giovedì 24 febbraio 2022

Emulsioni teoriche …

Il nuovo provincialismo e la vecchia critica delle esigenze tronche della prassi
- di  Frank Grohmann -

« Vediamo attualmente, soprattutto nella sinistra e dintorni, una tendenza a fare ricorso alla psicoanalisi per spiegare tutto ciò che la teoria sociale non è riuscita a rendicontare. Per cui, ai movimenti di destra, verrebbe data forma da delle personalità autoritarie; l'egocentrismo dei "Millennial" corrisponderebbe ai loro stessi diffusi psicologismi; e il fallimento dei gruppuscoli comunisti è stato solo una conseguenza delle notazioni algebriche della psicologia dei gruppi.
La psicologia sale sul palco, e la sociologia viene relegata sullo sfondo. Oppure, esattamente al contrario, la vita di un individuo appare come se fosse solo una finzione borghese, anziché vederla come un potenziale che invece, in ogni occasione, è stato soffocato. Da Talcott a Chibber, nel momento in cui la struttura sociale viene ritenuta un elemento irriducibile, ecco che l'individuo scompare sotto tutto uno strato di comportamenti, motivazioni e atteggiamenti.
In entrambi i casi, riscontriamo che la relazione tra psicoanalisi e sociologia non è stata analizzata, e ciò ha permesso che venissero "applicate" una miriade di categorie psicoanalitiche, laddove questo non ha alcun senso sul piano terapeutico. Quello che non è stato ancora approfondito, riguarda come cogliere nel miglior modo possibile la relazione esistente tra l'individuo e la società, anziché ingigantire uno dei due aspetti a spese dell'altro
» [*1].

Ci sembra che sia particolarmente importante dover convenire con i redattori di "Cured Quail" sull'attuale tendenza a usare la psicoanalisi come se fosse un rimedio universale per tutto ciò che la teoria sociale non è in grado di spiegare; vedendo tale tendenza come l'espressione di un nuovo provincialismo: qualsiasi cosa si pensi di capire grazie all'aiuto della psicoanalisi, ne esce frammentata, il contesto evapora e si dissolve, e alla fine anche lo stesso oggetto che dovrebbe essere esaminato rimane privo di significato. Ci sembra anche giusto sottolineare come, allo stesso tempo si tratti di un'assurdo movimento di oscillazione del pendolo, nel quale una volta la psicologia e una volta la sociologia vengono portate a turno in primo piano, e in entrambi i casi quello che appare come il lato più cattivo viene relegato in secondo piano, sullo sfondo. Questo continuo tira e molla non solo priva la psicoanalisi della sua refrattaria specificità, ma contribuisce simultaneamente anche alla psicologizzazione e alla sociologizzazione della teoria sociale. Una cosa che potrebbe anche continuare all'infinito, ma che però non fornirà alcuna bussola che ci guidi nella più grande sfida che dobbiamo ancora affrontare, vale a dire, un analisi approfondita della relazione tra psicoanalisi e teoria sociale; né ci permetterà di esaminare come la relazione tra l'individuo e la società possa essere colta in maniera adeguata.

