venerdì 31 gennaio 2025

Giardini Recintati e/o Orti Comunitari…

La Grande Diaspora dei Social Media
-Cosa succede quando le comunità online in forte espansione si trasformano in comunità politicamente omogenee e autonome?-
di Renée DiResta - January 7, 2025

Negli ultimi due decenni, la più parte di quello che è il discorso online si è svolto su una manciata di piattaforme di social media. Il suo dominio sembrava incrollabile. La domanda non era quando sarebbe arrivato un concorrente di Twitter o Facebook, ma se ci sarebbe stato qualcuno in grado di riuscire a farlo con successo. Una nuova app killer, o forse il manganello dell'antitrust, riuscirebbe a fare la differenza? Oggi, queste medesime piattaforme continuano ancora a godere delle più ampie basi di utenti; grandi successi come TikTok costituiscono la rara eccezione, e non la regola. Tuttavia, è diventato sempre più comune l'esodo degli utenti verso piattaforme più piccole, soprattutto da X, quella che era un tempo l'indiscussa sede del Discorso. I profughi di X si sono dispersi e si sono ricollocati più volte: su Gab e su Truth Social, su Mastodon e su Bluesky. Pertanto, ciò che ha finito per frammentare i social media, non è stata un'app killer o la Federal Trade Commission, quanto piuttosto la moderazione dei contenuti. Gli utenti più radicali si sono scontrati con gli "arbitri" incaricati di stabilire e far rispettare delle regole, come il divieto di incitamento all'odio, o sul prendere decisioni a proposito di come si devono gestire dei contenuti come quelli relativi al Covid-19. Alcuni principi, come quello secondo cui «la libertà di parola non è la stessa cosa della libertà di movimento» - che proponeva che i contenuti "borderline" (post che cadevano in aree grigie riguardo l'incitamento all'odio, per esempio) rimanessero visibili ma non amplificati – hanno tentato di articolare una via di mezzo. Tuttavia, anche i tentativi più sfumati sono stati interpretati come se fossero una repressione irrazionale, da parte di ideologi che si riconoscevano nel potere di dominare il discorso online. Gli sforzi per moderare sono diventati dei punti critici, alimentando così un circolo di feedback nel quale le norme online alimentavano la polarizzazione offline e viceversa. In tal modo, in ondate successive, gli utenti sono partiti verso nuove alternative: piattaforme dove gli arbitri erano lassisti (Truth Social), quasi inesistenti (Telegram), o autoproclamati (Mastodon). Gran parte di questa frammentazione si è verificata secondo delle linee politiche. Oggi, la Grande Decentralizzazione sta accelerando, e vede le principali testate giornalistiche, Luke Skywalker e altri, nel ruolo degli ultimi profughi di alto profilo che guidano nuovi esodi. Ai vecchi tempi, erano le nuove funzionalità - come l'etichettatura delle foto di Facebook o i tweet con citazioni provenienti da Twitter - che attiravano gli utenti sui siti di social media. Ora, più spesso è l'allineamento ideologico quello che seduce gli utenti. Le persone si stanno affollando su quelle piattaforme che ritengano che corrispondano alle loro norme e ai loro valori; e in un'America sempre più polarizzata, c'è un abisso tra le due fazioni. Tuttavia, in questa migrazione c'è assai più di quel che può sembrare. Sotto la superficie, si muove un profondo cambiamento nella tecnologia che si trova alla base della socializzazione online. Nell'ultima ondata di esodi, soprattutto verso Bluesky, vediamo che gli utenti sono alla ricerca di un'alternativa ideologica a X, che diventa sempre più di destra. Può darsi che se ne stiano andando a causa della "atmosfera", però stanno anche entrando in un mondo il quale è fondamentalmente diverso, e in modi che molti stanno solo iniziando a capire. La natura federata di alternative emergenti quali Mastodon e Bluesky – piattaforme strutturate come una rete di server gestiti in modo indipendente con i propri utenti e regole, collegati da un protocollo tecnologico comune – offre un potenziale futuro, dove le comunità creano le proprie istanze (o server) con le proprie regole. Questo allontanamento dalla fiducia centralizzata, e dai team di sicurezza che applicano regole universali, può sembrare una soluzione ai problemi dei social media. Meno scontri violenti tra combattenti culturali. Meno accuse istrioniche di “censura”. I giocatori diventano gli arbitri. Non è l'ideale? Tuttavia, i nuovi modelli di governance recano in sé nuove complessità, ed è fondamentale affrontare ciò che verrà. Cosa succede quando le comunità online di decine di milioni di persone si frammentano in comunità autonome più piccole e politicamente omogenee? E cosa significa questo per la coesione sociale e il consenso, sia online che offline?

