mercoledì 23 marzo 2016

Madama la Bombarda

cannoni

L'esplosione della modernità con Quattrini & Cannoni
- L'innovazione fatta con le armi da fuoco, l'espansione per mezzo della guerra: Uno sguardo alla preistoria del lavoro astratto -
di Robert Kurz

Continua ad imperversare con una tenacia irriducibile la bufala illuminista, secondo cui il sistema produttore di merci della modernità avrebbe la sua origine in un "processo civilizzatore" (Norbert Elias), che, contrariamente alla cultura del ferro e fuoco del Medioevo, sarebbe invece il prodotto del commercio e degli scambi pacifici, della diligenza borghese e civica, della curiosità scientifica, delle audaci scoperte e delle invenzioni foriere di benessere. Ed il portatore di tutte queste belle cose dovrebbe essere considerato il moderno "soggetto autonomo", il quale si sarebbe emancipato dai condizionamenti corporativi ed agrari per arrivare così alla "libertà dell'individuo". E sarebbe soltanto una sfortunata coincidenza, quella per cui un modo di produzione nato da un ammasso talmente concentrato di virtù e di progresso si caratterizzi a partire dalla povertà di massa e dall'immiserimento globale, dalle guerre e dalle crisi mondiali, così come dalla distruzione di questo mondo stesso.
I reali risultati, distruttivi ed assassini, della modernizzazione parlano di una genesi diversa da quella ufficiale, così come viene recitata nell'infantile manuale ideologico. Da quando Max Weber ha richiamato l'attenzione sul nesso mentale fra protestantesimo e capitalismo, la preistoria della modernità viene ancora classificata solo in maniera assai grossolana e per niente critica.
Facendo uso di una certa dose di "furbizia borghese" si è riuscito ad eclissare in gran parte le motivazioni e gli sviluppi che si trovavano all'origine del mondo moderno, al fine di far risplendere di una brutale bellezza l'aurora della libertà civile e borghese e dell'attivazione del sistema produttore di merci.
Tuttavia, esiste un approccio storico in contrasto con l'immagine ufficiale della Storia che ci permette di arrivare alla conclusione secondo cui le vere origini del capitalismo nei primordi della modernità non consistono, in alcun modo, in un'espansione pacifica dei mercati, ma ci rimandano essenzialmente ad un contesto di economia di guerra. E' un fatto che il denaro e le relazioni basate sulla merce, il mercato a grandi distanze ed i mercati, sono esistiti fin dall'antichità in un ambito ora più ora meno ristretto, ma senza che questo abbia mai portato ad un sistema totalitario improntato all'economia di mercato ed al denaro simile a quello della modernità. Come è stato constatato da Marx, questa era sempre rimasta una "forma (economica) di nicchia" a margine delle economie di scambio diretto di carattere agrario. Il fatto che l'avvio in senso proprio di un sistema nel quale il denaro in quanto "soggetto automatico" (Marx) rimanda a sé stesso, potrebbe non essere dovuto esclusivamente alla rivoluzione delle idee innescata dal protestantesimo, ma anche all'innovazione delle armi da fuoco, avvenuta ai primordi della modernità, e questo appare anche, come fatto e come pensiero, ad un certo punto degli studi di Max Weber.
Max Weber, nella sua riconosciuta qualità di ideologo del vecchio imperialismo germanico, evidentemente non aveva alcun interesse nell'approfondire e sistematizzare questo pensiero. Già nel 1913, nella sua opera "Guerra e Capitalismo", Werner Sombart, esperto di storia sociale ed economica, aveva richiamato l'attenzione sul fatto che la Modernità risaliva all'economia di guerra. Ma anche lui rinunciò a sviluppare quest'approccio, dal momento che già poco tempo dopo sarebbe diventato egli stesso uno dei principali ideologhi della guerra, per poi finire, da antisemita categorico qual era, nel campo dei nazisti. Dovette passare più di mezzo secolo prima che qualcuno tornasse a riferirsi  alla relazione esistente fra genesi del capitalismo ed "economia politica delle armi da fuoco". E' stato questo il caso dell'economista Karl Georg Zinn ("Cannoni e Peste", 1989), nello spazio della lingua tedesca, e dello specialista in storia moderna Geoffrey Parker ("La rivoluzione militare", 1990), nello spazio anglofono. Tuttavia, anche questi studi non sono esenti da tracce apologetiche, sebbene contengano materiale schiacciante. L'immagine tinta di rosa del mondo della modernizzazione, trasmessa dall'Illuminismo, può continuare a riempire le teste.

I deficit del materialismo storico
Si sarebbe dovuto pensare che la critica radicale, di origine marxiana, della società fosse predestinata a recuperare l'approccio trascurato dalla teoria borghese, e a svilupparlo. In fondo è stato Marx che, oltre ad aver analizzato la logica distruttiva del funzionamento del "soggetto automatico" e la forma di attività, separata dalle necessità, del "lavoro astratto", implicita in tale logica, ha anche evidenziato in maniera molto chiara - ad esempio nel capitolo sulla "cosiddetta accumulazione primitiva" - la preistoria niente affatto civilizzatrice del capitalismo.
