a partire da lotte sparse e opzioni teoriche frammentate. Quanto a coloro che hanno consacrato tutte le loro ricerche alla descrizione della crescente alienazione e autonomia del sistema tecnologico - come Jacques Ellul o Bernard Charbonneau in Francia - lo hanno fatto prendendo le distanze dalla critica marxista, giudicata inadatta a questo compito a causa del pregiudizio produttivista che indubbiamente continua ad abitarla. Analogamente, le obiezioni fondamentali a una «neutralità della tecnica», fatte da autori come Lewis Mumford, Günther Anders o Ivan Ilich, non hanno ricevuto dai marxisti una risposta soddisfacente. Ognuno di questi autori ha cercato di trovare un criterio che gli permettesse di distinguere in modo rilevante la buona e la cattiva tecnologia. Marx, da parte sua, ha descritto una mutazione qualitativa introdotta dalla meccanizzazione industriale, che non ci consente più di parlare di «tecnologia in generale» come se si trattasse di una disposizione umana trans-storica.

Oggi, l'aggravarsi della crisi ecologica pone più ferocemente che mai - tra i sostenitori della geo e della bio-ingegneria e la ricerca indefinita della razionalizzazione tecnologica, da un lato, e dall'altro i sostenitori del biocentrismo, del primitivismo o dell'ecologia profonda, passando per i movimenti low-tech o della decrescita a metà strada tra i due - la questione della salvezza per mezzo della tecnologia,  Gradualmente, si tratta sempre meno della questione di salvare una natura ampiamente danneggiata, e sempre più dello status di una tecnologia abitata da manie di grandezza che sta diventando il centro del dibattito ecologico. Questa controversia costituisce anche il nucleo della polemica che oppone gli autori del "Manifesto contro il lavoro" ai loro detrattori delle Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances [*3]. Ed è precisamente il tema della riappropriazione delle forze produttive, quello che Jaime Semprun rileva nel manifesto del gruppo Krisis, in questa o in quella pagina, e al quale si oppone, ma senza mai confrontarsi con le categorie della critica marxiana [*4]. Ci troviamo così di fronte a due critiche: una del lavoro, e l'altra anti-industriale, le quali sono più o meno impermeabili l'una all'altra, e che polemizzano in modo difensivo circa il grado di radicalità dei loro rispettivi punti di vista, avendo ciascuna, per così dire, rilevato il punto cieco dell'altra. Ma è Anselm Jappe che, a detta dello stesso Semprun, ha l'ultima parola in questo dibattito: «Una critica del capitalismo senza una critica della società industriale è insensata, quanto lo è una critica della società industriale senza una critica del capitalismo». [*5]
Il posto che la tecnologia sta prendendo nelle polemiche post-situazioniste, dove vengono lanciate le accuse più oltraggiose - ma che comportano allo stesso tempo anche i loro rispettivi momenti di verità [*6] -, rende necessario riprendere una tale questione insieme a quella del lavoro: esse condividono una radice storica comune. Così, forse allora potremo evitare la querelle riguardo gli usi che moralizzano e soggettivizzano determinati artefatti tecnologici, la quale rende impossibile perfino pensare alle condizioni materiali del dispiegamento tecnologico. Perfino gli stessi autori della critica del valore sono diversamente posizionati circa questo punto. Ne consegue che se si prende sul serio - non la conservazione astratta della natura, ma proprio la domanda "rivoluzionaria" che viene posta dall'abolizione del lavoro - la vaghezza sulla questione che riguarda la tecnologia non può più essere mantenuta:
«Se per "rivoluzione" intendiamo una reale rottura con il lavoro, visto come espressione feticizzata e autonomizzata della vita sociale, allora dobbiamo concludere che durante la storia del capitalismo nessuna rivoluzione ha avuto luogo. Una simile uscita dalla civiltà capitalista non è mai stata nemmeno seriamente considerata. La critica dell'apparato tecnologico, che è il supporto indispensabile del lavoro astratto, nella storia dei movimenti di protesta, è stata anch'essa ampiamente elusa.» [*7]