Prima della Grande Decentralizzazione
Come siamo arrivati fin qui? Il sistema centralizzato della moderazione dei contenuti, che ora ha iniziato a frammentarsi, era stato plasmato da un mix di valori politici americani, norme sociali e realtà economiche, come ha sostenuto la ricercatrice e professoressa Kate Klonick sulla Harvard Law Review nel 2018. Il saggio della Klonick, "The New Governors", descrive in dettaglio il modo in cui le politiche di governance delle piattaforme sociali siano state in gran parte elaborate da alcuni avvocati americani con un pedigree da Primo Emendamento. Queste piattaforme erano di proprietà e venivano gestite privatamente, certo, ma la loro governance obbediva comunque allo spirito della legge americana. Tuttavia, la maggior parte delle piattaforme riteneva anche di avere il dovere di moderare i contenuti «osceni, violenti o odiosi». Ciò era dovuto, in parte, al desiderio di essere visti come dei buoni cittadini aziendali, essendo però la cosa anche puramente pragmatica: «La redditività economica, dipende dal rispettare il discorso degli utenti e le norme della comunità», ha scritto Klonick. Nel momento in cui le piattaforme hanno creato degli ambienti che soddisfacevano alle aspettative degli utenti, ecco che essi hanno allora trascorso più tempo sul sito, e così le entrate sono potute aumentare. Misure economiche, pure e semplici. Sebbene le piattaforme abbiano cercato di bilanciare la responsabilità aziendale, la sicurezza degli utenti e la redditività economica, le Regole sono tuttavia diventate sempre più punti di malcontento. Le decisioni di moderazione dei contenuti non sono state percepite come se si trattasse di una governance neutrale, ma come se fossero giudizi carichi di valori, dichiarazioni implicite a proposito di quali voci erano le benvenute, e quali no. Nel 2016 la rimozione da parte di Facebook dell'iconica foto "Napalm Girl" – a causa dell'applicazione automatizzata delle regole contro la nudità – ha scatenato una reazione globale, costringendo così la piattaforma a revocare la sua decisione, e a riconoscere le complessità della moderazione su larga scala. Nello stesso periodo, Twitter è stato criticato per non aver risposto adeguatamente all' aumento dei propagandisti dello Stato Islamico e alle campagne di molestie come il “Gamergate” (un movimento online del 2014 che in apparenza si occupava di etica nel giornalismo videoludico, ma che in realtà veniva ampiamente percepito come una campagna di trollaggio contro le donne nel settore). Questi incidenti hanno evidenziato la tensione esistente tra l'applicazione degli standard comunitari e la protezione della libertà di parola. Per molti utenti, soprattutto quelli il cui discorso rasentava il controverso o l'offensivo, gli arbitri delle piattaforme del Big Tech esercitavano un potere sproporzionato, e la cosa alimentava un senso di alienazione e sfiducia. Piuttosto che limitarsi a limitare ciò che poteva essere detto online, le regole sembravano suggerire quali erano i punti di vista del potere nella piazza pubblica digitale. Via via che queste forze convergevano e si consolidavano in uno status quo di governance, coloro che si irritavano con loro si trovavano di fronte a un'eterna scelta: o andarsene o manifestare. Avrebbero dovuto abbandonare un prodotto, o una comunità, alla ricerca di opzioni migliori, oppure dovrebbero rimanere e parlare, incanalando la propria frustrazione in una richiesta di cambiamento? L'economista tedesco Albert Hirschman sosteneva che la decisione, se andarsene o restare e manifestare apertamente verso i consumatori insoddisfatti, era mediata da un terzo fattore: la lealtà. La fedeltà, che essa sia radicata nel patriottismo, o nell'affinità con il marchio, può legare le persone a un'istituzione o a un prodotto, rendendole perciò più propense a chiedere il cambiamento, piuttosto che ad andarsene. Per anni, la fedeltà alle principali piattaforme ha avuto meno a che fare con l'affetto, e più a che fare con le realtà strutturali; Il dominio monopolistico e i potenti effetti della rete hanno lasciato agli utenti dei social media ben poche alternative realistiche. Non esistevano molte app che avevano le funzionalità, la massa critica, o la portata, per soddisfare le esigenze degli utenti in termini di intrattenimento, connessione o influenza. Per diffondere i loro messaggi, anche i politici e gli ideologi hanno fatto affidamento sulle potenzialità delle piattaforme. Così, la gente è rimasta, anche quando la sua insoddisfazione era latente. In tal modo, la risposta è stata quella di manifestare. Politici e gruppi di difesa hanno fatto pressione sulle aziende affinché cambiassero le politiche per soddisfare le esigenze della loro parte; un processo noto, come "working the refs" (lavorare sugli arbitri), tra coloro che studiano la moderazione dei contenuti. Nel 2016, ad esempio, il “Trending Topicsgate” ha visto influencer di destra e media di partito criticare Facebook per il presunto declassamento dei temi conservatori nella loro funzione di trending topics. Il ciclo di indignazione ha funzionato: Facebook ha licenziato i suoi redattori umani di notizie e ha rivisto a fondo il sistema (il suo sostituto, un algoritmo, si è rapidamente impegnato a diffondere titoli oltraggiosi e falsi, provenienti anche da fabbriche macedoni di troll, finché l'azienda non ha infine deciso di eliminare la funzione). Nel corso degli anni, anche le organizzazioni di sinistra hanno lavorato ripetutamente, esercitando pressioni per massimizzare i propri interessi. Le folle politicamente impegnate online, hanno iniziato a percepire anche le decisioni una tantum come se fossero una prova di pregiudizi di ranking. Le chiamate alla moderazione dei contenuti che coinvolgevano controversie interpersonali apparentemente irrilevanti, sono state amplificate e trasformate in controversie pubbliche; la prova che le piattaforme si sono piegate alla politica dell'identità o che hanno perpetuato una sorta di suprematismo. In questo c'era un po' di verità: i moderatori commettevano errori, perdevano il contesto e prendevano decisioni sbagliate lavorando con milioni di decisioni al trimestre. Tuttavia, quando il disaccordo è diventato uno sport fazioso, le piattaforme si sono trovate ad arbitrare una guerra culturale sempre più intensa. Gli sforzi per far rispettare l'ordine, per evitare che le persone reali siano sottoposte a controlli sulla loro vita personale, a stalking o a semplici molestie, venivano regolarmente trasformati in foraggio per ulteriori aggressioni tribali. Soprattutto da parte della destra, le dispute sulla moderazione sono state riformulate come battaglie esistenziali sull'identità politica e sulla libertà di espressione in quanto tale. Nonostante la scarsità di prove circa un vero e proprio pregiudizio sistemico, gli influencer di destra si sono eccitati e mobilitati intorno all'idea che le piattaforme li stessero perseguitando; hanno smesso di "lavorarsi" gli arbitri, e si sono messi a contestare il loro diritto di operare. È stato, in particolare, l'allora presidente Donald Trump ad arrabbiarsi per il fatto che i suoi tweet fuorvianti fossero stati etichettati come fuorvianti, e non fece sottili argomentazioni sulla trasparenza, o sulla necessità di un processo di appello; invece, da allora ha cominciato a delegittimare la moderazione dei contenuti stessa, e a minacciare un'azione normativa. Interventi di base come il fact-checking sulle affermazioni contestate – e talvolta anche il semplice sospetto di intervento (ad esempio, se un tweet non ha ricevuto un adeguato coinvolgimento) – sono stati riformulati come atti tirannici da parte delle élite tecnologiche che cospirano contro i populisti di destra. Pertanto, gli arbitri non erano più mediatori nella guerra culturale: erano diventati l'opposizione. Dato che questa narrazione è stata incorporata nell'identità politica della destra, il mercato ha risposto con delle opportunità di uscita. Piattaforme alternative, come Parler, emerse nel 2018, sono state create con l'obiettivo esplicito di soddisfare i sostenitori di Trump, i quali ora credevano che le piattaforme convenzionali fossero irrimediabilmente di parte. Poi sono arrivati Gettr e Truth Social, nati dalle lamentele relative alle elezioni del 2020 e alle rivolte del 6 gennaio, e dalla moderazione dell'uomo responsabile di averle istigate. Le nuove piattaforme alternative di destra avevano arbitri nella stessa squadra, ma continuavano a rimanere piccole perché la contropartita era rappresentata dal fatto che su di esse c'erano pochi liberali da attaccare. C'erano rare opportunità di battibecchi di parte o di trollaggio. Potenzialmente, c'erano pochi spettatori da reclutare per la propria causa preferita. Pertanto, gli influencer politici, le figure mediatiche e i politici di tutto lo spettro politico hanno continuato a lavorare, con gli arbitri, sulle piattaforme principali, dove la posta in gioco - e il pubblico - sono rimasti molto più alti. Poi, nel 2022, si è verificato un cambiamento sismico: Elon Musk, un vero credente nella teoria degli arbitri corrotti, ha acquistato Twitter e si è autonominato arbitro capo. La piattaforma, che ora si chiama X, era sempre stata relativamente piccola, ma sproporzionatamente influente: il suo concentrato di persone ossessionate dai media e dalla politica le aveva fatto guadagnare il soprannome di “piazza pubblica”. Più precisamente, spesso funzionava come un'arena di gladiatori; uno spazio caotico in cui si plasmava il consenso e dove individui sfortunati diventavano “protagonisti” di lotte tra bande. Dopo l'acquisizione, Musk ha offerto una "amnistia" a coloro (compresi i neonazisti dichiarati) che erano entrati in conflitto con gli ex arbitri. Gli influencer di destra che erano sulla piattaforma hanno colto al volo l'occasione per poter lavorare con il nuovo arbitro in modo vendicativo, e Musk ha risposto rimodellando rapidamente, e in modo significativo, la governance a loro favore. I post che prima venivano moderati, definendoli come voci infondate relative a elezioni fraudolente, o errori di genere intenzionali da parte di utenti transgender, ora sono stati consentiti. L'insoddisfazione per il nuovo arbitro, per le politiche e per l'ambiente generale di X hanno portato a un esodo dalla piattaforma, da parte della sinistra politica americana. All'inizio, le persone migrarono verso Mastodon, che aveva il vantaggio di esistere già. Un altro nuovo concorrente sul mercato, Bluesky, ha lanciato la sua versione beta, con un modello solo su invito, guidato da alcune reti di referral. La comunità della sinistra progressista, vi si è rapidamente affermata, e i suoi utenti hanno messo alla prova gli arbitri relativamente inesperti nei momenti di insoddisfazione per le loro iniziali politiche di moderazione. Si discuteva se i discorsi iperbolici costituissero una “minaccia” e a quali condizioni gli utenti dovessero essere bannati. In un primo episodio degno di nota, gli utenti hanno affrontato gli sviluppatori di Bluesky chiedendo scuse pubbliche dopo che un bug aveva permesso a dei troll di registrare degli insulti come se fossero dei nomi utente. Nel novembre 2023, Bluesky aveva 2 milioni di utenti, e la reputazione di essere uno spazio molto di sinistra. Nel luglio 2023, nella competizione tra i Twitter scontenti entra in scena il gorilla da 800 libbre: Threads, di proprietà di Meta. Posizionato come concorrente diretto di X, Threads si presentava come “gestito in modo sensato”, secondo le parole del direttore di prodotto Chris Cox. Tuttavia, la promessa di saggezza non ha protetto Threads dalle dinamiche di rielaborazione. La decisione della dirigenza di limitare le notizie politiche e di bloccare alcune ricerche relative alle pandemie ha provocato un contraccolpo nella base di utenti in gran parte liberali (alcuni dei quali hanno iniziato a promuovere Bluesky come posto migliore in cui stare). Nonostante tali tensioni, Threads è cresciuto rapidamente, registrando 275 milioni di utenti attivi mensili alla fine di ottobre 2024; anche gli utenti più scontenti hanno ammesso che era molto meglio di X. Tuttavia, a novembre 2024, ad accelerare drasticamente è stata la crescita di Bluesky, trainata dalla rielezione di Trump e dall'allineamento sempre più esplicito di Musk con l'estrema destra. Musk, l'utente più visibile di X, e anche il suo principale arbitro, era diventato un surrogato di Trump e un sostenitore del furto elettorale; e gli algoritmi della sua piattaforma sembravano dare una spinta a lui e ai suoi alleati ideologici. Tra gli utenti potenti che un tempo parlavano, la fedeltà al vecchio Twitter è diminuita costantemente. Nelle settimane successive alle elezioni, Bluesky ha superato la soglia dei 25 milioni di utenti, spinto non tanto dalle sue caratteristiche quanto piuttosto dall'insoddisfazione ideologica, e dal fascino di una piattaforma dove la governance sembrava essere più in linea con le norme progressiste. Ma è davvero così?