Tuttavia, anche in questa caratterizzazione le origini della logica del capitale a partire da un'economia di guerra rimangono oscure. Ed il marxismo posteriore a Marx non è tornato a recuperare quest'approccio; la storia preindustriale della costituzione del sistema produttore di merci lo spaventava, in quanto era stranamente poco coerente con la sua dottrina.
Gli è che nella stessa teoria di Marx esiste una ragione per cui anche il marxismo deve rimuovere questo nesso così sgradevole per gli apologeti borghesi. Uno dei momenti essenziali nella costruzione del materialismo storico consiste nell'interpretare la storia come una sequenza di gradi di sviluppo "necessari" in cui anche al capitalismo viene concesso il suo posto, e perfino una "missione civilizzatrice" (Marx). Con questa costruzione ereditata dalla filosofia illuminista borghese e da Hegel, che è stata solamente convertita al materialismo e prolungata attraverso il socialismo, tuttavia così si finisce per concordare malamente con una storia della fondazione del capitalismo che è assolutamente anti-civilizzatrice, ed in cui il capitale - come dice Marx - viene al mondo con il sangue ed il sudiciume che gli fuoriesce da tutti i pori.
Il materialismo storico è ancora più contraddetto dal fatto che la logica della valorizzazione ed il lavoro astratto non sono nate dallo sviluppo delle forze produttive "dal seno" della società agraria premoderna ma, piuttosto, come un autentico "sviluppo di forze distruttive" che è provenuto dall'esterno e si è sovrapposto in maniera soffocante all'economia agraria dello scambio diretto, anziché sviluppare quest'ultima al di là dei suoi limiti.
Al fine di poter salvare lo schema storico-filosofico meta-teorico, anche i marxisti trascurano la proto e la preistoria della costituzione del capitalismo, oppure ne danno una valutazione che contrasta con la verità dei fatti. A quanto pare, la motivazione decisiva di un simile comportamento sarebbe stato il timore di dare impulso ad un pensiero reazionario. Ma questa è una falsa alternativa, in quanto le contraddizioni dell'ideologia borghese emergono sempre e comunque. La mitologia illuminista del progresso, da un lato, ed il pessimismo culturale ed il romanticismo agrario, dall'altro, non sono altro che le due facce della stessa moneta. Questi due modi di pensare hanno alla base la necessità di un'ontologia positiva.
Se. invece, si accoglie l'impulso negativo a "rovesciare tutte le condizioni nelle quali l'uomo è un essere degradato" (Marx), allora non è più necessaria alcuna costruzione ontologica. Da questo si potrebbe dedurre che in fondo i punti essenziali del materialismo storico si applicano ad un'unica formazione sociale, vale a dire quella capitalista. Al di là di queste considerazioni, si pone evidentemente la questione di come, alla fine, il modo di produzione capitalista sia nato dalla "economia delle armi da fuoco".

Armi poco degne dei cavalieri
Era un giorno buio del 14° secolo, quando in un laboratorio di alchimista da qualche parte della Germania sud-occidentale ci dev'essere stata una tremenda esplosione; una miscela di nitrato di sodio, zolfo ed altri reagenti chimici, preparata con poche precauzioni, fece saltare tutto in aria. Il monaco avido di conoscenza che aveva svolto l'esperimento si chiamava Berthold Schwarz. Di lui non sappiamo altro. Ma quell'esplosione dev'essere stata con ogni probabilità il vero e proprio Big Bang della modernità. Va detto per inciso che allora i cinesi conoscevano la polvere da sparo già da molto tempo prima e, occasionalmente, oltre ad usarla per dei sontuosi fuochi d'artificio, davano ad essa un utilizzo militare. Ma non si fecero mai venire in mente di costruire, sulla base di un simile esplosivo, armi per proiettili a lunga distanza, il cui effetto fosse, nel senso più vero de termine, contundente. La prima volta di cui è dimostrato che venne fatto ricorso ad un pezzo di artiglieria fu l'anno 1334, quando il vescolo Nicola I di Costanza lo inviò a difendere la città di Meersburg.
Era nata così "l'arma da fuoco" che rimane fino ad oggi l'arma assassina più comune. Quest'innovazione fondamentale ebbe come prima conseguenza quella "rivoluzione militare" (Parker) che avrebbe caratterizzato l'ascesa storica dell'Occidente. Già nel Medioevo c'era stato chi aveva intuito gli effetti che efficaci armi a lungo raggio potevano avere riguardo l'ordine tradizionale della società. Vennero espresse chiare riserve ideologiche in tal senso quando, intorno all'anno Mille, era apparsa, proveniente da Oriente, la balestra come nuova arma a lungo raggio. Il secondo Concilio Lateranense, nel 1129, proibì il ricorso a quest'arma da guerra, definendola "arma poco degna dei cavalieri". Non per niente, da allora, la balestra divenne l'arma principale di banditi, fuorilegge e ribelli.