In altri termini, non si sta facendo altro che continuare a ripetere all'infinito il canto funebre della teoria critica. Ma davvero dovremmo seppellire la teoria critica? La rivista "Cured Quail" ci invita piuttosto a rispondere alla domanda su cosa sia necessario oggi per farla rinascere.
Inevitabilmente, la tesi che parla di un nuovo provincialismo di fronte alla crisi globale, così come viene presentata nell'editoriale del secondo numero di "Cured Quail", ci riporta direttamente alla domanda posta da Theodor W. Adorno nel 1955, vale a dire, sul perché le «masse, nei paesi altamente industrializzati», facciano affidamento sulla «politica della catastrofe, piuttosto che perseguire degli interessi razionali, il primo dei quali è la conservazione della propria vita» [*2]. Secondo Adorno, a questa domanda non potrebbe esserci alcuna risposta, senza prima chiarire la relazione esistente tra sociologia e psicologia,  - nella quale si riflette la separazione tra società e psiche, una separazione che «rende perenne a livello categorico la dis-unione del soggetto vivente e dell'oggettività, che regna sui soggetti e che da essi tuttavia ne proviene» [*3]. «Nessuna sintesi scientifica a venire, può mettere insieme ciò che, in linea di principio, è scisso in sé stesso» [*4].
Ma, diversamente, in quale altro modo si potrebbe introdurre chiarezza nell'«opacità dell'oggettività alienata»? In tal senso, il ricorso alla psicoanalisi ha costituito un tentativo promettente, perché era legato alla speranza che «l'insistenza su un elemento particolare e dissociato, ne facesse esplodere il suo carattere monadologico, e scorgesse, nel suo nucleo, l'universale» [5].
Il fatto che questa aspettativa non possa essere realmente soddisfatta, è in parte dovuto soprattutto alla lettura che Adorno stesso fa della psicoanalisi. Nonostante il suo giudizio negativo su una «psicoanalisi riveduta» [*6] che secondo Freud tradisce la ragione (J. Lacan), è egli stesso a prendere troppo alla lettera la teoria dell'istanza freudiana; e la sua concezione della psicoanalisi rimane ancora legata all'individuo psicologico, visto nella critica globale - che egli ne fa - della psicologia psicoanalitica dell'Io. A partire da questo, quindi, il ricorso alla psicoanalisi - che ne fa Adorno - non raggiunge il "nocciolo", cioè il concetto di soggetto dell'inconscio, un concetto che tuttavia sconvolge, come nessun altro, la relazione tra l'universale e il particolare. Adorno non se la cava molto meglio neppure sull'altro lato, vale a dire, sul lato della sua lettura di Marx, dal momento che non comprende veramente il nucleo enigmatico dell'universale all'interno del particolare. Ed è ancora meno in grado di illuminare l'oggettività alienata in questione, visto che la sua analisi della scissione categoriale si impantana a metà strada: ciò perché, se si critica la «tendenza a priori alla distruzione, e alla dissoluzione di tutto il mondo sensibile nell'astrazione reale», allo stesso tempo viene criticata anche «la costituzione di questa forma che continua a essere considerata come se costituisse l'emergenza originale e propria dell'emancipazione» [*7].

Il tentativo, da parte della teoria critica, di mettere in relazione le categorie della critica dell'economia marxiana con quelle della critica freudiana della coscienza, alla fine è rimasto solo una «emulsione teorica» [*8], secondo Robert Kurz, proprio a causa di questa aporia - dal momento che, in questo modo, la critica non arriva alla «forma soggetto», la quale sottende l'oggettività alienata.
Da parte sua, Robert Kurz lo ha fatto commentando il concetto di «pseudo-attività» (Adorno) e ha tentato di mostrare come la critica di Adorno nei confronti delle pretese tronche della prassi sia essa stessa basata, a sua volta, su una lettura tronca di Marx. Adorno ha certamente insistito senza alcuna ambiguità sul fatto che l'undicesima tesi di Feuerbach di Marx non debba essere intesa nel senso di una «sussunzione della teoria critica alle implicite esigenze relative all'azione, al punto che la teoria critica deve essere vincolata» [*9]. Adorno rifiuta quindi l'affermazione di un'unità immediata costante di teoria e prassi nel marxismo. Tuttavia, non ha problematizzato il fatto che «la separazione tra riflessione teorica e azione pratica, criticata secondo un'interpretazione molto condivisa delle Tesi su Feuerbach, è una separazione niente affatto assoluta ed esterna, ma, al contrario, è paradossalmente integrata nel processo pratico totalizzante del "soggetto automatico", e nella dissociazione sessuale ad esso legata» [*10]. Ed è precisamente a questo punto - laddove Robert Kurz legge Adorno con Marx contro Adorno - che il termine di nuovo provincialismo incontra la vecchia critica delle esigenze tronche della pratica: che si situa dove si può, allo stesso tempo, toccare il motivo per cui il concetto di «pratica teorica» di Adorno, formulato nel senso di questa critica, doveva alla fine rimanere lettera morta.