Nuova governance, nuove minacce
La Grande Decentralizzazione - la migrazione dalle grandi piattaforme centralizzate a taglia unica verso spazi più piccoli e ideologicamente distinti - è stata alimentata dall'identità politica e dall'insoddisfazione. Tuttavia, l'aspetto più interessante di quest'ultima ondata migratoria è la tecnologia che sta alla base di Bluesky, Mastodon e Threads: ciò che essa consente e ciò che intrinsecamente limita. Queste piattaforme danno la priorità a qualcosa di fondamentalmente diverso dai loro predecessori: la federazione. A differenza delle piattaforme centralizzate, dove la selezione e la moderazione vengono controllate dall'alto, la federazione si basa invece su protocolli decentralizzati - ActivityPub per Mastodon ( che anche Threads supporta) e il Protocollo AT per Bluesky - che permettono di avere dei server controllati dagli utenti e di restituire la moderazione (e in alcuni casi la selezione) al livello della comunità. Questo approccio non si limita solo a ridefinire la moderazione, ma ristruttura online la governance stessa. E questo è possibile perché, in generale, non ci sono parametri di riferimento su cui lavorare. Ciò che è importante, è comprendere quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi. Se le piattaforme centralizzate, con le loro regole e algoritmi controllati centralmente, sono una sorta di "giardini recintati", i social media federati possono invece essere meglio descritti come degli "orti comunitari", modellati dai membri che si collegano a partire da dei legami sociali o geografici e da un interesse condiviso nel mantenere uno spazio comunitario che sia piacevole. Nel "Fediverso", gli utenti possono partecipare, o possono creare server che siano in linea con i loro interessi, o comunità. Di solito vengono gestiti da volontari che gestiscono i costi e stabiliscono le regole a livello locale. Anche la governance è federata: mentre tutti i server di ActivityPub, ad esempio, condividono un protocollo tecnologico comune, nel quale ognuno stabilisce le proprie regole e norme, e decide se interagire con la rete più ampia, o se preferisce isolarsi da essa. Ad esempio, quando nel 2019 la piattaforma Gab, dichiaratamente filo-nazista, ha adottato il protocollo di Mastodon, altri server lo hanno abbandonato in massa, tagliando così i kloro legami, e impedendo che i contenuti di Gab potessero raggiungere gli utenti. Tuttavia, Gab ha persistito, e ha continuato a crescere, evidenziando uno dei limiti importanti della federazione: la defederazione può isolare i cattivi attori, ma non li elimina. Le piattaforme basate su protocolli, offrono un significativo futuro potenziale ai social media: un federalismo digitale, nel quale la governance locale si allinea alle norme specifiche della comunità, ma rimane vagamente connessa all'insieme più ampio. Per alcuni utenti, la scala ridotta e il maggiore controllo possibile sulle piattaforme federate risultano attraenti. Su Bluesky - che per ora rimane sostanzialmente solo un'istanza gestita dal team di sviluppo - gli esperti stanno sviluppando strumenti per personalizzare l'esperienza. Esistono blocklist condivisibili, curated feed (visualizzazioni che consentono agli utenti di vedere gli ultimi post su un argomento definito dal creatore, come le notizie, il giardinaggio o lo sport), e strumenti di moderazione gestiti dalla comunità, con cui è possibile applicare etichette di categorizzazione ai post o agli account (“Contenuti per adulti”, “Discorso d'odio”, ecc.). Ciò consente agli utenti di personalizzare il proprio ambiente in base ai propri valori e interessi, dando loro un maggiore controllo su quali post vedere - dai discorsi volgari ai nudi e alla politica - e quali nascondere dietro un avviso, o nascondere del tutto. Sebbene attualmente esista un'etichettatura centralizzata dei contenuti controllata dal team di moderazione di Bluesky, gli utenti possono anche semplicemente disattivarla. Per alcuni, questo livello di agenzia è allettante. Tuttavia, la maggior parte degli utenti non modifica mai le impostazioni predefinite di una particolare applicazione o tecnologia: quello che cercano è un sollievo dal dramma, dal caos e dal disallineamento ideologico percepito in altri spazi. Non sono attratti dalla “moderazione composita” o dalla “governance federata” - molti, infatti, non sembrano comprendere appieno cosa significhi - ma dalla “atmosfera” dell' iniziativa. Vogliono che le piattaforme “competano sulla base del servizio e del rispetto”, anche se le grandi piattaforme, contrastate dai politici con i randelli normativi, non vogliono altro che smettere il prima possibile di fare richiami alla moderazione. Bluesky, che è impegnata nella missione di creare un protocollo che alla fine renderà praticamente irrilevante la moderazione centralizzata, a causa dell'arrivo degli utenti ha dovuto quadruplicare rapidamente le dimensioni del suo team di moderazione. Ecco perché è importante capire che l'allontanamento degli arbitri centralizzati comporta dei compromessi assai concreti. Senza una governance centralizzata, non esiste un'unica autorità in grado di mediare i problemi sistemici né di applicare le regole in modo coerente. Per gli amministratori delle singole istanze, per lo più volontari, il decentramento comporta un pesante onere, in quanto si potrebbero trovare a non avere gli strumenti, il tempo o la capacità di risolvere efficacemente problemi complessi. Ad esempio, alcuni dei miei lavori si sono concentrati sulla grande sfida di affrontare, nel Fediverso, contenuti esplicitamente illegali: immagini di sfruttamento minorile. La maggior parte dei server gestiti da volontari non è preparata per affrontare questi problemi, esponendo così gli amministratori a delle responsabilità legali, e lasciando vulnerabili gli utenti. L'applicazione frammentata lascia delle scappatoie che i malintenzionati . ivi compresi quei gestori sponsorizzati dallo Stato e gli spammer - possono sfruttare con relativa impunità. La verifica dell'identità è un altro punto debole, e porta a dei rischi di impersonificazione che le piattaforme centralizzate in genere gestiscono in modo più efficiente. Pratiche di sicurezza incoerenti tra i server, possono consentire a dei malintenzionati di sfruttare i collegamenti più deboli. Le aziende professionali esperte (come Threads) hanno esperienza nella gestione di alcune di queste problematiche, ma per partecipare hanno bisogno di un incentivo economico. Sebbene la federazione offra maggiore autonomia agli utenti, oltre a promuovere la diversità, rende significativamente difficile combattere i danni sistemici, o coordinare le risposte a minacce come la disinformazione, le molestie o lo sfruttamento. Inoltre, dato che gli amministratori dei server possono moderare solo localmente - ad esempio possono nascondere solo il contenuto sul server che gestiscono - i post da un server possono diffondersi attraverso la rete verso gli altri server con poche risorse. I post che promuovono una pseudoscienza dannosa ("bere candeggina cura l'autismo"), o l'esposizione della vita personale, possono persistere incontrollati su alcuni server, per quanto altri rifiutano o ne bloccano il contenuto. Le persone che si sono convinte del fatto che "la moderazione è censura" potrebbero pensare che questa sia una vittoria assoluta, ma gli utenti, che fanno parte di tutto lo spettro politico, hanno costantemente espresso il desiderio che le piattaforme si preoccupino degli account falsi e i contenuti falsi o violenti. Oltre alle sfide legate alla gestione dei contenuti illegali o dannosi, la Grande Decentralizzazione solleva domande più profonde sulla coesione sociale: la frammentazione delle piattaforme esacerberà i silos ideologici ed eroderà ulteriormente gli spazi condivisi necessari per il consenso e il compromesso? I nostri spazi di comunicazione modellano le nostre norme e politiche. Gli stessi strumenti che ora consentono direttamente agli utenti di aver cura dei propri feed, e bloccare i contenuti indesiderati, possono anche ampliare le divisioni o ridurre l'esposizione a prospettive diverse. Le blocklist create dalla comunità, sebbene utili per gruppi specifici che cercano di evitare i troll, sono strumenti contundenti. Un commento inappropriato, una battuta non raccontata o un'animosità personale da parte di un creatore di liste possono gettare una rete ampia e isolata; un commento inadeguato, una battuta non detta o un risentimento personale da parte del creatore di una lista possono generare una rete ampia e isolata; le persone con opinioni diverse su questioni controverse, come la politica sull'aborto, possono autocensurarsi per evitare di essere “etichettate male” ed escluse. I recenti eventi di Bluesky illustrano queste sfide. A metà dicembre, sono sorte tensioni sulla piattaforma a causa dell'improvvisa presenza di un importante giornalista e podcaster che scrive di salute trans, e lo fa in un modo che alcuni degli utenti trans più attivi della piattaforma trovano dannoso. In risposta, decine di migliaia di utenti hanno bloccato in modo proattivo l'account ritenuto problematico (i blocchi sono pubblici su Bluesky). Gli etichettatori della community consentivano agli utenti di nascondere i propri post. La proliferazione di blocklist condivise ne includeva alcune che consentivano agli utenti di bloccare in modo massiccio i follower del commentatore controverso. I giornalisti, molti dei quali seguono persone con cui non sono personalmente d'accordo, hanno commentato di essere stati catturati in rete; per mitigare questo problema, gli utenti della comunità hanno suggerito di creare account "alternativi" per evitare di inviare segnali indesiderati. Le blocklist condivisibili, per quanto espansive, sono strumenti progettati per responsabilizzare gli utenti. Tuttavia, una parte della comunità non era soddisfatta degli strumenti. Ragion per cui, invece, ha iniziato a fare pressione sul responsabile della fiducia e della sicurezza di Bluesky, il quale così è stato inondato da furiose richieste di una risposta dall'alto verso il basso; anche attraverso una petizione per bandire il discutibile giornalista. Il giornalista, a sua volta, ha anche lui contattato i moderatori, dicendo di essere stato bersaglio di un linguaggio minaccioso e di un'indebita esposizione della sua vita personale. Il dramma evidenzia la tensione esistente tra la maggiore possibilità per gli utenti di agire per proteggere i propri spazi individuali, e il persistente desiderio di arbitri centralizzati che agiscano per conto di una comunità. E sfortunatamente, illustra quali sono le sfide per la moderazione di una grande comunità che abbia risorse relativamente limitate. Nell'esperienza americana, l'obiettivo idealistico del federalismo era quello di mantenere l'unità della nazione, pur consentendo il controllo locale degli affari locali. La versione digitale di questo, tuttavia, sembra essere un'involuzione, un ritiro in spazi separati che può aumentare la soddisfazione in ogni avamposto, ma fa ben poco per rafforzare i legami, ripristinare le norme reciproche o diminuire l'animosità tra i gruppi. Cosa succede quando delle norme divergenti diventano così distinte che non possiamo più nemmeno vedere o partecipare alle conversazioni degli altri? La scommessa del consenso non è semplicemente più difficile, ma ne viene così strutturalmente rafforzata.

Che cosa sta per accadere
Che vi piaccia o no, i modelli di policy e di applicazione centralizzati dall'alto verso il basso hanno definito l'esperienza dei social media su grandi piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube per due decenni. Come ha detto Nilay Patel, sul sito "The Verge", il "prodotto" di queste piattaforme è la moderazione dei contenuti: le decisioni prese dai team di moderazione determinano, non solo ciò che gli utenti vedono, ma anche quanto si sentono sicuri o minacciati. Queste politiche hanno avuto effetti profondi non solo su fenomeni sociali come la democrazia e la coesione comunitaria, ma anche sul senso di benessere dei singoli utenti. Se la Grande Decentralizzazione continuerà, questa esperienza è destinata a cambiare. Mentre la governance centralizzata su piattaforme come Twitter e Facebook è diventata un fronte altamente politicizzato nella guerra culturale, vale la pena chiedersi se davvero il sistema sia stato rotto. La moderazione centralizzata, nonostante fosse imperfetta, costosa e opaca, offriva regole articolate, tecnologia sofisticata e team di applicazione professionali. Le critiche a questi sistemi spesso derivavano dalla loro mancanza di trasparenza, o da occasionali errori di alto livello che alimentavano la percezione di pregiudizi e insoddisfazione. Questa crisi di legittimità ha finito per far pendere l'ago della bilancia, spostandolo dalla parte della protesta a quella dell'uscita, e adesso la formazione di un nuovo spazio comune online rappresenta al tempo stesso una sfida e un'opportunità. Sì, esiste il potenziale per degli spazi online veramente democratici, liberi da quegli incentivi disallineati che finora hanno definito il rapporto tra la piattaforma e l'utente. Ma la realizzazione di questi spazi richiederà un lavoro significativo. C'è anche la questione economica che si sta sempre più avvicinando. Se vogliono persistere, le alternative federate devono essere finanziariamente sostenibili. Al momento, Bluesky è alimentato principalmente da capitale di rischio; ha affrontato la possibilità di avere abbonamenti e funzionalità a pagamento, in futuro. Ma se gli ultimi due decenni di sperimentazione sui social media ci hanno insegnato qualcosa, è che gli incentivi economici hanno inevitabilmente un impatto sproporzionato sulla governance e sull'esperienza dell'utente. I tecnologi (me compreso) amano parlare di innovazione più rapida, migliore privacy e controllo più granulare degli utenti, vedendolo come il futuro dei social media. Ma ciò non è quello che pensa la maggior parte delle persone. La maggior parte degli utenti desidera solo buoni servizi, rischi minimi per il proprio benessere e un ambiente complessivamente positivo e divertente. Ironia della sorte, sono questi gli stati finali che la moderazione aveva cercato di offrire. L'argomentazione secondo cui gli svantaggi della partecipazione ai social media – disinformazione, esposizione della vita personale e molestie – sono emblematici del trionfo della "libertà di parola", è stata respinta da tutti; pochissimi utenti trascorrono effettivamente del tempo in comunità "assolutiste" che accettano tutto; "8chan", ad esempio, non è mai stata molto popolare. Eppure, la nostra incapacità di concordare norme e valori condivisi, sia online che offline, ci sta lacerando in spazi online distinti. Gli utenti che sono attratti da Bluesky stanno gravitando verso la cultura dell'istanza principale, che poi assomiglia un po' al vecchio Twitter del 2014; un tempo più semplice e meno tossico. Desiderano ardentemente un ritorno a una società americana meno divisiva e sgradevole. Questo desiderio riflette una verità più profonda: le piattaforme online non riflettono solo i nostri valori offline: li influenzano attivamente. Le piattaforme federate ci daranno la libertà di curare la nostra esperienza online e di creare comunità in cui ci sentiamo a nostro agio. Rappresentano più che  un cambiamento tecnologico: sono un'opportunità per il rinnovamento democratico nella sfera pubblica digitale. Restituendo la governance agli utenti e alle comunità, esse hanno il potenziale per ricostruire la fiducia e la legittimità in un modo che le piattaforme centralizzate non possono più fare. Tuttavia, rischiano anche di frammentare ulteriormente la nostra società, poiché gli utenti abbandonano gli spazi condivisi in cui è possibile creare una più ampia coesione sociale. La Grande Decentralizzazione, è un riflesso digitalizzato della nostra politica polarizzata che, andando avanti, la plasmerà.