L'arma da fuoco ridicolizzò definitivamente in termini militari l'orgogliosa e blindata casta dei cavalieri. Ancora nel contesto della Guerra dei Trent'anni, Grimmelshausen fa dire al suo "Simplicissimus", a proposito della propria carriera di figlio di un ufficiale della guardia forestale: "Una simile circostanza mi rende così grande dal momento che, ai nostri giorni, anche il più infimo degli stallieri può uccidere con un solo colpo l'eroe più coraggioso del mondo, ma se la polvere da sparo non fosse stata ancora inventata, probabilmente mi sarei visto costretto a lasciare la pipa in tasca."
Tuttavia, i "tubi da fuoco" non si trovano più nelle mani di pochi marginali. Appena si definiscono le potenzialità della nuova tecnica di armamento, non c'è più ritorno. Per paura di rimanere indietro rispetto agli altri, i piccoli ed i grandi sovrani lottano per il possesso delle miracolose armi esplosive. In questo caso, non c'è Concilio che tenga. Il know-how delle nuove macchine di annichilimento si diffonde con la rapidità di una macchia d'olio. E' in special modo nelle città rinascimentali del Nord Italia, con la loro destrezza artigianale relativamente evoluta, che anche la tecnologia delle armi da fuoco progredisce più rapidamente di quanto avvenga altrove. A tutte le realizzazioni e a tutte le scoperte di quest'epoca della nascita del mondo moderno, si sovrappone l'arte di costruire e maneggiare cannoni.
All'inizio del 16° secolo, il teorico norditaliano Antonio Cornazano descrive questo ruolo in tutto e per tutto decisivo delle armi da fuoco. cantando letteralmente odi al cannone, definendolo in maniera abbastanza personale come "Madama la bombarda che ha come figlio il fucile. Quest'arte diabolica ha messo fuori gioco tutto il resto ed apre ai nemici le città fortificate e, con il suo strepito, fa tremare interi eserciti." (citata da zur Lippe).
In questo modo si andarono costruendo fucili sempre migliori e, soprattutto, cannoni sempre più grandi che riuscivano a sparare sempre più lontano. I più grandi pezzi d'artiglieria da campagna ottennero perfino il diritto ad avere dei nomi propri. Come contropartita, si sviluppò la tecnica di costruzione delle fortezze. Perciò, il primo impeto della modernizzazione coincise con una corsa agli armamenti, e questo stesso processo si è ripetuto periodicamente fino ai nostri giorni, potendo così essere designato del tutto correttamente come la caratteristica essenziale della modernità. Quanto più grandi e più tecnologicamente sofisticati diventavano cannoni e fortificazioni, tanto più chiaramente appariva, anche, fino a che punto la "rivoluzione militare" stava alterando la società.

La macchina militare svincolata
Si arrivò ben presto alla conclusione che l'innovazione delle armi da fuoco non si limitava ad un'alterazione della tecnologia militare. La profonda alterazione avvenuta nell'ambito dell'organizzazione e della logistica della guerra aveva inflitto anche un colpo, ancora più profondo, alla situazione vigente. Fino a quel punto, in quasi tutte le società agrarie la forma di organizzazione civile e la sua controparte militare erano state in gran misura identiche. Di regola, qualsiasi cittadino completamente libero costituiva anche un militare con l'obbligo di partecipare alla guerra. Un esercito si riuniva soltanto se la relativa istanza suprema sotto forma di imperatore, re, duca, console, ecc. "chiamava (gli uomini) alle armi" per organizzare una spedizione di guerra. Fra l'una e l'altra di tali occasioni, abitualmente non esisteva alcun apparato militare degno di questo nome. E' vero che alcuni dei grandi imperi, quali i cinesi o l'impero tardo-romano, avevano mantenuto eserciti più o meno numerosi in uno stato di operatività permanente. Ma, per quanto oneroso fosse spesso stato quest'incarico militare permanente, era riuscito ad influenzare il modo di produzione e di vita dei comuni mortali solo in maniera superficiale.
La differenza decisiva consisteva nel problema dell'equipaggiamento. Il guerriero premoderno portava con sé le armi e le usava anche nella sua quotidianità, oppure le teneva in casa. L'elmo, lo scudo, la spada potevano essere praticamente prodotti da un qualsiasi fabbro del paese. E qualsiasi ragazzo che pascolava il gregge sapeva come fabbricare un arco e le relative frecce, o una fionda. Anche tutta la logistica di guerra poteva essere organizzata in forma decentralizzata. Ciò corrispondeva in tutto all'organizzazione in gran parte decentralizzata di una civiltà agraria. Anche il potere centrale, per quanto potesse essere dispotico, si ripercuoteva in maniera attenuata, e la sua mano mal interferiva con la vita di ogni giorno.
Questo stato di cose finì irrimediabilmente. I moschetti e, soprattutto, i cannoni non potevano venire prodotti in qualsiasi villaggio, né potevano essere tenuti in casa, ed ancor meno potevano essere normalmente portati con sé. Improvvisamente, l'arma assassina aveva superato la scala domestica per collocarsi al di là dei limiti umani. Col cannone, ci troviamo di fronte, quindi, in un certo modo all'archetipo della modernità, ossia, allo strumento che comincia a dominare il suo creatore. Sorge una nuova industria di armamenti e di morte che va a costituire la matrice della successiva industrializzazione e del cui fetore cadaverico le società moderne, incluse le democrazie del mercato mondiale dei nostri giorni, non riusciranno mai più a liberarsi.
