mercoledì 2 febbraio 2022

Il cambio di cavallo nella totalità spezzata !!

Anselm Jappe, Sotto il sole nero del capitale
- Chroniques d'une ère de ténèbres, Albi, Crise & Critique, coll. "Palim psao", 2021, 457 p. -
di Olivier Bélanger-Duchesneau

L'ultima raccolta di articoli del teorico critico Anselm Jappe, dal titolo "Sous le soleil noir du capital", riunisce un certo numero di testi scritti dall'autore negli ultimi dieci anni che sono stati pubblicati su varie riviste. In questa antologia, Jappe assolve un importante compito critico, che egli sta portando avanti fin dall'inizio degli anni '90: quello di partecipare allo sviluppo di «una vera e propria critica del capitalismo», che sia «necessariamente una critica tanto del capitale quanto del lavoro» (p. 9). E infatti, questo libro si inscrive nell'orizzonte teorico della «critica del valore» (Wertkritik, in tedesco), una corrente anticapitalista di ispirazione marxiana (e non "marxista") di cui oggi Jappe è il principale rappresentante nel mondo di lingua francese. Il libro si articola in due parti: la prima, interamente riservata alla teoria del capitalismo, che costituisce il progetto intellettuale della Wertkritik, mentre la seconda comprende una serie di articoli che si concentrano su dei temi particolari, siano essi legati all'attualità (movimenti sociali, violenza della polizia, bioetica, ecc.) o di natura più teorica (romanticismo rivoluzionario, progressismo, critica e recensioni di autori). Il testo che introduce la prima parte (p. 39-85), dipinge un quadro piuttosto completo della storia della critica del valore, che ha avuto origine in Germania (a Norimberga) ed è stata fondata da Robert Kurz. Sviluppata negli anni '90 del secolo scorso, sulla rivista Krisis (precedentemente Marxistische Kritik), questa corrente teorica si afferma come una critica radicale delle categorie fondamentali del capitale, che prende le distanze dal marxismo tradizionale e dai circoli accademici (p. 43). In tal senso, è soprattutto contro la ricezione e l'imbrigliamento dell'anticapitalismo da parte del marxismo «volgare» - che caratterizza il comunismo sovietico (e che in realtà, secondo Kurz, rappresenta di fatto solo una «modernizzazione di recupero»), ma anche più in generale contro le aporie del marxismo in quanto tale - che viene elaborata la critica del valore, la quale «ha avuto la pretesa di riprendere la riflessione, quasi da zero, usando le sole armi della critica dell'economia politica di Marx» (pp. 44-45). Al centro del progetto della Critica del Valore, si trova per l'esattezza il fatto che essa non vede nella lotta di classe il nocciolo del capitalismo (nella contrapposizione tra le forze produttive e i detentori dei mezzi di produzione), ma piuttosto nel lavoro in sé, il quale, sotto questo regime sociale, si trova a essere diviso in due aspetti: concreto (a partire dal quale proviene il «valore d'uso») e astratto (ossia «il semplice dispendio di tempo di lavoro, di energia umana», p. 53). Ora, è questo lato astratto del lavoro, puramente quantitativo, a sintetizzare l'agire sociale sotto il capitalismo, e a costituire il valore, «astrazione reale» (p. 54) che vediamo incarnato anche nella merce e nel denaro, che sono le categorie fondamentali del capitale.  Di fatto, è solo mettendo a fuoco ciò che Marx ha chiamato col nome di feticismo della merce, che appare chiara quale sia l'impresa della Wertkritik, e che costituisce, secondo Kurz, il lato «esoterico» dell'opera di Marx, da distinguere dalla sua dimensione «essoterica», quella più nota, che invece va intesa come «una teoria della modernizzazione [che] si riferisce in maniera positiva alle categorie della società capitalista, la quale viene considerata essa stessa come se fosse una tappa storica transitoria e necessaria verso la società comunista» (p. 47).
Contro questo materialismo storico che caratterizzerà un marxismo il cui carattere conflittuale rimane, secondo questi teorici, immanente al capitalismo, la critica del valore intende invece estirpare alla radice questo modo di produzione basato su un tipo specifico di ricchezza (il lavoro astratto), fondamentalmente indifferente alle sue determinazioni qualitative, e che ha come sua particolarità - questa è un'altra delle tesi di Kurz - quella di spingere sempre a una «svalorizzazione» della ricchezza capitalistica creata, e ciò perché il continuo aumento degli imperativi sociali di crescita implica anche una costante iniezione di tecnologie di produzione (il «lavoro morto») che finiscono per abbassare il valore del lavoro vivo. Di fronte a questa dinamica micidiale, la finanziarizzazione neoliberale del capitalismo va interpretata soprattutto in quanto una «stampella» di questo sistema economico, laddove la massificazione del credito permette soprattutto di poter «simulare la continuazione dell'accumulazione» ed evitare in tal modo il collasso totale (p. 63).

