Incendio sul camion dei pompieri
- di Ernst Lohoff -
Dopo il crollo della Lehman Brothers nell'autunno del 2008, i prezzi delle azioni sono scesi in maniera vertiginosa. Secondo "Welt Online", nelle ultime settimane in tutto il mondo sono spariti valori per circa cinque miliardi di dollari. Dopo il ribasso del punteggio di solvibilità dei titoli del governo degli Stati Uniti, effettuato dall'agenzia di rating Standard and Poor's, i mercati finanziari hanno perso ancora di più.
Da quando, negli anni 1980, è cominciata la sua ascesa come industria di base del sistema capitalista mondiale, l'industria finanziaria ha subito alcune dure battute d'arresto. Ma gli attuali eventi hanno una nuova qualità. In tutti gli episodi precedenti di crisi nei centri capitalisti, gli Stati hanno assunto in parte, attraverso il debito, il ruolo di camion dei pompieri. Stavolta è il camion dei pompieri che sta andando a fuoco.
Questo mutamento del punto di partenza della crisi non è un incidente, bensì il risultato logico delle implicazioni delle crisi precedenti. C'è stato il crollo della "new economy" ovvero la grande crisi finanziaria del 2008 - i mercati dei capitali sono crollati in quanto gli investitori, delusi per i tassi di rendimento basati sulla speranza nel settore privato, speranza che una volta era alta, hanno smesso di comprare i titoli delle "imprese del futuro", ossia di concedere a queste imprese prestiti ipotecari insicuri. Le agenzie statali sono state incaricate di impedire una minacciosa spirale al ribasso nell'economia mondiale. Le banche centrali hanno reso disponibile, attraverso una politica di denaro a basso costo, la materia prima per la formazione di nuove bolle finanziarie ancora più grandi. I poteri pubblici hanno frenato il declino della cosiddetta economia reale per mezzo di una politica di spesa espansiva ed hanno guadagnato tempo attraverso un'espansione accelerata del proprio debito, in attesa che la dinamica di creazione di capitale fittizio facesse emergere nuovi portatori di speranza nell'economia privata. Questa procedura aveva avuto successo dopo il crollo economico del 2000. Allora, la situazione economica mondiale si era indebolita nel corso di due o tre anni, per cui una serie di bolle, come la bolla immobiliare degli Stati Uniti, si rivelarono sufficientemente forti da permettere il ritorno della crescita dell'economia mondiale. Dopo la crisi finanziaria del 2008, non è venuto fuori nessun portatore di speranza nell'economia. Di fatto, la politica dei bassi tassi di interesse e la nazionalizzazione delle perdite speculative hanno impedito il collasso dei mercati finanziari. Tuttavia, la produzione dell'industria finanziaria privata è rimasta al di sotto del livello che aveva permesso una limitazione dell'indebitamento statale. Gli Stati di tutto il mondo, per affrontare la crisi del 2008, hanno dovuto sborsare 15 miliardi di dollari, aumentando di 39 miliardi di dollari l'indebitamento totale di tutti gli Stati.
Non si prevedono miglioramenti. L'indebitamento statale è diventato la più importante bolla dell'industria finanziaria, ed è proprio questa bolla che ora si trova sul punto di esplodere. La politica economica si trova ora di fronte ad un insolubile dilemma. Da una parte, l'indebitamento statale deve continuare, per evitare una deflazione. Allo stesso tempo, per simulare la solvibilità degli Stati, è indispensabile l'annuncio del pareggio di bilancio. Questo dilemma strutturale costituisce lo sfondo di panico che ha colpito i mercati finanziari la scorsa settimana. Non può essere stabilito, né per quanto riguarda l'Europa né per gli Stati Uniti, che cosa abbia più accelerato la caduta del prezzo delle azioni: la paura degli effetti deflazionari dovuti alle nuove misure, oppure le preoccupazioni che riguardano la solvibilità dei debitori statali.
E' chiaro che l'impasse continui a non avere vie d'uscita. La politica economica non ha più alcun margine di manovra, ma soltanto un'opzione di politica monetaria. Dal momento che le banche centrali non possono diminuire i tassi di interesse, che sono già estremamente bassi, esse comprano i titoli degli Stati in difficoltà. In questo modo, per gli Stati si apre una nuova possibilità di indebitamento e, dall'altro lato, si impedisce una svalutazione immediata dei titoli statale che circolano nell'industria finanziaria. Il capitalista totale ideale (lo Stato) fa quello che nessun altro potrebbe fare: fa prestiti a sé stesso.
Pochi anni fa, questo sarebbe stato considerato il più grande peccato contro la stabilità monetaria. E non senza ragione: una banca centrale che, anziché di titoli redditizi, fa scorta di titoli spazzatura usandoli come riserva monetaria, non fa altro che spostare la crisi su un nuovo terreno. La svalorizzaione del debito statale è rinviata, lasciando il posto ad una svalutazione latente del denaro. La prossima logica tappa del processo di crisi sarà il passaggio alla crisi dei bilanci statali con la mediazione del denaro. Il capitalismo supera le proprie crisi, preparandone altre ancora più grandi. Lo dice Marx. Ma non era mai successo che l'estintore dell'ultima crisi diventasse il combustibile della crisi successiva così rapidamente come avviene oggi.
- Ernst Lohoff - pubblicato su "Jungle World" n°32 del 2011 -
Nota: L'autore chiama "industria finanziaria" i mercati di capitali ed i mercati monetari.
fonte: Ensaios e textos libertários
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