L'apparato militare comincia a staccarsi dall'organizzazione borghese e civile della società. Il signore della guerra si trasforma in una categoria professionale specializzata e l'esercito diventa un'istituzione permanente che comincia a piegare la società al suo dominio. Geoffrey Parker lo dimostra anche nel suo lavoro di ricerca: "Nel contesto di un tale sviluppo, la dimensione degli eserciti aumentò in tutta Europa, e si videro fra il 1500 ed il 1700 le forze armate di alcuni Stati decuplicarsi, e le strategie per l'utilizzo di questi eserciti più grandi si fecero più ambiziose e più complesse (...). Alla fine la rivoluzione militare fece sì che le ripercussioni della guerra sulla società si aggravassero in maniera drammatica: i costi aumentarono, le perdite si moltiplicarono e gli eserciti maggiori posero le amministrazioni di fronte ad accresciuti livelli di esigenza" (Parker 1990, 20).
In tal modo, le risorse della società vennero dirottate a fini militari n una misura senza precedenti. Una sorta di militarismo dello sperpero era senza dubbio già esistito precedentemente in forma occasionale, ma non era mai stato così duraturo, né si era mai impadronito di una parte così elevata di prodotto sociale. Il nuovo complesso armamentista e militare si era rapidamente sviluppato fino a diventare un mostro insaziabile che consumava mezzi e a cui venivano sacrificate le migliori potenzialità sociali. Nonostante, o proprio a causa delle sue numerose odi eroiche e delle sue apparenze militari, le culture premoderne erano tagliate per un consumo delle armi in una misura molto minore, e le loro guerre potevano sembrare quasi delle risse senza particolari conseguenze.
A questo proposito, Karl Georg Zinn stabilisce un paragone poco lusinghiero per la modernità: "Rispetto allo sviluppo della tecnica verificatosi a partire dal 14° secolo, il Medioevo disponeva (...) di un potere militare relativamente irrisorio. La guerra e l'armamento costituivano per la società medievale un fardello assai più leggero rispetto alla modernità. La porzione di prodotto agricolo che veniva consumato a fini distruttivi rimaneva relativamente bassa per tutto il Medioevo in quanto diversamente non avrebbero potuto essere attuati gli investimenti necessari al progresso della tecnologia agraria, né sarebbero state edificate così tante cattedrali, nuove città e fortificazioni urbane. Quel che soprattutto si evidenzia nella comparazione fra Medioevo e modernità, è la qualità diametralmente opposta del progresso tecnologico: le innovazioni agrarie del Medioevo contrastano con la tecnologia urbana degli armamenti e dei prodotti di lusso della modernità, che si accompagna all'abbandono dell'agricoltura" (Zinn 1989, 58).
"Madama la bombarda", tuttavia, non si limitava a divorare una parte spropositatamente grande del prodotto sociale, ma dava anche un impulso decisivo all'economia monetaria che, fino ad allora, era stata assai limitata. Grazie solo alla crescente produttività agraria ed artigianale, una simile ascesa del denaro fino al punto di diventare potere anonimo dominante non sarebbe stata possibile. Nel corso dei millenni sono sempre apparse innovazioni tecniche. Ma di regola le persone preferiscono approfittare del guadagno di produttività per avere più tempo libero o per aumentare il proprio benessere sensibile, piuttosto che dedicarsi all'accumulazione di capitale monetario. Una forma così squilibrata dello sviluppo delle capacità produttive poteva essere imposta solo dall'esterno e con la forza. Ed era la nuova macchina armamentista e militare, svincolata dal contesto della società, che offriva i migliori presupposti per una simile impresa.
Dal momento che la produzione delle armi da fuoco non poteva avvenire in maniera decentralizzata nell'ambito dell'economia agraria di carattere domestico e basata sullo scambio diretto, essa doveva venire concentrata nell'ambito della società. La stessa cosa si applicava agli eserciti e agli apparati militari permanenti, i cui membri ora erano passati ad essere assassini professionali che per sostentarsi non potevano più far ricorso ad una qualche produzione domestica propria. L'unico mezzo possibile per la riproduzione della macchina militare svincolata da contesto sociale era il denaro. L'astrazione del dispositivo delle armi da fuoco relativamente alle necessità materiali della società, corrispondeva alla forma astratta del denaro come veicolo adeguato. L'economia armamentista permanente dei cannoni e dei grandi eserciti divenuti strutturalmente autonomi venne, pertanto, tradotta socialmente in una espansione corrispondente della mediazione per mezzo del denaro. E sebbene si alimentasse da fonti diverse, tutte quante provenivano dalle conseguenze della "rivoluzione militare".