La «critica categoriale» (p. 71) svolta dalla Wertkritik, intende pertanto pensare il capitalismo come una totalità  - che viene feticizzata a partire dal processo di astrazione delle basi concrete della produzione - che si incarna nel denaro, il quale è una forma di mediazione sociale da criticare, secondo Jappe, fin nella sua stessa essenza (pp. 111-128). In quanto «totalità spezzata» (p. 78), la società capitalista genera anche quello che è il suo «Altro», ossia, la sfera del non mercato, storicamente occupata dalle donne. Per riuscire a pensare questa dialettica, all'interno della Wertkritik è stata sviluppata una «critica della dissociazione del valore» (p. 75), portata avanti principalmente da Roswitha Scholz, che intende spiegare l'articolazione tra lavoro astratto e dominazione di genere. In questo modo, l'obiettivo della rilettura di Marx proposta dalla critica del valore [*1] sancisce  per l'anticapitalismo la necessità di «cambiare cavallo» (pp. 87-94), vale a dire, abbandonare quel «soggetto rivoluzionario» che il proletariato avrebbe dovuto incarnare, e sostituirlo con un'analisi più concreta del dominio del capitale, dal momento che una concezione personalizzante di questo sistema, oltre a non riuscire a coglierne la sua profondità e complessità (il fatto che la vita di tutti è alienata e sotto il giogo del valore), può portare a delle reazioni «populiste» che si presentano come una caccia agli speculatori e ad altre figure di «colpevoli» (pp. 106-107), che di fatto sono solo il prodotto di un ordine economico che strutturalmente li trascende. L'ultimo capitolo di questa sezione teorica - un estratto dalla tesi di laurea di Jappe - si concentra sul concetto di feticismo in due pensatori marxisti (eterodossi) di rilievo: Theodor Adorno e Georg Lukacs. L'inserimento nell'antologia di questo testo, consente di chiarire un po' meglio quali sono state le influenze sui teorici della critica del valore, che vedono nelle opere di Adorno e Lukacs dei testi che hanno aperto la strada a un'analisi del capitalismo visto come sistema impersonale di dominio, ma dove tuttavia ciascuno di questi autori ha dei difetti: nel primo la tendenza a naturalizzare la logica dello scambio(p. 189); così come nel secondo, l'ontologizzazione della categoria del lavoro(p. 224).
La seconda parte, più eterogenea, propone di applicare all'attualità questa teoria generale del dominio capitalista, come ad esempio avviene nel testo che parla del moltiplicarsi degli omicidi nelle scuole (p. 265-269). Un tale fenomeno è l'occasione, per Jappe, di tracciare un parallelo tra la soggettiva pulsione di morte e l'autoreferenzialità del capitale, e quindi di dare uno sguardo al modello di soggettività che il sistema capitalista genera, verosimilmente mortifero [*2]. In questa sezione, tale interesse per le mutazioni antropologiche indotte dal regime del valore si manifesta a più riprese: c'è un articolo su de Sade che intende mostrare come la sua opera sia l'espressione letteraria di un «desiderio di illimitato» (p. 284) che affonda le radici nella logica capitalista; così come in un altro articolo si dedica allo studio delle figure del bandito nella cultura di massa (pp. 293-311).

Se il capitalismo sviluppa effettivamente una propria cultura industriale e spettacolare, allora è logico che esso si veda minacciato dall'«aura dei vecchi musei» (pp. 323-333), e che l'arte venga «normalizzata» (pp. 335-345) seguendo il principio di una trasgressione puerile dei codici, così come viene strumentalizzato anche il risentimento - da Louis-Ferdinand Céline al videoclip - allo scopo di suscitare emozioni di consumo (pp. 313-322). L'analisi degli effetti che il capitalismo postmoderno ha sulla cultura, porta inoltre Jappe a considerare, in degli articoli particolarmente incisivi, fino a che punto sia insidioso il carattere di un certo progressismo che inneggia alla riproduzione assistita (pp. 427-436), che favorisce l'uso delle nuove tecnologie in sostituzione dell'educazione (pp. 437-457), e che, nell'ultimo caso, partecipa alla riproduzione di altre forme di dominio addirittura attaccando direttamente la capacità di immaginazione dei bambini (p. 447).
Altri testi sono più direttamente politici: Jappe, per esempio, elogia gli zadisti, che si oppongono alla continua colonizzazione dello sviluppo capitalistico; non si stupisce della violenza della polizia contemporanea (pp. 257-263) e rifiuta, in una prospettiva decisamente anarchica, ogni forma di politica condotta all'interno del sistema elettorale, considerato al servizio del capitale (p. 256). Questa sensibilità libertaria lo porta ad entrare in un dialogo critico con i sostenitori della «semplicità volontaria» (p. 393-413), la cui prerogativa è quella di mettere in discussione lo stile di vita capitalista, ma dimenticano il carattere duale del lavoro sotto questo sistema (p. 407). Infatti, secondo l'autore, si tratta della medesima aporia che ha il suo domicilio nel romanticismo rivoluzionario (p. 347-363): questa tendenza, con la notevole eccezione di William Morris (al quale l'autore dedica un testo celebrativo alle p. 365-382), tende a confinare il capitalismo solo alla sfera della circolazione, senza mai mettere in discussione la logica della produzione stessa (p. 362), la quale, secondo Jappe,  deve invece essere il cuore della critica a questo sistema.
Nel complesso, il libro di Anselm Jappe costituisce una buona introduzione alla critica del valore per tutti coloro che desiderano scoprire questa particolare tendenza; ma i lettori che hanno familiarità con tale quadro teorico potrebbero essere scoraggiati dalle ripetizioni presenti nella prima parte, la quale non include alcun contributo significativo rispetto alle opere precedenti. Detto questo, la seconda metà del libro offre non poche stimolanti analisi dei fenomeni socio-culturali contemporanei, ricordandoci che il capitalismo è molto più di un sistema economico, e costituisce un vero e proprio modo di essere nella società.

- Olivier Bélanger-Duchesneau - 14/1/2022 - Pubblicato su  Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme -

NOTE:

[*1] - Obiettivo teorico che viene approfondito in diverse opere disponibili in francese, in particolare Robert Kurz, "Lire Marx", Parigi, La Balustrade, 2013, "La substance du capital", Parigi, L'Échappée, 2019, e Anselm Jappe, "Les aventures de la marchandise", Parigi, La Découverte, 2017.

[*2] - Su questo, sviluppato in maniera più dettagliata dall'autore, c'è un altro libro. Anselm Jappe, "La Société autophage", Parigi, La Découverte, 2017.

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