Con il suo libro, "Klimakiller Kapital" (2020), Thomas Konicz ha recentemente dato un contributo alla crisi ecologica, nel campo della critica del valore. Notando una disinibizione della corsa alla crescita piuttosto che una considerazione dell'ovvio degrado delle condizioni di vita sulla terra, l'autore dispiega un gran numero di esempi di ostruzione politica e di negazione del riscaldamento globale, orchestrata principalmente dalla destra dura.[*8] Il neofascismo delle élite d'ufficio - come quello di Trump, Bolsonaro o Duterte - è una delle forme più evidenti di gestione della crisi in cui il tardo capitalismo sta affondando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. La corrente della critica del valore, sulla quale Konicz basa esplicitamente le sue analisi, dedicandole una parte del libro, mette in evidenza la continua diminuzione della massa totale del lavoro vivo, come risultato dell'automazione del lavoro - cioè anche della creazione di valore -, minacciando la "società del lavoro" di collassare su sé stessa, man mano che si avvicina a questo limite interno assoluto. Ciò lascia sempre più popolazioni in soprannumero che vegetano alla periferia del capitalismo globale, mentre il capitale fittizio continua la sua corsa a capofitto per contrastare la contrazione inesorabile della sua stessa sostanza. Le crisi ricorrenti del capitalismo appaiono quindi come delle esplosioni storiche di un'unica, matura crisi strutturale. La sfera politica non ha i mezzi per reintrodurre la "regolamentazione" e i meccanismi di ridistribuzione in questa dinamica sistemica, poiché essa stessa dipende da un drenaggio fiscale su una massa evanescente di valore. Si tratta di una dinamica che si è resa autonoma, e che i vari "portatori di funzioni" servono solo a loro insaputa, siano essi lavoratori o capitalisti. La presentazione di Konicz ci permette così di affrontare le principali tesi della critica del valore e di metterle in relazione con l'analisi specifica della crisi climatica. Ma il libro contiene anche delle imprecisioni, che sono dannose per l'esposizione teorica. Thomas Konicz sostituisce sistematicamente il termine "lavoro salariato"a quello di lavoro astratto, ottundendo così la punta di diamante della critica del lavoro portata dalla corrente della critica del valore. «Il lavoro salariato forma la sostanza del capitale», scrive più volte [*9]. Il lettore viene così portato a pensare che le forme di lavoro non salariali potrebbero non essere soggette alla stessa dinamica di svalutazione generale. Robert Kurz definisce il lavoro astratto come segue: «Il lavoro salariato del dipendente si trova a essere incluso in questa nozione di lavoro (astratto), ma non la esaurisce. Include anche l'attività dei capitalisti e del management, cioè si estende alla totalità delle classi e dei gruppi nella gerarchia delle funzioni capitalistiche.»[*10]. Altrove, Robert Kurz dà una definizione ancora più folgorante: «Oggigiorno, la maggior parte delle persone sembra essere paralizzata da questa espressione, il cui significato è tuttavia semplice. Per "lavoro astratto" si intende qualsiasi attività svolta per denaro, dove il guadagno di denaro è il fattore decisivo e dove, di conseguenza, la natura dei compiti da svolgere diventa relativamente indifferente.»[*11] . Le uniche attività che potrebbero sfuggire al lavoro astratto sono quelle che si svolgono senza contropartita monetaria, come certe attività domestiche, oppure quelle svolte per gusto personale durante il "tempo libero". Tuttavia, questi sono essi stessi dei momenti dissociati dalla riproduzione globale del capitale. Da questo punto di vista, non c'è niente che nel regime capitalista riesca veramente a sfuggire al lavoro astratto. E gli sviluppi di Konicz circa il fatto che il valore d'uso sia "contaminato" [*12] dal capitale e che esso debba «perdere il suo carattere di merce»[*13], mentre i falsi bisogni devono essere «liberati dalle loro scorie irrazionali» [*14],  sono tutti ugualmente problematici. Kurz ha criticato tali confusioni, mostrando come il valore d'uso sia esso stesso una funzione del valore, e che non si può parlare di recuperare un valore d'uso originario quando si tratta seriamente dell'abolizione del capitalismo. Le merci (valori d'uso) «sono solo dei prodotti di scarto all'interno del processo di valorizzazione del capitale. Sul piano del contenuto materiale, rimane solo l'aspetto "funzionale". La mina antiuomo deve essere innescata in maniera affidabile, è questa la sua "utilità". Il capitalismo non si preoccupa del "cosa", della qualità del contenuto in quanto tale, ma solo del "come". Una tale concezione unidimensionale della"utilità" può solo diventare distruttiva. Non si tratta di fallacie teoriche, ma della nostra vita pratica quotidiana. Una nuova e più profonda critica del capitalismo non può più essere ingenua per quel che concerne il concetto di valore d'uso» [*15]. I "bisogni" sorti sotto il capitalismo vengono preformati da esso, e non possono essere liberati dal capitalismo stesso sotto forma di una ricomposizione con una presunta autenticità - una volta liberati dalla moda e dalla pubblicità, per esempio. Né possono essere decostruiti sulla base della moralizzazione, a meno che il capitale non venga visto come un artiglio esterno sul soggetto. In una certa qual misura - che non si raggiunge mai completamente - noi stessi siamo il capitale. L'emancipazione deve essere pensata a partire da una critica di un soggetto che non è esterno al capitale.