Banchieri di guerra, Condottieri e Mercenari
I condottieri dei mercenari dei primordi della modernità, così come i loro subordinati, i semplici artiglieri e moschettieri, furono i primi soggetti ad essere del tutto rimossi dal contesto agrario di riproduzione naturale e, in tal modo, persero i loro vincoli sociali. Con ciò, la loro forma di esistenza costituiva il prototipo della stessa forma del soggetto che solamente nella modernità sarebbe diventato il principio generale della società sotto forma dell'astrazione dell'attività in relazione alle necessità.
Nelle analisi dello storico culturale Rudolf zur Lippe appare evidente come i nuovi e sanguinari "artigiani della morte" si fossero convertiti negli archetipi del moderno lavoro salariato e della sua gestione: "La pianificazione delle azioni belliche (...) si trovava già soggetta al primato del calcolo dei profitti. Gli ideali di onore cavalleresco ed il rispetto corrispondente allo status sociale di ciascuno non rientrava in questo calcolo. (...) I resti non funzionalizzati di un atteggiamento feudale, cioè, di una relazione immediata con le persone e le cose per cui si lottava, stava già svanendo da una generazione degli 'ultimi cavalieri' all'altra. (...) In realtà, la massa dei guerrieri si era convertita in soldati, ossia, in ricevitori di soldo, ed i condottieri venivano pagati dalle casse degli Stati e dai depositi commerciali. La prima invenzione tecnica che ebbe un eminente significato pratico, venne introdotta proprio in quell'area, nella quale già da tempo esisteva qualcosa come il lavoro astratto, vale a dire salariati perfettamente sostituibili: il cannone corrispondeva tecnicamente agli intenti di guerre in cui ciò che era in questione erano cose astratte in termini comparativi come le ipotesi di accumulazione del capitale commerciale. (...) In quanto il numero di mercenari in una formazione militare rappresentava solo la quantità che il committente poteva pagare, la sintesi astratta della capacità di attacco insita in quella macchina di distruzione che è il cannone ne costituiva una conseguenza logica." (zur Lippe 1988, 37).
La causa principale del collegamento fra innovazione delle armi da fuoco e lavoro astratto non è stato, tuttavia, il vecchio capitale commerciale, come viene qui suggerito ancora nel senso di un'ontologia del materialismo storico. Non è stata la macchina di morte astratta, il cannone, che ha corrisposto ad un interesse di accumulazione astratto e preesistente del capitale commerciale ma è stata, piuttosto, la genesi stessa di questa forma di interesse causata dalla "rivoluzione militare" e dai processi che ne sono conseguiti a livello sociale.
Arrivato a questo punto, il materialismo storico avrebbe dovuto cominciare a diffidare di sé stesso, dal momento che la sua supposizione di una "base economica", nel presente caso, del capitale commerciale dei primordi della Modernità, non si conforma ad una dialettica fra "potenziale economico e condizioni di produzione" che, in realtà, verrebbe ad essere solo una conseguenza tardiva del modo di produzione capitalista. Quale avrebbe dovuto essere stato il potenziale economico che, da parte sua, avrebbe dato origine all'interesse astratto per l'accumulazione del capitale commerciale dei primordi della modernità? La bussola forse, o l'invenzione degli occhiali? Il collegamento causale presupposto a questo punto non esiste neppure.
In realtà, l'interesse astratto per l'accumulazione e, insieme ad esso, la libera imprenditoria dell'economia monetaria moderna non avrebbero potuto nemmeno nascere in maniera immediata dal seno dei commercianti e degli artigiani urbani medievali. Gli è che questi gruppi alloggiati nelle nicchie delle società agraria, rimanevano vincolati dalle loro corporazioni delle arti e mestieri ad un sistema rigido di obblighi reciproci e di tradizioni. I mercati corrispondenti non erano caratterizzati dalla libera concorrenza, e lo erano ancor meno da una logica astratta di accumulazione. Solo nella misura in cui famiglie di commercianti - i famigerati Fugger, ad esempio - ascesero al ruolo di banchieri di guerra delle autorità dotate di armi da fuoco, l'interesse divenne quello dell'accumulazione monetaria pura e semplice. In quanto creditori dei Principi, questi banchieri erano interessati ai bottini di guerra, tanto esorbitanti quanto passibili e capaci di essere facilmente convertiti in denaro. Questo calcolo dei profitti, privo di qualsiasi vincolo sociale, si ripeteva nei condottieri dei mercenari. La razionalità astratta dell'economia industriale moderna germogliò dalle canne delle spingarde e dei cannoni manovrati dalle mani di incendiari ed assassini professionali, e non dall'interesse per il benessere della società.