di  Renée DiResta -  January 7, 2025 - Pubblicato su Noema Magazine -

giovedì 30 gennaio 2025

Il Destino della Germania ?!!???

Svolta nero-bruna nella fase calda della campagna elettorale?
- Osservazioni sulla liquidazione della democrazia tardo-capitalista nella Germania autoritaria -
di Tomasz Konicz [***]

Si tratta di una messinscena primitiva e ovvia, che chiunque voglia può riconoscere immediatamente: ogni volta che una persona con un background migratorio, un rifugiato o uno straniero, commette un crimine, viene immediatamente dato inizio a un nuovo ciclo di fascistizzazione della Repubblica Federale Tedesca; e questo anche se l'autore, mentalmente squilibrato, è stato spinto a quel crimine a partire da delle schegge di ideologia di destra, come nel caso di Magdeburgo. Tutto ciò nonostante che, nel 2024, sia stato registrato un nuovo record per tutti quei crimini messi in atto a partire da un'ideologia destra. La lunga serie di vittime del terrorismo di destra, a partire dagli anni '90, le attività della Nationalsozialistischer Untergrund, i preparativi di destra per un colpo di Stato e i piani per l'omicidio di massa: tutto viene sottaciuto, così come i semplici fatti storici e i parallelismi con il XX secolo. Che importa? Se necessario, si mente sui fatti e sui contesti fino a che essi non si adattano. Quasi tutti vogliono credere che la crisi provenga da fuori; che "la nostra sventura", sia il rifugiato, lo straniero. Diversamente, si dovrebbe mettere radicalmente in discussione la società in crisi, in seno al cui nucleo borghese sta maturando il fascismo. Quello che qui emerge, è un momento totalitario, così come lo ha descritto Hannah Arendt in "Riflessione sul fascismo del XX secolo": la distinzione tra verità e menzogna perde ogni rilevanza. La realtà, spietatamente distorta, funziona come se fosse solo una sorta di cava per produrre ideologia e illusione. Quel che vediamo è una vera e propria isteria, la quale ora, nella fase di campagna elettorale, si sta diffondendo nell'opinione pubblica tedesca, sempre più nutrita da CDU, FDP e AfD (nelle quali, non ci sono quasi più differenze). E questa truffa può essere ripetuta, teoricamente, fino a che il fascismo non sarà al potere. In questa crisi manifesta, i confini tra Amok e atto di terrorismo stanno diventando sempre più labili. Tra i milioni di persone con esperienza o background migratorio che vivono in Germania, ci sarà sempre qualcuno che andrà fuori di testa, che si smarrirà nell'ideologia omicida della crisi (sia in forma nazionalista che islamista) e che con l'acuirsi delle contraddizioni crollerà psicologicamente. Proprio come avviene per le persone senza background migratorio; i quali però ricevono scarsa attenzione da parte dell'opinione pubblica. E' talmente semplice vedere come tutto ciò si stia letteralmente risolvendo nel fascismo, dato che ora l'egemonia della destra è stata ampiamente stabilita per mezzo della personificazione delle cause della crisi. In Germania, sono due decenni che le vittime della crisi globale del capitale vengono etichettate come se fossero loro la sua causa; e ora che la crisi colpisce anche il centro tedesco, ecco che accade che i riflessi autoritari si attivano quasi automaticamente. Per formare il prossimo governo, è sufficiente che la CDU continui a ripetere a pappagallo le stesse porcherie fasciste dell'AfD.Ma al Mr. Burns tedesco - la satira dimitroviana in carne e ossa di un capitalista finanziario che promuove il fascismo - tutto questo non è abbastanza. Nella fase calda della campagna elettorale, Friedrich Merz sta davvero rischiando qualcosa: per vincere tutto, sta mettendo molte delle sue uova tutte in un paniere. E questo mettere tutto in gioco è una caratteristica del fascismo tedesco.

Strumentalizzando l'aggressione con il coltello che c'è stata ad Aschaffenburg [*1], la CDU, nella fase calda della campagna elettorale ha introdotto un "inasprimento della Legge" di ampia portata, volto a sigillare ulteriormente le frontiere, estendere i poteri della polizia federale e  attuare un internamento di massa, sia dei rifugiati che dei non tedeschi "illegali". Merz intende anche far approvare prima delle elezioni questo pacchetto legislativo – basandosi sul lavoro preparatorio della "coalizione semaforo "– anche se SPD e Verdi votassero contro, dal momento che può essere sicuro dei voti dell'FDP e dell'AfD. Inoltre, il candidato alla cancelleria della CDU, ha anche chiarito che questa coalizione, nella quale i conservatori, insieme a un partito in gran parte estremista di destra, stanno spingendo per un ulteriore "inasprimento", non lo dissuaderà certo dalle sue azioni [*2]. In tutto questo, l’obiettivo è il percorso. Merz non intende aspettare che la CDU sia andata al potere, anche perché questo è già quasi certo, e per lui ciò che conta è qualcos'alto. Ciò che l'ex uomo di Blackrock vuole ottenere prima del suo cancellierato, è il voto congiunto di tutti i partiti al fine di un ulteriore passo in avanti verso la fascistizzazione della Repubblica Federale Tedesca; insieme all'AfD, al fine di abbattere, a livello federale e prima della prossima legislatura, il fatiscente tabù di una cooperazione con l'AfD. Non sarà solo la CDU, ma sarebbero tutti i partiti a dover votare insieme all'AfD per la chiusura delle frontiere e per un'ulteriore privazione dei diritti dei rifugiati; come l'AfD sta chiedendo da anni. In tal modo, rompere il tabù di votare insieme ai fascisti a favore delle politiche fasciste verrebbe democraticamente esteso a tutti i partiti del Bundestag. Un voto simile, nella fase calda della campagna elettorale, dovrebbe fungere da palla demolitrice per abbattere il muro della separazione dall'estrema destra. Merz intende usare il duplice omicidio commesso da un rifugiato malato di mente ad Aschaffenburg, per poter così riuscire a normalizzare la cooperazione con l'AfD; un partito in gran misura fascista. Si tratta in realtà di un rischio inutile, dal momento che la vittoria elettorale della CDU sembra ormai certa. Ma il milionario candidato a Cancelliere della Germania, in ottimi rapporti con il capitale finanziario e che sulla crisi abitativa e sanitaria che sarebbe stata causata dagli immigrati, vuole ancora di più: Merz intende promuovere l'opzione strategica di una cooperazione tra la CDU e l'AfD, e questa votazione - che dovrebbe svolgersi sicuramente prima delle elezioni - vorrebbe essere il primo passo in questa direzione. Questo approccio è rischioso, perché gli si potrebbe ritorcere contro, dal momento che la SPD e i Verdi, messi alle strette, potrebbero rifugiarsi in una campagna elettorale campale. E se l'SPD e i Verdi non dovessero cedere a questa tattica di ricatto - allora la CDU, l'FDP e l'AfD voteranno a favore di una nuova “legge sugli stranieri”. Il fronte unito nero e bruno diverrebbe pertanto una realtà proprio nel bel mezzo della campagna elettorale. Allo stesso tempo, nella sua spinta verso il fascismo, Merz può sfruttare l'egemonia della destra, affermatasi in questi ultimi anni, in particolare quella che si riferisce al tema della migrazione e dell'espulsione. Il discorso pubblico è già stato conseguentemente modellato e, non da ultimo, è stato il presidente federale socialdemocratico Steinmeier che, in occasione dell'atto terroristico islamista di Solingen, ha dichiarato che "l'immigrazione illegale" costituisce per la Germania la minaccia centrale; da allora, Berlino, nella lotta contro i rifugiati, collabora più strettamente con gli islamisti. Lo slogan nazista "Fuori gli stranieri", inizialmente limitato ai rifugiati, è ora diventato ormai la ragion d'essere della Germania. Pertanto, di conseguenza, l'iniziativa di marzo, nelle opinioni pubblicate dalla stampa, è già stata doverosamente normalizzata , e non solo nei giornali di destra come il Frankfurter Allgemeine [*3] (sul quale il leader dell'AfD, Gauland, è noto per il suo parafrasare i discorsi di Hitler)[*4], ma anche su alcuni giornali liberali come Die Zeit [*5]; dove si può assistere a un dibattito disinibito a proposito dell'annegamento dei rifugiati [*6]. Quando la leader dell'AfD, Weidel, esultando per lo sgretolamento della barriera contro l'estrema destra, dichiara che la questione migratoria è il destino della Germania [*7] , può attingere ad anni e anni di lavoro ideologico, soprattutto nel nucleo centrale della società tedesca.