Le imprecisioni di Konicz potrebbero rientrare nel genere della divulgazione. Ma portano tutta l'intera argomentazione verso un positivismo tecno-progressista, che si rivela in poche pagine, e soprattutto nella conclusione. Essenzialmente, l'autore insiste sulle strategie dell'estrema destra, e in particolare su quelle delle lobby del petrolio e dell'automobile, le quali hanno impedito per anni qualsiasi progresso nel campo delle energie rinnovabili. È vero che ricerche inedite della Shell o della Exxon avevano da tempo stabilito quale fosse la gravità del riscaldamento climatico. Milioni di dollari continuano a essere spesi dall'industria petrolifera per diffondere il dubbio scientifico e per bloccare le regolamentazioni ecologiche. Ma Konicz stranamente risparmia le critiche al capitalismo verde. Inoltre, nonostante il negazionismo climatico della destra dura, non bisogna sottovalutare il risorgere di un'ecologia di estrema destra che si basa su un "localismo" identitario, etno-differenzialista, economicamente protezionista e persino decrescente [*17]. Lo si può trovare secondo diverse declinazioni, e include perfino una celebrazione reazionaria dei territori, accompagnata da una retorica survivalista e malthusiana. Viene incarnato in Francia dalla Nuova Destra, così come da movimenti europei di estrema destra quali l'AFD in Germania, che a loro modo difendono la "conservazione della natura" [*18] . Gli stessi terroristi di El Paso e Christchurch hanno dichiarato di essere eco-fascisti. Di fronte ai crescenti disastri ambientali che diventeranno sempre più difficili da ignorare semplicemente, questa tendenza potrebbe essere confermata. Sa come contrapporre alcune questioni ecologiche ad altre: il rifiuto del clima può essere combinato con la difesa "ecologica" di un territorio, il protezionismo industriale che converge con la "delocalizzazione delle attività" cara alla sinistra; e con la caccia ai migranti. Non è quindi possibile attaccare esclusivamente le cifre rappresentative del negazionismo climatico senza prendere in considerazione altre tendenze sotterranee. Anche la destra liberale è nel mirino di Konicz: Angela Merkel non è stata da meno quando si è trattato di colludere con la lobby delle auto allorché si dovevano bloccare le proposte a livello europeo per regolare le emissioni delle auto o di presentare nel 2019 un "piano climatico" tecnocratico e politicamente cauto, nonostante tutta la pubblicità che ha ricevuto. Incolpando solamente le ostruzioni dei populisti di destra e dei conservatori, Konicz non può fare altro che deplorare i ritardi di una transizione ecologica che egli reclama in modo sorprendentemente acritico. Sintomatico di questo punto di vista, è il minuscolo capitolo sul "Green New Deal", inserito in un torrente di critiche agli scettici del clima, e che costituisce la maggior parte del libro. Il Green New Deal, anche se corrotto dalla logica capitalista, meriterebbe, secondo l'autore, almeno un appoggio strategico: «Tenuto conto della rapida progressione del cambiamento climatico, sembra comunque ragionevole sostenere tatticamente progetti di riforma come il Green New Deal, nella misura in cui mirano effettivamente a creare l'infrastruttura di base per una riproduzione ecologicamente sostenibile della società - sebbene il calcolo economico dietro di essi non può avere successo. Non c'è tempo da perdere. Dopo tutto, questo creerebbe la base per un'infrastruttura ecologicamente sostenibile che il post-capitalismo potrebbe ereditare nel corso di una trasformazione del sistema» [*19].
Infatti, secondo Konicz: «L'enorme potenziale di produttività, che accelera la distruzione dell'ambiente sotto il modo di produzione capitalista, potrebbe contribuire alla creazione di un sistema economico sostenibile al di là del rapporto capitalista [...] La lotta contro la crisi climatica riguarda anche la liberazione delle forze produttive dalle catene dei rapporti di produzione capitalisti» [*20].