Il maneggio dei moschetti e dei cannoni fu, in un certo qual modo, l'archetipo del "lavoro astratto". Quest'espressione confonde ancora oggi la maggior parte delle persone, seppure non sia difficile comprendere ciò che essa vuol dire. Il "lavoro astratto" è un'attività che viene esercitata in cambio di denaro e nella quale l'interesse monetario diventa decisivo, il che equivale a dire che il relativo contenuto diventa comparativamente indifferente. Nella forma primordiale della moderna soggettività del denaro, quest'indifferenza arrivava dritta fino all'annichilimento, dal momento che anche l'annichilimento stesso veniva accettato come esito plausibile. L'oggettualizzazione e l'oggettivazione del mondo a favore dell'esercizio indifferente di mettere insieme profitti includeva l'oggettualizzazione e l'oggettivazione del rischio di morte della persona stessa. Il soggetto e l'oggetto identico della storia erano, in maniera prototipica, sia gli impresari della morte che gli operai della morte, tanto i condottieri di mercenari, ossia i manager, quanto i soldati, ossia gli operai salariati. E' indifferente contro chi e a favore di che si fa la guerra, in quale ramo produttivo si investe, che tipo di lavoro si esercita, basta che i conti a fine mese tornino, anche se per questo dovrà perire l'uno o l'altro mondo.
Questo nichilismo del denaro incominciò a travestirsi nelle parabole originarie della vita di campagna. In tedesco, prima del carbone (N.d.T.: "Kohle" [carbone] è uno dei sinonimi popolari di denaro), il fieno ("Heu") era l'espressione colloquiale che designava l'interesse monetario astratto. Quel che si voleva "fare", era "denaro come fieno", tutto il resto era irrilevante, come rivela una canzone dei soldati mercenari: "Non ci preoccupiamo / dell'Impero Romano. Che morrà oggi o domani / Per noi è lo stesso / Quel che conta è che ci sia buon fieno / Con cui la gente faccia una corda / Che torni a cucirlo."
I soldati a piedi negli apparati militari emergenti si abbrutivano e, allo stesso tempo finivano per essere socialmente squalificati a causa della mancanza di propri mezzi di produzione. Inoltre sono stati i primi a correre il rischio di restare disoccupati. Quando finiva il denaro nelle casse dei signori della guerra, i posti di lavoro in seno agli eserciti diminuivano. Molti moschettieri ed artiglieri diventavano vittime dei licenziamenti in massa; si venivano quindi a trovare senza alcun appoggio, letteralmente in mezzo alla strada, ed erano temuti in quanto vagabondi e mendicanti, banditi e assassini occasionali. Quello del soldato sradicato e assai spesso disoccupato, era un fenomeno di massa.

La monetizzazione della società
I bottini di guerra ed i debiti successivamente contratti dai banchieri di guerra ricchi di capitale commerciale erano, tuttavia, insufficienti a mantenere in movimento la macchina militare. Nella stessa misura in cui questa macchina reclamava ogni tipo di combustibile, la totalità della riproduzione sociale veniva deviata a tale scopo essendo, perciò, simultaneamente soggetta alla forma del denaro. Per questo, ciò significava la monetizzazione dei contributi che, fino ad allora, erano stati pagati in prodotti naturali. Se la tassazione in natura era ancora vincolata al rendimento agrario reale, l'imposta in denaro si astraeva del tutto dalle condizioni naturali e, quindi, trasferiva la logica dell'apparato militare sulla quotidianità del mondo dei comuni mortali.
L'insaziabile fame di denaro delle autorità dotate di armi da fuoco divenne il punto di svolta. Secondo calcoli recenti, la pressione fiscale fra il 15° ed il 18° secolo aumentò niente di meno che del 2.200%. Il fatto che questa imposizione sotto forma monetaria abbia avuto un effetto demoralizzante sulle persone, risulta da numerose testimonianze.
Pure Rousseau dà conto nelle sue autobiografiche "Confessioni" delle sofferenze della popolazione rurale depredata, così come le ha conosciute in gioventù nel corso del suo vagabondaggio per l'Europa: "Molte ore dopo (...) entrai, stanco e quasi morto di fame e di sete, nella casa di un contadino. (...) Chiesi al contadino di darmi qualcosa da mangiare, dicendo che lo avrei pagato. Mi offrì del latte scremato e del pane di scarsa qualità e mi disse che era tutto quel che aveva. (...) Il contadino, che non smetteva di farmi domande, aveva dedotto dal mio appetito la veridicità delle mie risposte. Dopo aver dichiarato di essere convinto che io fossi un bravo giovane onesto e che non ero venuto per derubarlo, aprì una piccola botola a lato della sua cucina, vi discese e, poco dopo, tornò con un (...) prosciutto dall'aspetto assai appetitoso ed una caraffa di vino. (...) A tutto questo aggiunse anche una frittata abbastanza spessa. (...) Quando arrivò il momento di pagare, venne di nuovo preso dalla sua inquietudine e dalla sua paura, non voleva denaro e continuava a rifiutarlo con straordinario imbarazzo, (...) ed io non riuscivo a capire che cosa temesse. Finalmente disse fra i denti, tremando, le terribili parole 'commissario' e 'topi da cantina'. Mi fece capire che nascondeva il suo vino a causa dei funzionari pubblici, ed il suo pane a causa delle tasse, e che sarebbe stato rovinato se qualcuno avesse sospettato non moriva di fame. (...) Lasciai la sua casa, tanto arrabbiato quanto commosso, ed imprecai contro la sorte di questi splendidi dove la natura sperperava i propri doni per farne bottino per i barbari esattori di imposte."
