1) Il potere del cane, di Jane Campion, mostra, nel personaggio Phil, il punto di congiunzione che viene teso tra due universi, due mondi, due campi di esperienza in opposizione tra di loro: la campagna e la città, il manuale e il mentale, il rozzo e il raffinato, come se fossero due opposti riuniti e combinati nella stessa soggettività: il castratore di vitelli che si è laureato a Yale in "lettere classiche". E come accade di solito, avviene nel contesto di una battuta (le battute e il loro rapporto con l'inconscio...) il fatto che i due campi emergano e possano essere visti come intrecciati: a cena, il governatore chiede, «al bestiame, parla in greco o in latino?» (riportandoci alla riflessione di Roberto Calasso, che una volta ebbe a dire che «i metri sono il bestiame degli dei»).
2) Ciò che entra continuamente in gioco, è la capacità di riconoscere nel mondo quei segni che non saltano immediatamente all’occhio; e così Phil dice: «Se non vedi niente, non c'è niente da vedere». L'enigma viene riproposto per tutto il film, e viene infine rivelato a Phil da Bronco Henry, il morto che non appare mai, l'assenza presente, una sorta di prete che inizia Phil agli arcani di una visibilità incerta (così a questo punto anche gli estremi si toccano: quando il governatore parla del passato di Phil a Yale, sottolinea la sua partecipazione a una confraternita esclusiva: Phi Beta Kappa, la più antica società d'onore accademica del paese). Seguendo quella stessa linea del Facundo di Sarmiento, Phil viene addestrato come fosse un segugio, come un decifratore di ciò che resiste alla lettura (allo stesso modo di Edipo e di Giuseppe in Egitto, tra Freud e Thomas Mann).
3) La scena di Phil con i peone - in cui mostra la cecità degli altri, la loro incapacità di riconoscere il segno sulla montagna - si contrappone alla scena di Phil con Peter, il quale invece riconosce immediatamente il disegno formato dalle ombre sulla montagna; che va così a costituire la triade sotterranea portante della trama, Bronco Henry - Phil - Peter, legati dalla capacità di vedere l'invisibile, che deriva loro da una sensibilità "omo-affettiva" (evidenziata in Phil dal suo legame con i "greci"). C’è da notare come, da buon filologo, Phil si riferisca al maestro-sacerdote Bronco Henry facendo uso di un termine straniero, "Il lupo", per delimitare rigorosamente le sue radici mitiche (è significativo, d'altra parte, che la "lupa" che nutre i due fratelli nella favola, venga trasformata in "lupo", in questa ricostruzione di Phil, in cui intende reprimere proprio questa dimensione "femminile" del suo Bildungsroman).
fonte: Um túnel no fim da luz
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