Negli ultimi anni, praticamente, non è mai stata registrata una crisi (dalla bolla immobiliare a Sarrazin, passando per la crisi dell'euro, la crisi dei rifugiati, la pandemia e l'attuale crisi delle esportazioni) senza che essa venisse proiettata sui cattivi estranei alla meritocrazia della comunità tedesca. È ormai diventata questa la normalità. Tuttavia, nel fascismo del XXI secolo è decisivo anche l'elemento autoritario. L'elezione di Trump, il folle tour promozionale di Musk a favore dei populisti europei e degli estremisti di destra, in Germania stanno facendo saltare tutte le micce della civiltà. Ora, il revival pseudo-autoritario fascista brama il favore dei potenti - quando un miliardario fa pubblicità all'AfD, questo ha a sua volta un effetto attrattivo sul carattere autoritario, il quale ne risulta così confermato e incoraggiato. Trump produce un effetto, Musk ispira l'AfD e lo fa proprio perché lui è l'uomo più ricco del mondo. Inoltre, la pressione esterna volta a limitare il fascismo in Germania è in gran parte scomparsa. Perché? Negli Stati Uniti, i cui motori di ricerca affermano improvvisamente di aver scoperto un “Golfo d'America” [*8 ], vengono già effettuati arresti di massa di immigrati. L'opposizione all'AfD, da parte di gruppi capitalistici un tempo influenti, si sta pertanto indebolendo. Peraltro, non è più uno scandalo quando gli uomini d'affari dichiarano pubblicamente il loro sostegno al fascismo; per esempio, attraverso quell'arma d'assalto democratica che è il giornale Spiegel [*9]. La seconda elezione di Trump è una catastrofe le cui conseguenze saranno veramente globali. Esiste da sempre un'idea ingenua e illusoria, coltivata soprattutto dalla vecchia sinistra, secondo cui, per togliere il vento dalle vele dei movimenti fascisti, basterebbe smascherare i ricchi e/o i potenti speculatori che stanno dietro di loro. Questo approccio - che di solito va di pari passo con lo stupido discorso sulle classi e sugli interessi, che appare essere incorreggibile anche nella manifesta crisi sistemica - semplicemente non riconosce il fatto che il fascismo sia un vero e proprio movimento di massa, e che esso rivolge una chiara offerta socio-politica alle classi medie impaurite: sbarazzatevi degli stranieri, delle minoranze e degli inutili mantenuti e staremo meglio. Questo vale soprattutto per la Germania, con la sua terribile tradizione autoritaria. E l'America, in particolare, ne è storicamente responsabile: annullando la denazificazione, a causa dell'emergere della Guerra Fredda, ha tollerato innumerevoli nazisti in posizioni di vertice in quello che era lo “Stato di prima linea” della Germania Ovest, plasmandolo di conseguenza. E' stato questo persistente post-fascismo, a gettare le basi per il pre-fascismo di oggi.

Non esiste alcuna inevitabilità tra la crisi e la deriva verso l'ideologia di estrema destra, e l'autoritarismo. L'esempio della Grecia, che venne portata a un vero e proprio collasso socio-economico dall'ex ministro delle Finanze tedesco Schäuble, ha messo in evidenza la debolezza della Germania in questo campo; il partito fascista “Alba Dorata” non ha mai superato il 10%. Non esiste alcun automatismo che porti dalla crisi sistemica al fascismo. La storia e il corso della crisi sono aperti. L'AfD può essere combattuto con successo, anche nella Germania autoritaria. Ma affinché ciò accada, è necessario trasmettere al popolo la nuda verità. E la semplice verità, che ora è sotto gli occhi di tutti e che può essere occultata solo tramite un'agitazione fascista permanente, è che la crisi in cui si trovano le società tardo-capitaliste non può essere superata all'interno dell'economia capitalista. Le frontiere chiuse non impediscono inondazioni, tempeste o siccità. Il caldo, gli incendi, l'innalzamento del livello dei mari non si fermano alle frontiere presidiate dal panico. La prossima crisi economica, il prossimo aumento dell'inflazione, il prossimo strangolamento delle risorse non saranno eliminati con le deportazioni. Anziché incitare le vittime della crisi, bisognerebbe avviare un dibattito sulla trasformazione al fine di trovare una via d'uscita alla crisi capitalistica permanente. Su un pianeta con le risorse limitate, la costrizione a valorizzare il capitale si rivela essere semplicemente autodistruttiva. Pertanto, ciò che il fascismo predica è in realtà la morte della civiltà. Tuttavia, non esistono delle forze sociali rilevanti che, partendo da una radicale presa di coscienza della crisi, stiano conducendo la lotta per un progressivo sviluppo della trasformazione. Ecco perché l'amministrazione fascista della crisi sta guadagnando forza, e si sta affermando quasi inevitabilmente, quasi senza sforzo. Ciò che rimane della sinistra, infatti, è ancora completamente cieco di fronte alla crisi, e sta sostenendo spietatamente lo Stato, oppure sta regredendo irrimediabilmente. La trasformazione è inevitabile, senza alternative, e questo perché il capitale ha raggiunto la fine delle sue possibilità di sviluppo, sia interno che esterno, e si sta disintegrando. Ed è proprio il fascismo a guidare questo processo di trasformazione, in sostanza verso una direzione di barbarie, in modo pressoché incontrastato.

- Tomasz Konicz [***] -  Pubblicato il 28/1/2025 su  su Tomasz Konicz.Wertkritik, Krise, Antifa -

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NOTE:

https://www.tagesspiegel.de/gesellschaft/messerattacke-in-aschaffenburg-familie-von-opfer-wehrt-sich-gegen-vereinnahmung-durch-rechte-parteien-13096006.html

https://www.nytimes.com/2025/01/27/world/europe/germany-afd-merz-cdu-migration.html

https://www.faz.net/aktuell/politik/bundestagswahl/cdu-vorschlaege-zur-migration-friedrich-merz-ist-nicht-hindenburg-110256240.html

https://www.konicz.info/2018/10/12/tanz-den-adolf-gauland/

https://www.zeit.de/politik/deutschland/2025-01/migrationspolitik-union-friedrich-merz-verschaerfung-afd

https://www.konicz.info/2018/07/18/absaufen-pro-und-contra/

https://www.deutschlandfunk.de/die-brandmauer-ist-gefallen-afd-chefin-weidel-begruesst-merz-ankuendigungen-zur-verschaerfung-der-mi-100.html

https://www.br.de/nachrichten/netzwelt/nach-trump-dekret-golf-von-amerika-kuenftig-in-google-karten,UbABQFW

https://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/galeria-miteigner-bernd-beetz-haette-wohl-donald-trump-gewaehlt-a-583d56e4-db37-4892-8b14-7a8b5653f19c

mercoledì 29 gennaio 2025

Brando parla…

«Ho sempre considerato la mia vita una questione privata, che non doveva interessare nessuno, tranne la mia famiglia e le persone che amo. Fatta eccezione per alcuni temi morali e politici che mi hanno spinto a prendere una posizione, per tutta la vita ho cercato di restare in silenzio. Ora ho deciso di raccontare la mia vita per separare la verità da tutte le leggende inventate su di me, perché questo è il destino di chiunque sia travolto dal vortice distorto della celebrità.» Questa è la storia di Marlon Brando, l’ultimo mito del cinema: brutale Stanley Kowalski in Un tram che si chiama desiderio, ribelle nella giacca di pelle di Fronte del porto, implacabile e maestoso Don Corleone nel Padrino, scandaloso e sconfitto in Ultimo tango a Parigi, dannato come il colonnello Kurtz in Apocalypse Now. L’attore che ha cambiato per sempre il modo di recitare davanti alla macchina da presa, interpretando ruoli leggendari attraverso una carriera avventurosa, racconta la storia della sua vita in un’autobiografia feroce e sincera. Dai ricordi commoventi dell’infanzia al suo impegno da attivista che ha sconvolto l’America puritana, dai rapporti focosi e incostanti con le donne agli scontri con gli studios di Hollywood, fino al sogno di un paradiso incontaminato su un atollo della Polinesia. Un libro senza concessioni, brillante, seducente e magnetico come il suo autore.

(dal risvolto di copertina di: Marlon Brando & Robert Lindsey, "Le canzoni che mi insegnava mia madre". La nave di Teseo, pagg. 400, € 20)

Fragili memorie di una star selvaggia
- di Goffredo Fofi -

Marlon Brando è morto a ottant’anni nel 2004, e scrisse nel 1988, o meglio dettò, quest’autobiografia con l’aiuto di Robert Lindsey, un giornalista dello staff del «New York Times» di cui nel risvolto si dice che collaborò anche con Ronald Reagan (qui scritto Regan) alla stesura dell’autobiografia di quello. Come attori, la distanza tra Brando e Reagan è abissale: l’attore Reagan fu un decoroso e banale professionista. Anche come presidente degli Stati Uniti lasciò a desiderare, ed è più grave essere stato un presidente mediocre e decisamente di destra dall’essere un attore hollywoodiano di secondo grado. Brando si è affidato a Lindsey per stendere o dettare la storia della sua vita e carriera: molti amori, molta passione politica su posizioni di sinistra (in difesa per esempio dei nativi degli Usa), molti film davvero importanti, per Elia Kazan soprattutto (dopo Un tram che si chiama desiderio, che ne fissò l’immagine di maschio primario, non intellettuale, venne Fronte del porto e più tardi Viva Zapata, scritto per loro da Steinbeck: tre film che furono fondamentali per imporre la sua immagine, ben diversa da quelle abituali dei “divi”, e per caratterizzarlo, per definire un’immagine di maschio e di divo molto diversa da quelle abituali…). Ma dovette a Francis Ford Coppola e al suo Apocalypse now, un grande film sulla guerra del Vietnam cui Brando dette un tocco finale indimenticabile mutuato dal Cuore di tenebra conradiano. Ancora a Coppola dovette un ultimo Oscar con l’interpretazione del Padrino, nel ruolo di un crudele ma fascinoso mafioso siciliano in America, portatore di valori e disvalori assorbiti altrove. La migliore interpretazione di Brando, non premiata, fu a parere di molti quella, assai contorta, per John Huston in Riflessi in un occhio d’oro (dal romanzo breve di Carson McCullers), a fianco di Elizabeth Taylor: due “mostri sacri” di affascinante gigioneria. Ma di titoli importanti la filmografia brandiana è piena, perché dal suo debutto (Il mio corpo ti appartiene, sciocco titolo italiano deviante, al contrario del semplice e duro Uomini, The men, il film di Stanley Kramer dove era un reduce dalle gambe rotte e recitava in posizione perlopiù orizzontale) e soprattutto dalla rivelazione di Fronte del porto, grazie a un maestro dell’Actor’s Studio e circondato da attori della stessa scuola e bravi quanto lui, Brando divenne una delle più grandi “stelle” del firmamento hollywoodiano, con una serie di interpretazioni difficilmente dimenticabili. Oltre ai ruoli ricordati, fu Marco Antonio nel Giulio Cesare di Mankiewicz a fianco di John Gielgud e James Mason; fu Il selvaggio di Benedek, che gli valse l’ammirazione di miriadi di giovani irrequieti di prima delle grandi rivolte, un’ammirazione condivisa con il James Dean di Gioventù bruciata di Nicholas Ray, un ragazzo più normale e comune. (Dean, come Brando ricorda, lo imitò nella vita privata e lo venerò come attore…). La 20th Century Fox lo scritturò per un tempo costringendolo ad alcuni film sciocchissimi (perfino uno in cui era Napoleone!), con l’eccezione di I giovani leoni di Dmytryk, dove dava corpo a un tormentato soldato nazista che finiva per capire qualcosa del vero e del giusto pagando con la vita (nello stesso film recitava il terzo grande attor giovane degli anni Cinquanta: Montgomery Clift, di tutti il più tormentato e forse il più bravo). In Pelle di serpente di Sidney Lumet dovette tener testa a una Anna Magnani che sembrò a molti una caricatura della Magnani dei film romani. Tentò la regia, nel 1960, con un bel western, I due volti della vendetta, ma fu la sola volta, perché a far l’attore guadagnava di più e faticava meno rischiando ben poco. Dopo alcuni film mediocri, venne La caccia di Arthur Penn, dura requisitoria sugli stati del Sud. Più tardi fu ancora con Arthur Penn, rivale di Jack Nicholson in Missouri, un western originale, perfino bizzarro. Ma, Padrino e Apocalypse now a parte – e grazie a Puzo e a Coppola il primo ebbe molto a che fare con l’Italia e con la Sicilia in particolare – è a due registi italiani che dovette le ultime grandi interpretazioni, per Pontecorvo in Queimada e  per Bertolucci in Ultimo tango a Parigi. E fu certamente il giovane Bertolucci a scavare più a fondo nella complessa, ma non poi troppo, psiche di Brando, insieme al veterano Huston dei Riflessi. Ultime avventure: Il coraggioso di e con Johnny Depp (1997), e un tardivo ritorno di Charles Chaplin alla regia con La contessa di Hong Kong, dove Brando fu a fianco di una Sophia Loren che sembrò più di lui a suo agio nella commedia. Molti sono dunque i titoli significativi e alcuni davvero irrinunciabili nella storia del cinema americano e finanche europeo, su un’immagine sempre forte e virile, ma in modi nuovi e complessi: non il maschio alla Robert Mitchum o alla John Wayne, ma un maschio spesso debole (a partire dal finale del Tram, con l’invocazione alla moglie Stella; e col soldato martoriato assistito da una moglie fedele di Il mio corpo ti appartiene; e quasi tutti i suoi grandi ruoli ebbero risvolti di incertezza e tremore…).

Non è poco, soprattutto per la storia del costume ma anche, ovviamente, per la storia del cinema. Parla molto Brando, in questo libro, cosciente della sua fama e attento a mescolare con una certa sapienza e un ottimo fiuto il pubblico e il privato. Ma si può parlare di privato per un attore di cui tutti sapevano ben presto tutto, e che non nascondeva proprio niente? Fu in qualche modo un’avanguardia delle “confessioni” strappate con la loro complicità da tanti giornalisti a personaggi famosi o che ambivano a diventarlo, spendendosi assiduamente nella cronaca, anche con l’aiuto di abili uffici stampa, di abili agenti. Le memorie di Brando non rivelano nulla che già non si sapesse del suo privato e del suo pubblico, delle sue passioni tanto politiche (la causa dei nativi americani, per prima) che private (l’ideale dolcezza del vivere, dalle parti della Polinesia)... Fu e si volle attore e personaggio, come certi “mattatori” scespiriani dell’Ottocento, ma per sua e nostra fortuna seppe spesso scegliere con chi lavorare e che figure impersonare. La sua parte “pubblica”, infine, a distanza di anni, finisce per interessare molto più di quella privata. Con il fiuto di un vero “eroe del proprio tempo” egli ha saputo mescolare abilmente i due aspetti, ben più di Marilyn o di Dean suoi contemporanei, che, per dire, non sono morti nel loro letto. In queste memorie essi compaiono come personaggi di contorno, fragili vittime dello star system, al contrario di un Brando perfetto mediatore tra pubblico e privato, e perfetto uomo d’affari a partire dalla costruzione e vendita della propria immagine, un’immagine tuttavia impressionante e per qualche tempo nuova e  rivelatrice.

- Goffredo Fofi - Pubblicato su Domenica del 28/4/2024 -

martedì 28 gennaio 2025

Lo Sternuto di Socrate

Nel suo racconto "De genio Socratis" (traduzione latina dal greco "Perí tou Sokrátous daimoníou"), Plutarco non solo riprende la figura di Socrate, ma lo fa a partire dal modello offerto dal Fedone platonico: una riflessione speculativa sul destino delle anime dopo la morte. Così, nella narrazione di Plutarco, alla fine, Socrate appare come se fosse oggetto di conversazione per un gruppo di cospiratori che stanno preparando un'insurrezione contro i tiranni che avevano preso il potere a Tebe (e tutto questo ci porta a pensare a certi racconti di Jorge Luis Borges o di Leonardo Sciascia). In un certo passaggio (11, 581, B), vediamo uno dei personaggi riferire una cosa che ha sentito da una megarese: l'informazione secondo cui il "genio" di Socrate (il suo daimon, l'energia soprannaturale che lo guidava e che lo proteggeva) era, in realtà, uno starnuto: vale a dire, se qualcuno starnutiva alla sua destra, o dietro di lui, o davanti a lui, ecco che subito Socrate sapeva che doveva reagire; e se lo starnuto veniva da sinistra, subito sapeva che egli doveva stare zitto e non fare assolutamente nulla. Va detto, comunque, che anche lo stesso personaggio arriva alla conclusione, nel corso del suo discorso, che l'intera idea sia assolutamente ridicola e che non corrisponda a ciò che noi sappiamo di Socrate.

fonte: Um túnel no fim da luz

lunedì 27 gennaio 2025

A Las Barricadas !!

La folle storia di "A las barricadas!" nella SGAE franchista
- di David García Aristegui -

La storia di A las barricadas!, l'inno della CNT (Confederazione Nazionale del Lavoro), è utile per ricostruire com'era la cultura prima, durante e dopo la dittatura franchista. Molto è stato detto sulla censura, ma poco è stato detto sui meccanismi concreti di repressione a partire dai quali gli artisti "scontenti del regime" sono stati denunciati, giudicati ed epurati su liste nere, che hanno impedito loro di svolgere qualsiasi attività nel settore culturale sotto la dittatura.

A las barricadas!, una creazione collettiva dal carcere
Nell'agosto del 1936, già nel bel mezzo della guerra civile, “¡A las barricadas!”, che sarebbe diventato l'inno dell'anarco-sindacalista CNT, venne presentato per la prima volta a Barcellona. L'origine della canzone rimanda alla "Varshavianka", del 1905, un inno rivoluzionario polacco scritto dal poeta Waclaw Swiecicki mentre era in prigione per la sua militanza socialista. Swiecicki scrisse allora il testo riferendosi a "La marcia degli zuavi", un'opera di paternità ancora incerta, ma che servì al poeta come base per creare una delle più popolari composizioni rivoluzionarie di tutti i tempi. Il successo dell'adattamento da "La marcia degli zuavi" fu tale che ben presto superò i confini di Varsavia e della Polonia, per diventare la Varshavianka del 1905 – in castigliano, semplicemente "La varsoviana" – l'inno dei rivoluzionari russi. L'adattamento russo viene attribuito a uno stretto collaboratore di Lenin, il polacco Gleb Krzhizhanovski, che, come Swiecicki, compose il testo mentre era in prigione. Riguardo l'origine di "¡A las barricadas! ", inizialmente divulgata col titolo di "Marcha triunfal - ¡A las barricadas!", spicca il ruolo avuto da Valeriano Orobón Fernández, un anarco-sindacalista che subì il carcere, così come lo subì la maggior parte delle persone che vennero coinvolte in "¡A las barricadas!".

Sull'origine dell'adattamento de La varsoviana, esistono almeno due versioni. Un primo resoconto degli eventi è quello secondo cui l'idea sarebbe nata durante un un concerto tenuto da anarco-sindacalisti in esilio nei locali della Gioventù Libertaria a Madrid. Nel corso di quel concerto, il testo che venne eseguito in tedesco fu tradotto in simultanea dalla compagna di Orobón, Hildegart Taege. In particolare, la canzone di Varsavia colpì il giornalista, e fondatore della Gioventù Libertaria, Jacinto Toryho, il quale propose a Orobón che la canzone sarebbe stata adottata come inno rivoluzionario. Ma, tuttavia, esiste anche un altro resoconto degli eventi, dove vediamo l'esule - per le sue idee anarco-sindacaliste - Alfred Schulte che sta cantando La Varsoviana nella sua vasca da bagno, quando Orobón Fernández irrompe nel bagno perché vuole sapere qual è la canzone che stava cantando. Più tardi, il testo sarebbe poi stato tradotto da Hildegart Taege, diventando così la base per "¡A las barricadas!". Indipendentemente da quale possa essere stata la sua vera origine, la verità è che nel 1936 l'adattamento de "La Varsoviana" venne commissionato al musicista Joan Dotras Vila, in modo che poi sarebbe stato registrato dall'etichetta Odeón, dal Maestro Millet e da Orfeó Catalá. La partitura venne stampata e distribuita, e su di essa compare il nome di Joan Dotras, cosa che più tardi per lui significherà la sua successiva prigionia, durante il regime di Franco. Va detto che, nell'interessante libro di Ferrán Aisa "ECN 1 RADIO CNT-FAI Barcellona. La voce della Rivoluzione", ci si riferisce tanto "¡A las barricadas! " quanto all'inno gemello "Hijos del pueblo", i quali sono stati entrambi essenziali per la programmazione dell'ECN 1, la stazione radio CNT-FAI, nella cui organizzazione Jacinto Toryho ha svolto un ruolo assai importante.

La Commissione di Purificazione dei Membri e degli Amministratori della SGAE (Sociedad General de Autores y Editores)
Uno studio approfondito su "¡A las barricadas! "è stato realizzato dallo storico M. Encarnació Soler i Alomà. Egli chiarisce l'origine oscura dell'opera e la repressione poi subita da Joan Dotras Vila, almeno per un breve periodo di tempo, durante la dittatura franchista. Per quanto ne sappiamo, Encarnació Soler è fino ad oggi l'unico accademico che ha fatto eco all'attività della Commissione per la Purificazione dei Membri e degli Amministratori della SGAE. Questa commissione aveva il compito di decidere quali autori potevano beneficiare della riscossione dei diritti d'autore e quali no. Va notato che se un autore non riceveva i diritti d'autore, le sue opere non passavano nel pubblico dominio: il denaro generato veniva semplicemente distribuito tra il resto dei soci, tra i quali c'era anche Francisco Franco, con lo pseudonimo di “Jaime de Andrade”, il nome con cui il dittatore poi firmò il romanzo "Raza", che ispirò il film con lo stesso titolo. Il librettista Manuel Fernández Palomero era incaricato di denunciare quei membri che egli considerava essere scontenti del regime, come avvenne nel caso di Dotras Vila, per il suo legame con la CNT, con la quale egli aveva collaborato in diverse produzioni, e a causa dei suoi precedenti contatti con Toryho. Il processo a Dotras Vila iniziò nel 1939 e non si sarebbe concluso fino al 1941. Temendo il carcere, il compositore ricostruì la sua carriera, e dichiarò che «nell'agosto del 1936, sotto la minaccia di elementi anarchici, fui costretto ad armonizzare e strumentalizzare per un film documentario la canzone polacca intitolata La Varsovienne, un'opera a me sconosciuta fino a quella data». Dotras ha poi, nelle sue dichiarazioni, aggiunto elementi, fino a che non è diventato credibile il fatto che in realtà egli fosse stato un membro della quinta colonna (una spia per la parte franchista). A sostegno di questa storia, egli rinunciò ai diritti di "¡A las barricadas!", dicendo che fin dall'inizio non aveva mai cercato alcun tipo di attribuzione (ricordiamo che il suo nome è l'unico che compare nelle partiture che sono state pubblicate), ma che era stata la CNT-FAI, che non aveva risposto alle sue richieste. Gli studi dello storico Encarnació Soler si concludono nel 1942, allorché Dotras si riunì alla SGAE franchista, rinunciando ai diritti su qualsiasi opera realizzata durante la guerra civile, e venne nominato professore e poi direttore del Conservatorio Municipale di Musica di Barcellona. "¡A las barricadas! " rimase come opera di pubblico dominio. Per questo testo, la storica Marta Ruiz Jiménez, responsabile del sito web "Trienio Liberal", ha condotto un'indagine consultando le edizioni ABC dell'epoca per ricostruire i passi dell'arrangiatore, il quale ha rinunciato al suo ruolo in ¡A las barricadas!

Il Dotras franchista
Juan Dotras Vila godeva di una certa popolarità come autore, e nel mentre che si consolidava all'interno della dittatura, gli venne naturale qualcosa che allora era molto desiderato dagli autori dell'epoca: l'assunzione di posizioni di responsabilità all'interno della SGAE franchista, da cui era stato inizialmente epurato. La fine di Dotras è stata la peggiore che si possa immaginare: è finito coinvolto in uno dei numerosi casi di cattive pratiche e corruzione, di cui la SGAE ha sofferto nella sua lunga e movimentata storia, con scandali ricorrenti e problemi economici di ogni tipo. Nulla che sorprenda, se guardiamo la storia e l'entità della gestione sotto una certa prospettiva. Tanto il funzionamento specifico della (interessatamente?) dimenticata Commissione per la Purificazione dei Membri e degli Amministratori della SGAE, quanto gli intrallazzi della SGAE nel tardo franchismo, e il suo declino dopo lo scioglimento del Sindicato Nacional del Espectáculo in cui era inquadrata, non sono ancora stati scritti. Ma il caso dell'inno anarcosindacalista ¡A las barricadas! e di tutte le persone legate alla sua creazione ci ricorda due cose: che la paternità è tutt'altro che semplice. E che la storia della SGAE di Franco e del suo apparato repressivo deve ancora essere raccontata.

- David García Aristegui - 23/01/2025 – Pubblicato su Ser Historico -

 

domenica 26 gennaio 2025

Neofeudalesimo ?!?? Un’ingenuità metodologica!!


Dal neofeudalesimo al capitalismo
- di  Eleutério F. S. Prado [*1] -

Questa nota, costituisce un commento a uno scritto di Jodi Dean, nel quale questa autrice che fa parte del "campo critico" spiega perché lei pensi che il modo di produzione capitalistico si starebbe trasformando in un "nuovo altro", da lei chiamato "neofeudalesimo". Il suo articolo, di recente pubblicazione, "Dal neoliberismo al neofeudalesimo" [*2] si presta assai bene a essere oggetto di critica, poiché è costruito sulla base di quella che possiamo chiamare "ingenuità metodologica". Nel seguente passaggio, la tesi viene presentata, a partire da una definizione di capitalismo: «È importante chiarire il modo in cui intendo il capitalismo. Nel farlo, seguo Ellen Meiksins Wood [*3], allorché sottolinea come la specificità del modo di produzione capitalistico derivi dal mercato, dal modo in cui esso imponga certe forme di comportamento, quali "la concorrenza, l'accumulazione, la massimizzazione del profitto e l'aumento della produttività del lavoro". Inoltre, la Wood spiega che il sistema capitalistico, nella sua totalità "soprattutto, spinge all'aumento della produttività del lavoro attraverso mezzi tecnici"» [*4]
Dopo aver correttamente stabilito questa definizione, passa ad esaminare alcune caratteristiche del modo di produzione attualmente esistente, per poi concludere che esso si starebbe trasformando in un qualcos'altro che riproduce certe determinazioni costitutive del feudalesimo. «L'imperativo dell'accumulazione, nelle condizioni del declino del saggio di profitto (stagnazione secolare), oggi è diventato quello di mettere in contraddizione con sé stesse quelle che sono le leggi del movimento capitalistico. Attraverso questo processo, sta avvenendo anche un rimodellamento della società e della politica. A dettare le strategie di accumulazione dei profitti, non è più il miglioramento continuo e il vantaggio competitivo, ma incombono piuttosto la ricerca di una rendita, la privatizzazione e l'accaparramento; tutte cose che richiedono una coercizione extra-economica. In tal modo, si sta costituendo una formazione sociale guidata dal privilegio e dalla dipendenza. Inoltre, si verifica anche una sovversione, in quanto le leggi capitaliste ora costringono gli agenti ad adottare comportamenti non capitalistici. Le relazioni capitalistiche e le forze produttive stanno pertanto subendo una transizione sistemica verso un diverso modo di produzione. Io chiamo "neofeudale" questa modalità» [*5].

Ora, come sapete, si possono sfogliare tutte le centinaia di pagine  che costituiscono il Capitale senza tuttavia scoprire ma che in esso ci sia una definizione di capitalismo. Karl Marx, com'è noto, in tutti i suoi scritti non ha mai nemmeno usato un simile termine, forse perché appunto, temeva – per così dire – la pietrificazione di questo concetto nella comprensione comune [*6]. E infatti, l'usuale nozione di definizione è incompatibile con il metodo impiegato nella costruzione di quella che è un'opera singolare. E questo perché - com'è noto anch'esso - la dialettica proveniente da Hegel non assume l'oggetto dell'indagine preliminare, e della sua successiva esposizione, come se si trattasse di un "essere fisso", ma come un "essere in corso di sviluppo". Proprio per questo motivo, questi autori non costruiscono teorie nel senso tradizionale del termine, ma ci forniscono delle presentazioni dialettiche che riproducono l'oggetto in quanto concetto, vale a dire «nel suo sé e nel suo proprio divenire» [*7]. Pertanto, se si vuole capire il capitalismo, non si può cercare una sua definizione, ma si tratta di seguire un'esposizione concettuale in cui il Capitale si inserisce in maniera propria. Come dire che, in esso, si pratica l'arte del progressivo disvelamento dell'oggetto. Com'è noto, all'inizio del I Libro, il modo di produzione capitalistico appare soprattutto come un modo nel quale si producono merci. La ricchezza vi appare come un «immenso insieme di beni». La merce individuale, come dice espressamente l'autore, consiste nella sua forma elementare. Pertanto, l'interazione sociale attraverso i mercati  è una caratteristica primaria di questo modo di produzione. E tuttavia, questa prima descrizione rimane del tutto insufficiente per riuscire a comprendere un simile oggetto. Come mostra la sezione IV del primo capitolo, la merce non è «una cosa semplice, banale ed evidente», poiché, di fatto, viene ad essere qualcosa di misterioso poiché, oltre ad essere una cosa, sembra essere che essa abbia valore. Proprio per questo motivo, essa non si offre immediatamente a una conoscenza scientifica rigorosa. Quando ce ne accorgiamo, dobbiamo anche renderci conto che siamo in presenza di una «cosa molto complicata, piena di sottigliezze metafisiche e di trucchi teologici». Il mistero della forma merce - spiega ancora Marx - consiste nel fatto che il lavoro sociale degli esseri umani, per mezzo di essa, si pone come un valore oggettivo in essa esistente, e che pertanto figura come se fosse una determinazione oggettiva dei prodotti del lavoro. Il feticcio della merce, nasce dunque dalla confusione prassiologica tra la forma sociale assunta dal lavoro - il quale si manifesta come valore di scambio - e il sostegno che richiede questa forma: il valore d'uso. Fino al IV capitolo del I Libro, il capitalismo continua ad apparire come se fosse un sistema nel quale prevalgono «le relazioni reificate tra gli uomini e le relazioni sociali tra le cose», cioè come M – D – M ; ecco perché l'economia volgare considera il capitalismo solo in quanto "economia di mercato". Ora, in questo IV capitolo questa apparenza viene demistificata. Marx, sviluppandone il concetto, passa dall'apparenza del sistema alla sua essenza, ossia, dalla circolazione delle merci all'esame critico della produzione delle merci. Esaminando la produzione di merci, egli trova il rapporto sociale del capitale, il cui movimento D-M-D' è, in linea di principio, infinito. Egli presenta allora il capitale come un «valore che viene valorizzato» e, proprio per questo, come un "soggetto automatico" che non prescinde dal capitalista, in quanto agente che lo personifica. Egli mostra, in sequenza, come questo movimento sia possibile solo a partire dal fatto che il capitale acquista una merce speciale, la cui caratteristica particolare è quella di essere una fonte di valore: ossia, la forza lavoro. Ora, il valore d'uso di questa capacità - il lavoro come lavoro astratto -  può essere accumulato sotto vari e diversi involucri: mezzi di produzione, denaro, azioni, obbligazioni, ecc.. E a questo punto dell'esposizione, Marx ci presenta, per la prima volta, quello che da lì in poi chiamerà capitale industriale. Riportiamo qui un momento di questa presentazione nella quale Marx sottolinea come il capitale industriale segni un'intera epoca nella storia del processo sociale di produzione, cioè, del capitalismo: «Le forme specifiche del denaro, sia come mero equivalente delle merci che come mezzo di circolazione, sia come mezzo di pagamento, come tesoreria o come moneta mondiale, si riferiscono (...) a stadi assai diversi del processo sociale di produzione. Tuttavia, a differenza di quanto avviene con il capitale, una circolazione relativamente poco sviluppata delle merci è sufficiente per la costituzione di tutte queste forme. Le loro condizioni storiche di esistenza non sono affatto date dalla circolazione delle merci e del denaro. Essa sorge solo nel momento in cui il possessore dei mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato l'operaio libero sotto forma di venditore della sua forza-lavoro, e questa condizione storica include storicamente tutto il mondo. Il capitale, quindi, annuncia così fin dalla sua prima apparizione una nuova epoca nel processo sociale di produzione» [*9].

Ebbene, appare evidente come, a questo punto, Jodi Dean privilegi questo momento per poter trovare una presunta definizione di capitalismo. Tuttavia, per quanto abbia ragione su quello che è il nocciolo del concetto di capitale, bisogna osservare come questo concetto, in quanto tale, non è tuttavia ancora completo: il capitale industriale non può prosperare senza che ci sia il capitale finanziario. Nella sezione IV del libro III, Marx ci presenta il capitale commerciale e il capitale commerciale monetario. Poi, nella sezione successiva, esaminando il sistema creditizio, ci mostra in che modo il capitale di prestito - vale a dire il capitale monetario in cerca di valorizzazione - collabori con il processo di accumulazione. A tal fine, esso assume la forma del capitale fruttifero, e quella della sua forma derivata, il capitale fittizio. Nel primo caso, finanzia la produzione, e lo fa prendendo una parte del profitto industriale sotto forma di interessi; nel secondo, accelera i consumi privati e statali, e qui la cosa può anche incoraggiare la speculazione. A questo punto, è necessario sottolineare che il capitale monetario ha un valore d'uso diverso da quello che permette l'acquisto di merci in generale e di forza-lavoro in particolare. Come dice lo stesso Marx, esso ha un «valore d'uso aggiuntivo, vale a dire quello di funzionare come capitale». Ecco, nella «condizione di capitale possibile (...) diventa una merce». Anziché D-M-D, qui abbiamo semplicemente D-D, in modo tale che «la formula generale e ordinaria del capitale [viene così] assurdamente condensata». Ora, è nella logica stessa del sistema che D – D', allorché si sviluppa, viene a sussumere D – M – D': anziché servire semplicemente il capitale industriale, o limitarsi a supervisionare l'applicazione produttiva del capitale, ecco che il capitale finanziario tende a diventare il comandante del capitale industriale. E in questa forma, il capitale è il capitale per eccellenza, è prima di tutto un vampiro. Nelle parole di Marx, viene detto che: «questo feticcio automatico del valore che si valorizza, si riproduce in tutta la sua purezza: il denaro che genera denaro, ma che, quando assume questa forma, non porta più alcuna cicatrice della sua nascita».

Tuttavia, se si presta attenzione solo a questa apparenza, può sembrare che non ci si trovi più di fronte al capitalismo; si può persino pensare che siamo già entrati in un altro sistema economico basato sull'estrazione, e non sulla produzione di ricchezza specificamente capitalistica. E Infatti, il capitale finanziario appare oggi come uno dei grandi succubi del diritto di saccheggio. Di conseguenza, è opportuno sottolineare quanto segue: la finanziarizzazione, che ha preso piede solo nella seconda metà del XX secolo, non è un evento che nega il capitalismo. Ma prima di essa - vale la pena chiederselo - cosa avevamo? Dal punto di vista storico, il capitalismo dell'Ottocento e quello di buona parte del Novecento, in cui domina la grande industria, appare come il capitalismo industriale per eccellenza. Tuttavia, com'è noto, già nel secondo decennio del secolo scorso, Hilferding dimostra che il grande capitale industriale si era già trasformato in capitale finanziario. Egli esamina il caso della Germania imperialista, notando come il grande capitale industriale abbia cessato di essere proprietà privata dei capitalisti ed è ora proprietà delle banche e delle società per azioni, diventando così proprietà collettiva di frazioni più o meno numerose della classe capitalista. «Una parte crescente del capitale impiegato nell'industria», osserva, «è ora capitale finanziario», vale a dire capitale che è stato socializzato, e che viene comandato, per mezzo della proprietà bancaria e degli azionisti, dai capitalisti finanziari. È così che il capitalista per eccellenza cessa di essere il capitalista industriale, per diventare il capitalista finanziario, proprietario di grandi somme di denaro, azioni, obbligazioni pubbliche e private. Ora, ciò che Hilferding scopre nella realtà storica, era già stato annunciato in quanto possibilità concettuale fin nella presentazione stessa del Capitale [*10]. Nel 27°capitolo del III libro, commentando la creazione delle società per azioni, in Marx si trova il seguente passaggio: «Il capitale che, in quanto tale, si basa su un modo di produzione sociale, e presuppone una concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze lavorative, acquisisce così direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati), in contrapposizione al capitale privato, di modo che così le sue imprese si presentano come imprese sociali in contrapposizione alle imprese private. È la sussunzione [Aufhebung] del capitale come proprietà privata, fatta entro i limiti del modo di produzione capitalistico stesso» [*11]. Perciò Marx, anche se non lo osservava nella realtà del suo tempo, prevedeva l'avvento di una nuova epoca nel processo sociale di produzione, nella quale, in senso stretto, il capitale socializzato arrivava a dominare il capitale privato in modo globale. Ora, com'è noto, questo processo, che non ha cessato di svilupparsi per tutto il XX secolo, ha acquisito una nuova dimensione con l'avvento del neoliberismo a partire dagli anni '80 di quel secolo [*12]. Anche se il neoliberismo, come fenomeno storico, sia più complesso, esso porta il processo di socializzazione del capitale al suo culmine. Da quel momento in poi, il capitalismo non può più essere considerato come il dominio per eccellenza del capitale industriale. D'altra parte, esso va inteso come un sistema nel quale il capitale finanziario domina sotto varie forme. E questo capitale si manifesta anche sotto forma di diritti di prelievo sulla ricchezza prodotta, che dà origine al dominio della finanza sulla produzione e sulla distribuzione, vale a dire a tutto ciò che dai tempi di Marx in poi è stato chiamato renditismo. I suoi veicoli sono il capitale fruttifero che estrae plusvalore dal profitto generato nella produzione di merci, e il capitale fittizio che lo fa catturando dividendi dalle imprese, parte delle tasse, attraverso il finanziamento della spesa pubblica, e il reddito privato, attraverso prestiti ai consumatori. Ma anche quello che è stato chiamato capitale di piattaforma, dal momento che in gran parte è sotto forma di "capitale come merce", e quindi non funziona più solo come il vecchio capitale industriale. Inoltre, poiché la forma di capitale così collocata aderisce alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, esso diventa capace di esercitare il dominio su tutte le attività umane, economiche e non economiche, e di estrarre da esse rendite straordinarie in varie forme. Non c'è, quindi, alcuna buona ragione, rintracciabile nella presentazione dialettica del Capitale, per pensare che ci possa essere una trasformazione spontanea del capitalismo, o in neo-feudalesimo o in tecno-feudalesimo. Questo modo di pensare è semplicemente un fraintendimento. Esiste, tuttavia, una buona ragione – e dei buoni argomenti – per credere che attualmente il capitalismo sia  in declino [*13]. E ciò avviene in forza di un processo capitalistico che presenta nuove complessità, così come nuovi problemi: la crisi ecologica, le piattaforme, l'intelligenza artificiale, ecc.

- Eleutério F. S. Prado - Pubblicato il 23/01/2025 su Economia e complessità -

NOTE:

[1] Professore in pensione della FEA/USP. E-mail: eleuter@usp.br; Blog su Internet: https://eleuterioprado.blog.
[2] Vedi Dean, Jodi – Dal neoliberismo al neofeudalesimo. In: Emancipazioni: una rivista di analisi sociale critica, gennaio 2025.
[3] Wood, Ellen Meiksins – L'origine del capitalismo, Verso, 2017.
[4] Dean, op. cit.
[5] Ibidem.
[6] Cfr. Musto, Marcello – La genealogia del concetto di capitalismo. Sitio La terra è rotonda: https://aterraeredonda.com.br/a-genealogia-do-conceito-de-capitalismo/
[7] Müller, Marcos Lutz – Esposizione e metodo dialettico in Marx. https://eleuterioprado.blog/2015/09/09/metodo-de-o-capital/
[8] Questa astrazione, come si dice Ruy Fausto, è una misura – non è, quindi, un'astrazione dell'intelletto. Ed è posto dal processo sociale, oggettivamente, cioè indipendentemente dalla coscienza degli agenti. Vedi Marx: logica e politica. Volume I. Editora Brasiliense, 1983.
[9] Marx, Karl – Il capitale – Critica dell'economia politica. Libro III. Boitempo, 2017.
[10] Hilferding, Rudolf – O capital financeiro. Editora Abril Cultural, 1985.
[11] Marx, Karl – op. cit.
[12] Vedi Chesnais, François – Il capitale finanziario oggi. Brill, 2016 e Maher, Stephen e Aquanno, Scott - La caduta e l'ascesa della finanza americana, Verso, 2024.
[13] Prado, Eleutério F. S. – Il capitalismo nel XXI secolo – Tramonto attraverso eventi catastrofici. Editoriale CEFA, 2023.