Questi esattori di imposte costituivano, dopo i banchieri di guerra ed i condottieri, un altro prototipo della libera imprenditorialità, nella misura in cui compravano dallo Stato, per mezzo di un patto, il diritto di raccogliere il denaro delle tasse. E a chi non poteva pagare, l'ufficiale giudiziario sequestrava, se necessario, l'ultima vacca o lo strumento di lavoro, al fine di convertirli in denaro.
Ma neppure la conversione dei contributi in natura, in imposte da pagare in denaro, insieme all'inflazionamento straordinario di quest'ultime, fu in grado di soddisfare la fame di denaro delle macchine da guerra. I dispotici regimi militari della modernizzazione cominciarono a fondare le loro imprese di produzione al di fuori dell'ambito delle corporazioni e delle gilde, e la cui finalità non consiteva più nella soddisfazione delle necessità, ma unicamente nell'ottenere denaro. Questi laboratori e queste piantagioni dipendenti dallo Stato producevano, per la prima volta, per un mercato anonimo che aveva una grande estensione geografica che sarebbe poi diventato il presupposto della libera concorrenza. E dal momento che nessuno si sottometteva volontariamente al lavoro salariato, malpagato com'era, si ricorse ai condannati, ai malati mentali imprigionati e, nella periferia, anche alla manodopera schiava. Si arrivò ad inventare delitti con l'unico scopo di mettere insieme una moltitudine di lavoratori forzati. I direttori delle nuove case di correzione e di lavoro al servizio del libero mercato, che si andava sempre più formando come prodotto collaterale della monetarizzazione forzata della società, completarono la galleria illustre dei prototipi della libera imprenditoria.

La guerra al servizio della formazione degli Stati
I condottieri che si vendevano, insieme ai loro propri eserciti privati, al signore urbano o territoriale che faceva l'offerta migliore sono stati un fenomeno di transizione. Gli amministratori dei principati, che inizialmente si erano limitati ad apparire come mandanti, non tardarono a prendere la situazione nelle loro stesse mani. Tutto questo che, successivamente, si sarebbe convertito nella legge dello sviluppo dell'economia moderna, cominciò ad imporsi al livello delle potenze che si facevano guerra con le armi da fuoco; i pesci grandi mangiano quelli più piccoli.
Una volta messi in marcia dalla dinamica auto-alimentata della "rivoluzione militare", gli Stati proto-moderni freschi di costituzione cominciarono un movimento di espansione e, così, entrarono in rotta di collisione. Con bagni di sangue che fino ad allora non si erano mai visti, misurarono per la prima volta le loro forze basate sulla tecnologia pesante al fine di risolvere con le armi la questione di chi avrebbe dovuto avere l'egemonia sull'Europa. Lo storico conservatore svizzero Jacob Burckhardt ha colpito nel segno quando ha parlato di "Guerra di costituzione dello Stato" dei primordi della modernità, in quanto fu a quel livello che si formarono le strutture basilari delle strutture del potere ancora oggi vigenti e tutto quello che - in quanto rovescio della medagli della riproduzione monetaria - designiamo come politica.
Questa dinamica venne accelerata dalla scoperta delle Americhe. Nella stessa misura in cui la tecnica della guerra moderna produceva un equilibrio, la forma del denaro delle macchine militare portava ad un'espansione, in entrambe le parti dell'America, che senza armi da fuoco sarebbe stata impensabile. E' ben noto che avventurieri come Pizarro, con mezza dozzina di cannoni ed una manciata di moschettieri, macellarono intere nazioni di indios. L'economia armamentista ed il colonialismo si andavano potenziando a vicenda. Il traffico permanente fra i due lati dell'Oceano Atlantico esigeva enormi programmi di costruzioni di flotte che, a loro volta, potevano essere realizzati solo facendo ricorso all'economia monetaria astratta. La "Guerra di costituzione dello Stato" assunse dimensioni intercontinentali. Dietro la logica dei cannoni, si celava l'ossessione megalomane del dominio del mondo. Così la guerra dei Sette anni, dal 1756 al 1763, fra Prussia ed Inghilterra, da un lato, ed Austria, Russia e Francia, dall'altro, fu la prima guerra a meritare la designazione di mondiale, dal momento che si svolse simultaneamente sia in Europa che nelle colonie del Nuovo Mondo. La Storia iniziò allora a consistere in un flusso sempre più rapido di conflitti militari. Secondo Geoffrey Parker, la modernità costituisce, sia sotto l'aspetto della frequenza che sotto la prospettiva della durata e dell'estensione delle guerre, il periodo meno pacifico di tutta la storia dell'umanità. Questa densificazione della guerra e la militarizzazione dell'economia vanno necessariamente di pari passo con una centralizzazione della società. Non avveniva solamente all'esterno, ossia, negli "affari" fra Stati, che i grandi pesci mangiassero quelli piccoli. Anche all'interno degli Stati costituiti ad immagine e somiglianza del cannone, il dominio si andava riorganizzando. Fino al 16° secolo non era esistita alcuna amministrazione organizzata dall'alto verso il basso. Le persone dovevano dare contributi sotto forma di generi o di servizi di lavoro, ma per il resto facevano per conto proprio nella vita di ogni giorno. La maggior parte dei temi veniva trattata da istituzioni tanto limitate quanto autonome. Finco ad allora esistevano grandi regioni con contadini ed artigiani liberi, che possedevano le loro armi e neppure conoscevano il feudalesimo; il carattere repressivo delle strutture consisteva, qui, soprattutto nella ristrettezza delle condizioni stabilite da vincoli di sangue.
Qui, la modernizzazione non significava altro se non la distruzione da cima a fondo di queste forme di una "autonomia ristretta" per poter assoggettare le persone alle esigenze di questa "economia politica delle armi da fuoco", ossia, alla tassazione monetaria e poter finalmente convertirle in unità di rifornimento diretto di lavoro astratto ai fini della moltiplicazione del denaro. Dalle guerre contadine del 15° e 16° secolo agli "assalti alle macchine" degli inizi del 19° secolo, i produttori indipendenti si opposero in disperate rivolte alla loro riconversione in carne da cannone della macchina da guerra e della sua economia monetaria astratta. Tale resistenza venne annegata nel sangue. Gli apparati degli Stati assolutisti costituiti sulla base dell'innovazione delle armi da fuoco imposero con la violenza i loro imperativi.

L'economia svincolata
Dietro l'onnipresente obbligo moderno a guadagnare denaro c'è, in fin dei conti, la logica del cannone tuonante. La dinamica delle alterazioni sociali innescate da tale logica cominciò, nel 18° secolo, a divorare i suoi progenitori. Il sistema di "economia politica" di un apparato armamentista e militare svincolato dalla società e che poteva ormai essere alimentato solamente a costo del lavoro astratto, si emancipò dalla sua finalità originale. La forma denaro dei regimi militari dispotici dei primordi della modernizzazione si trasformò nel principio della "valorizzazione del valore" che fin dai primi anni del 19° secolo prendeva il nome di capitalismo. La camicia stretta della tutela statale e militare è stata rimossa unicamente al fine di far sì che la macchina monetaria, ora resasi autonoma, continui a funzionare come fine in sé puro e semplice di una "economia svincolata" da ogni vincolo sociale e culturale (Karl Polanyi) ed aprire la strada alla concorrenza anonima.
Sul viso di questa concorrenza totale, e perfino nella sua terminologia, si trovano incise le stimmate della sua provenienza dalla guerra totale. Non per niente, Thomas Hobbes, in quanto fondatore della teoria liberale dello Stato moderno, ha designato la "guerra di tutti contro tutti" come lo stato naturale dell'uomo. Sono stati i protagonisti del cosiddetto Illuminismo che, nel 18° secolo, a tradurre gli imperativi della "economia svincolata" in un'ontologia filosofica astratta del "soggetto autonomo" che, alla fine, viene invariabilmente stabilito dalla forma totalitaria del valore. Il socialismo, dal suo canto, si è limitato ad appropriarsi della medesima ontologia borghese e, insieme ad essa, delle origini del mondo moderno a partire dall'economia della guerra. Non per niente, il marxismo del movimento operaio ha parlato, in maniera del tutto candida e positiva, di "eserciti del lavoro".
Per le democrazie del mercato mondiale di oggi, il fine in sé "svincolato" della valorizzazione del valore e del lavoro astratto, in quanto imposizione già da molto tempo interiorizzata, è diventato definitivamente qualcosa di indiscutibile. Sono state esse a portare fino alle ultime conseguenze, non solo la monetarizzazone di tutte le aree della vita così come, parimenti, l'amministrazione burocratica delle persone ad essa associate. Tutti i diritti e tutte le libertà, tutta la presunta autodeterminazione e responsabilità di sé, tutta la politica ed i programmi di tutti i partiti risultano adesso e sempre da questo muto apriorismo.
La critica radicale del capitalismo rimarrà bloccata finché condividerà la base ontologica della soggettività borghese. La maggior parte dei critici di sinistra degli ontologhi borghesi sono, essi stessi, ontologhi borghesi. Implicitamente, o perfino esplicitamente, continuano ancora a voler appoggiarsi alle costruzioni ontologiche dell'illuminismo borghese e, perciò, assumono una postura agnostica nei confronti delle vere origini della modernità e fanno risalire la nascita del capitalismo, contrariamente a quella che è la verità dei fatti, direttamente dalla società agraria.
Un'anti-modernità emancipatrice, al contrario, non farà certamente crescere un'ideologia retrograda, ma investirà sul serio nella "dialettica negativa", al di là di Adorno ed al di là del materialismo storico, vale a dire, taglierà definitivamente i ponti con l'ontologia illuminista del soggetto. E di questo fa anche parte una rivalutazione della storia, dalla quale non verrà omesso che la modernità è nata dalla "economia delle armi fa fuoco".

- Robert Kurz - Pubblicato sulla rivista Jungle World, il 9 gennaio 2012 -

fonte: EXIT!

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