Secondo questo punto di vista, l'industria petrolifera impedisce ai riformisti di sinistra di introdurre innovazioni politicamente non radicali - perché impraticabili in un contesto capitalista, secondo Konicz - ma salutari in una strategia di uscita dal capitalismo che così facendo si assicurerebbe le spalle in termini di tecnologia avanzata. Si tratta di sostenere l'innovazione verde con l'idea di recuperarla a beneficio di un futuro mondo post-capitalista. L'autore non si allontana da un marxismo classico, il quale si basa sullo sviluppo delle forze produttive - e quindi sul capitalismo - come una delle fasi necessarie dell'emancipazione storica, e che viene così rinviata indefinitamente verso una convulsione finale che, di fatto, non avviene - poiché si è sempre impegnati a preparare il "momento successivo" all'interno delle forme esistenti e senza mai rompere con le loro categorie fondamentali. L'idea di allearsi con la "borghesia" per accelerare lo "sviluppo delle forze produttive", che sarebbero le ostetriche della rivoluzione, ha una lunga storia. Ma, priva di un soggetto rivoluzionario, la critica odierna si riduce apparentemente a salvare la mobilia celebrando le future "tecnologie di recupero" che potranno essere utili in un mondo devastato, in questo caso tecnologie "verdi" che sarebbe saggio lasciare maturare all'interno della bestia capitalista, per recuperarle in seguito. Una tale visione ignora la relazione che il problema energetico intrattiene con la società del lavoro. Se il capitalismo sta andando verso un limite interno assoluto, costituito dalla riduzione della massa sociale del valore (Robert Kurz), questa "contraddizione in processo" si traduce in degli effetti sia sociali che ambientali, i quali hanno a che fare non solo con il valore, visto nel senso di un'illusione da spazzare via, ma soprattutto con la sua sostanza, vale a dire con il lavoro. L'esame della questione energetica ci permette di formulare questa articolazione, che non è sfuggita all'attenzione di alcuni storici dell'energia. Il settore delle energie rinnovabili sta infatti generando investimenti e pubblicità considerevoli da diversi anni. Lo sfruttamento degli idrocarburi è lontano dall'essere così sicuro e redditizio come sostiene la denuncia rituale della lobby del petrolio. Questa denuncia, come la maggior parte della retorica anticapitalista, fantastica a proposito di un potere che da tempo vacilla. Inoltre, le energie "verdi" sono il puro prodotto di un capitalismo allo stremo, che cerca di presentarsi come "rinnovabile" quando invece non è altro che estrattivista e neocoloniale. Bisogna aggiungere che la questione energetica è un vaso di Pandora che, una volta aperto dal capitalismo, non può più essere messo da parte, ma va esaminato nella sua relazione intrinseca con l'emergenza storica del lavoro astratto - una relazione che non può essere disgiunta, contrariamente alla visione di una società post-capitalista che erediterebbe tutta l'efficienza moderna, ma senza i suoi fastidi. Più profondamente, le tecniche adeguate a una società emancipata non possono essere considerate separatamente dal nuovo rapporto sociale che si tratta di stabilire - cioè un rapporto liberato dal lavoro nel senso definito sopra da Kurz - e quindi non avrebbero niente a che vedere con quelle che conosciamo, né con una semplice cernita estetica o utilitaristica tra di esse. La cosiddetta "crisi energetica" è strettamente contemporanea alla modernità industriale e post-industriale; ci costringe a riconsiderare il fatto che tutta la produzione industriale richiede, in proporzioni variabili, o lavoro umano o lavoro automatizzato, la cui composizione risulta sempre in un'equazione energetica insostenibile. Questa articolazione, che può essere dedotta da alcune formulazioni di Marx, è passata inosservata sia ai movimenti marxisti che a quelli ambientalisti, ognuno dei quali si è specializzato in una "parte" del rapporto compositivo.