Poiché anche se la teorizzazione è essa stessa un momento della pratica sociale sotto il capitalismo, ciò non si traduce nell'unità di teoria e pratica, ma piuttosto in «una relazione tra "pratica pratica" e "pratica teorica", le quali sono strutturalmente separate l'una dall'altra». Ne consegue che il concetto di Adorno può limitarsi solo a uno dei due lati, cioè: può solo affettare una delle due metà, e quindi non potrà essere in grado di scoprire la relazione categoriale centrale.
Qualsiasi tentativo di rispondere alla domanda su come sia stato possibile che oggi «la critica si sia ripiegata su un simile modello semplice e virtuoso del rapporto di scambio, per il quale un'opinione vale l'altra: l'idea dell'equivalente generale» [*11], deve necessariamente porsi anche la domanda sul perché nemmeno Adorno sia riuscito a fare il passo decisivo, già allora, - vale a dire: a partire dalla sua critica, attuare la rottura con le condizioni stesse nelle quali «la riflessione (teorica) appare necessariamente come subordinata alla "pratica pratica" e, in quanto tale, separata da essa» [*12]. La proposizione secondo la quale «la pratica può essere "vera" solo nella misura in cui essa mira alla rivoluzione del modo di socializzazione negativo e distruttore del capitalismo» [*13] attende perciò la sua realizzazione, che non avverrà fino al momento in cui la critica categoriale della forma della teoria moderna - la quale può essere sempre e solo «un'interpretazione del rapporto sociale ontologicamente presupposto» [*14] - non verrà spinta fino alla sua conclusione.

- Frank Grohmann, 22/02/2022. Pubblicato su GRUNDRISSE Psychanalyse et capitalisme -

NOTE:

[1*] - "Editorial", Cured Quail, Volume II, 2020, p. 3.
[*2] -Theodor W. Adorno, "Sul rapporto tra psicologia e sociologia", in Société : Intégration, désintégration, Paris, Payot, 2011, [1955], p. 315.
[*3] - Ivi, p. 316.
[*4] -Ivi, p. 323.
[*5] - Ivi, p. 325. Adorno aggiunge: «piuttosto che aspettare che la sintesi concettuale di ciò che si è effettivamente disintegrato metta fine alla disintegrazione».
[*6] - Theodor W. Adorno, Psicoanalisi rivista, Parigi, Éditions de l'Olivier, 2007 [1962].
[*7] - R. Kurz (2005), "Tabula rasa. Fin dove può e deve arrivare la critica dei Lumières?", in: R. Kurz, La ragione sanguinaria. Saggi per una critica emancipatrice della modernità capitalista e dell'illuminismo borghese, Crise & Critique, 2021, p. 217.
[*8] - "Exkurs II: Die psychoanalytische Dimension in der Warenformkritik", in: R. Kurz (1992), "Geschlechtsfetischismus. Anmerkungen zur Logik von Weiblichkeit und Männlichkeit", Krisis, 12, 1992.
[*9] - Robert Kurz, "Grau ist des Lebens Goldner Baum und grün die Theorie. Das Praxis-Problem als Evergreen verkürzter Kapitalismuskritik und die Geschichte der Linken", Exit! - Krise und Kritik der Warengesellschaft, 4, Horlemann, Bad Honnef, 2007, p. 20.
[*10] - Ivi, p. 23.
[*11] - "Editoriale", Cured Quail, Volume I.
[*12] - Robert Kurz, "Grau ist des Lebens Goldner Baum und grün die Theorie", op. cit, p. 25.
[*13] - Ivi, p. 21.
[*14] - Ivi, p. 27.

Nessun commento: