Il modo idiota di stare al mondo
- di Cristóvão Feil -
"La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose." - (Karl Marx, febbraio 1844) -
Chi è vivo (in ogni senso) sperimenta, in ogni momento, il grande impatto del fenomeno della transizione culturale - sotto gli auspici del moderno sistema produttore di merci. Le cause sono state chiaramente identificate: rottura dei paradigmi in vari campi della scienza, profonde mutazioni tecnologiche, prevalenza della quantità di lavoro morto sul lavoro vivo, produzione flessibile, egemonia definitiva del capitale finanziario, divinizzazione del denaro, intense mutazioni nel concetto di tempo sociale, reificazione delle coscienze, ecc..
Questo fenomeno di transizione culturale non è - ovviamente - inedito nella storia del sistema. E' successo molte altre volte. L'ultima occorrenza, massiva e consistente, del fenomeno c'è stata all'inizio della rivoluzione della cosiddetta "produzione di massa", grosso modo, nei primi trent'anni del 20° secolo. Causata dalle nuove tecniche di produzione introdotte da Frederick Taylor ed Henry Ford. Il primo, con i suoi studi sul tempo-movimento e con la logica del tempo metrico; il secondo , con la catena di montaggio e con i suoi operai non specializzati ben remunerati. Escono di scena: l'improvvisazione e l'artigianato, la produzione rivolta al valore d'uso, l'individualismo economico. Entrano in scena: il cronometraggio e la razionalità nell'uso del tempo, la produzione su grande scala, l'enfasi sul valore di scambio della merce, il consumo di massa, l'operaio non specializzato, l'economia programmata, il consolidamento dell'egemonia industriale. E' l'inizio di quello che il sociologo tedesco Elmar Altvater ha chiamato "sistematizzazione fordista". Una forma di vita e di relazioni sociali modellate dalla razionalità taylorista-fordista. Una svolta culturale che la promessa illuminista-liberale ha dovuto attuare sotto il comando dell'unità fra tecnica e scienza, che coincide con la tecnologia. La scienza come forza produttiva, il tempo come strumento contabile del valore ed il lavoro astratto come valore di scambio definitivamente consacrato nella storia.
La singolare riunione su base sociale di questi fermenti simbolici produceva, nella sfera della sovrastruttura, una schiuma di tipi umani diversi ed originali. Sinclair Lewis, il grande scrittore americano che vinse nel 1930 il premio Nobel per la letteratura, riuscì a catturare molto bene questa totalità; creando un'allegoria che racconta la nascita di quest'individuo fordista e la sua errante avventura di proto-imbecille sociologico. Il suo più grande romanzo è "Babbitt". Ritrae la vita durante gli anni 1920 di un americano medio, Geroge F. Babbitt, 46 anni, il quale "non faceva niente di speciale: né burro, né scarpe, né versi; ma era abile nel vendere case a prezzi eccessivi per le tasche degli acquirenti". Un truffatore immobiliare. Socialmente, Babbitt viene considerato "un booster - uomo energico e pieno di iniziativa, un pilastro del progresso", in combinazione con quello che la lingua tedesca s-qualifica come “Landsknechtsnatur” (un'espressione idiomatica che identifica il soggetto che adula i superiori e prende a calci i subordinati). La moglie (chiamata signora Babbitt) è un essere invisibile nella casa, una domestica, sebbene abbia l'ausilio dei nuovi gadget elettrici fabbricati in serie, e faccia "tanto sesso quanto ne fa una suora anemica". La crudeltà, non di rado, si annida in maniera innocente nelle pieghe dell'indifferenza. Al di là della crudeltà, Babbitt è uno sciocco sciovinista, timorato di Dio, maschilista, pusillanime e senza personalità. Un imbroglio di sé stesso, un'imitazione a basso costo dell'uomo all'avanguardia, l'industriale fordista. A lui, rimane soltanto l'autenticità di essere imbecille, "un uomo senza qualità definite" (Musil).
E' il catarro dell'America fordista. Una generazione più tardi, questo muco è servito da vivaio sociale per personaggi come George W. Bush. Leggendo Sinclair Lewis si capisce meglio il fenomeno Bush - un figlio ritardato del fordismo obsoleto e della vetusta industria della combustione di energia fossile. Perché sono tali secrezioni "babbittiane" di guerrafondai imbecilli ad essere oggi al potere negli Stati Uniti.
C'è un passaggio del romanzo in cui Babbitt legge sul giornale di una voce a proposito della morte di Lenin (avvenuta, di fatto, nel gennaio del 1924) e commenta con un misto di coraggio e di spavalderia: "Andiamo bene! Non capisco perché non andiamo là e buttiamo fuori a calci questi miserabili bolscevichi". Lewis ha pubblicato "Babbitt" nel 1922.
Ma anche Antonio Gramsci ha scritto a proposito del fenomeno fordista. Lo ha fatto nel noto saggio dal titolo "Americanismo e fordismo", intorno al 1929. Gramsci, come aveva già fatto Marx con grande originalità ed arte, constata l'avanzata della razionalità capitalista avvenuta con la fase fordista. Tuttavia, manca dell'arguzia letteraria, della sintassi poetica tagliente e dell'acutezza sociologica del maestro.
Lewis, con umorismo, grazia, arte, e con un'altra ottica, riesce a proiettare, per mezzo di un personaggio sintesi, il futuro di un sistema che stava muovendo i primi passi. Babbitt è - come dice Conrad del suo personaggio Kurtz - un tipo "alla cui realizzazione ha contribuito tutta l'America". Per questo egli è sintetico. Passibile di essere proiettato e dislocato oltre la curva del tempo. Laddove Lewis è soddisfatto, Gramsci soccombe. La sua analisi è pietrificata, ovvia (dopo Marx), troppo oggettiva e impacciata. Con un'ulteriore aggravante: sia il progetto nazi-fascista, che il progetto stalinista in Unione Sovietica, hanno avuto come riferimento di progresso e di sviluppo economico moderno il modello taylorista-fordista. Ed entrambi i progetti hanno messo in atto questo desideratum programmatico nei loro paesi - Unione Sovietica, Germania ed Italia, seppure senza la "febbre consumistica".
Non sorprende che Hannah Arendt dica che il nazi-fascismo non ha portato alcuna novità, né con la sua politica populista, né con la gestione economica modernizzante, né con la brutalità poliziesca-militare, o con il genocidio sotto forma di "lotta di razza". Tutto ciò era già stato sperimentato, in maniera frammentaria, dai regimi liberali. Il nazi-fascismo ha solamente condensato le cose in poco più di un decennio di potere tirannico.
Quindi, Gramsci non ha la lungimiranza necessaria a verificare il fatto che quelle indicazioni portano ad un destino che la storia ha finito per confermare. Nel caso dell'Unione Sovietica, non aveva bisogno di alcuna intuizione, bastava che seguisse la politica economica "sviluppista" e modernizzante di Stalin. Un taylorismo-fordista con lavoro schiavistico ed "emulazione rivoluzionari". Così, fino a Lula!
Questo stringato accostamento del prodotto narrativo di due ammirevoli critici sociali, seppure con strumenti differenti, e con risultati qualitativamente diseguali (a favore della finzione letteraria, a mio avviso) rafforza quella che è l'affermazione di Zygmunt Bauman, quando dice che: i letterati sono capaci di "riprodurre la non-determinazione, la non-finalità, l'ostinata ed insidiosa ambivalenza dell'esperienza umana e l'ambiguità del suo significato".
E, oggi, chi starà sputtanando gli imbecilli del futuro della postmodernità e di altri fenomeni più emozionanti? Saranno i Bauman, o gli Zizek, oppure Robert Kurz, o Fredrick Jameson, o Agnes Heller? Oppure saranno i Michel Houelebecq, i Don DeLillo, le Patrícia Highsmith, i Thomas Pynchon?
Va riconosciuto che la narrativa attualmente è molto diversa. La banca di categorie di cui dispongono le scienze sociali appare essere praticamente insolvente nel dar conto degli interrogativi frammentari del momento e del futuro. Le discipline sociali nate e generate dalla modernità devono sempre più fare affidamento sull'arte e sulla letteratura, per poter sopravvivere.
Oppure soccomberemo passivamente di fronte alla provocazione (incentivante) di Theodor Adorno secondo cui il pensiero critico è morto, e la società e la coscienza sono "totalmente reificate"? Il mondo, allora, si troverebbe nell'imminenza di essere sottomesso all'egemonia insindacabile degli sciocchi e degli imbecilli di tutti i generi, soprattutto guerrafondai ed arricchiti?
- Cristóvão Feil - Pubblicato il 13/6/2004 su Carta Maior -
fonte: Carta Maior
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