Questi punti verranno qui esaminati per confutare la proposta di un post-capitalismo tecno-ottimista. Così facendo, tratteremo il problema energetico risalendo dal livello "empirico" (la crisi energetica nella sua relazione con la termodinamica) al livello di "astrazione reale" (la crisi del lavoro e la richiesta della sua abolizione portata dalla critica del valore), considerando che questi livelli si trovano in una correlazione che appare solo nel capitalismo, e deve quindi essere studiata nella sua totalità; in altre parole, si tratta di decostruire ogni tentazione di disaccoppiare la quale porta a celebrare la prodezza tecnologica del capitalismo come se potesse essere "innocentemente" trasposta in un mondo libero dalla logica capitalista. Qualsiasi primato sociale del principio di efficienza porta allo stesso risultato ecologico di quello offerto dallo sviluppo del capitalismo, cioè un pozzo di energia; che questo principio sia apertamente basato sulla ricerca di una valorizzazione indefinita, sulla pianificazione centralizzata o su un'integrazione cibernetica sempre più fine dei flussi globalizzati. Il principio di efficienza energetica non è altro che l'obbligo per l'economia di convergere con il suo substrato materiale, cioè di internalizzare i vincoli più evidenti che tuttavia si ostina a trattare come esogeni. Una teoria dell'emancipazione non può quindi che criticare le categorie morali: autolimitazione, efficienza, sobrietà, coscienza illuminata, ecc., che formano sia il fondamento soggettivo del modo di produzione capitalista che la musica del paradigma energetico.

- Sandrine Aumercier -

NOTE:

[*1] -  Alcuni marxisti si vedono ora costretti ad aggiungere alcuni avvertimenti a questo ritornello. Ma se si vuole apprezzare una formulazione recente e immutata degli attuali testi produttivisti del marxismo del lavoro, si può leggere: Robin Goodfellow, "Marx and the Industrial Revolution", in Marché et organisations, 2015/2 n°23, L'Harmattan, p.51: «La macchina è innocente dei mali che produce, solo il suo uso capitalista è in discussione».

[*2] -  Per alcuni approfondimenti recenti su questo tema, si veda Sheryl D. Breen, "Green Views of Marx: Reinterpreting, Revising, Rejecting, Transcending", in SAGE Open, gennaio-marzo 2014, online su: https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/2158244013520609 ; Fabrice Flipo, "Marxism, Class Struggle and Ecologism", in Actuel Marx 2014/1 n° 55; Maxime Ouellet, "Marx and the Critique of Technique: Reflections from the Grundrisse and Capital", Cahiers société n° 2, dicembre 2020.

[*3] -  Si vedano i testi ripubblicati in Manifeste contre le travail, Albi, Crise et Critique, 2020.

[*4] - Si veda "Note sur le Manifeste contre le travail du groupe Krisis, in René Riésel, Jaime Semprun, “Catastrophisme, administration du désastre et soumission durable", Paris, Éditions de l'Encyclopédie des nuisances, 2008, p. 125-130.

[*5] - Ivi, p. 130.

[*6] - Si vedano, tra gli altri, i due opuscoli: D. Caboret, P. Dumontier, P. Garrone, R. Labarrière, Contre l'E.d.N., Paris, 2001, online: http://laguerredelaliberte.free.fr/doc /cedn.pdf ; Bertrand Louart, Fabien Palisse, "À propos de quelques grognements et aboiements...", luglio 2001, online: https://ia800607.us.archive.org/23/items/quelques-grognements-et-aboiements.pdf

[*7]Anselm Jappe, "Révolution contre le travail ? La critique de la valeur et le dépassement du capitalisme", Cités, PUF, n°59, 2014/3.

[*8] - Questo è un settore su cui Thomas Konicz pubblica regolarmente analisi critiche in riviste come Konbret, Telepolis, Neues Deutschland.

[*9]Thomas Konicz, Klimakiller Kapital, Mandelbaum, 2020, p.75, 80, 312, 323.

[*10]Robert Kurz, Lire Marx, Les Balustres, 2002 [2000], p.124

[*11]Robert Kurz, "Mit Moneten und Kanonen", jungle.world, 09/01/2002. Online in italiano: https://francosenia.blogspot.com/2016/03/madama-la-bombarda.html .

[*12] - Thomas Konicz, Klimakiller Kapital, op, cit, p. 323.

[*13] -  Ivi, p. 324

[*14] - Ivi, p. 325

[*15] - Robert Kurz, "Unnützer Gebrauchswert" Neues Deutschland, 28/05/2004. Online in italiano: https://francosenia.blogspot.com/2020/06/lavevamo-tanto-amato.html .

[*16]Thomas Konicz, Klimakiller, op. cit, p 109

[*17] -  Vedi per esempio la creazione in Francia del Partito Localista nel gennaio 2021.

[*18] - Vedi Jonathan Piron, "Vers l'extrême- droite du discours écologique? Voyage au sein de l'écologie identitaire", etopia, 26/04/2019 , online: < https://etopia.be/vers-lextreme-droitisation-du-discours-ecologique-voyage-au-sein-de-lecologie-identitaire/ > ; Maresi Starzmann, "Green fascism: A Far-Right Ecology Movement is on the rise in Germany, Ans it's Spreading Here" , The Indypendant, 07/09/2019 < https://indypendant.org/2019/09/green-fascism-a-far-right-ecology-movement-is-on-the-rise-in-germany-and-its-spreading-here/ >; Krisztian Simon, "Nature Through the Lenses of a Fossil-Soaked Far Right", Green European Journal, 11/09/2020, online < https://www.greeneuropeanjournal.eu/nature-through-the-lenses--of-a-fossil-soaked-far-right/ >; Lise Benoist, "Green is the new brown: 'ecological' push to the far right", Terrestres, 02/11/2020, online < https://www.terrestres.org/2020/11/02/green-is-the-new-brown-la-poussee-ecologique-de-lextreme-droite/ >.

[*19] - Thomas Konicz, Klimakiller Kapital, op, cit, p. 99. Questo appare congruente con un'altra affermazione fatta da Thomas Konicz, secondo cui un candidato alla Casa Bianca come Bernie Sanders andrebbe sostenuto (ciò prima della vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali del 2020) per ragioni di strategia storica. Si veda: "Klimakiller Kapital", op. cit, p. 359

[*20] - Ivi, p. 101

fonte: Nouvelles de l'humanité #2

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