Gli scienziati di cui questo libro racconta le vicende straordinarie si chiamavano ancora filosofi naturali. Non avevano cattedre né prebende, e poteva accadere che per guadagnarsi da vivere si imbarcassero sull'Endeavour di un certo Cook, col compito di raccogliere e catalogare esemplari di fauna e flora esotiche, sempre che tempeste e popolazioni non proprio bendisposte li lasciassero prendere terra. O che nel tempo libero, insieme a una sorella molto devota, costruissero un telescopio sul tetto di casa per provare a calcolare il numero esatto delle stelle esistenti. E poteva essere che nel buio delle notti d'inverno scoprissero pianeti dove nessuno sospettava esistessero, lasciando ad altri il compito di chiamarli Urano, Titania o Encelado. Joseph Banks e William Herschel sono solo due fra gli eroi – di volta in volta colossali e minuscoli, spesso irresistibilmente comici – cui Richard Holmes ha dedicato questo libro. Che è un esperimento felice e avventuroso come quelli che racconta, e istiga nel lettore il migliore dei sentimenti che una storia possa trasmettere: l'invidia per i suoi personaggi.
(dal risvolto di copertina di: Richard Holmes, "L’età della meraviglia". Orville Press, pagg. 688, € 30 )
Così la scienza diventò una meraviglia per tutti
- di Richard Holmes -
L'età della meraviglia è una staffetta di storie sulla scienza che si susseguono e s’intrecciano nella ricostruzione di un ampio quadro storico. È un racconto personale della rivoluzione scientifica che divampò in Gran Bretagna alla fine del Diciottesimo secolo producendo una visione nuova, a buon diritto definita scienza romantica. (...) Il primo a far riferimento alla «seconda rivoluzione scientifica» fu S.T. Coleridge nelle Conferenze sulla storia della filosofia del 1819. Innescata da una serie di scoperte epocali nel campo dell’astronomia e della chimica, e figlia del razionalismo illuminista del Settecento, ne prese poi le distanze connotando il lavoro scientifico con un fervore visionario e un entusiasmo nuovi. A ispirarla fu l’ideale di un impegno intenso – talvolta persino spericolato – e in prima persona nella scoperta.
Fu anche un movimento di transizione. Coprì un arco relativamente breve, forse due generazioni, ma portò delle conseguenze a lungo termine, suscitando speranze e domande che perdurano tuttora. La scienza romantica può essere collocata, approssimativamente e simbolicamente, tra due celebri spedizioni: il primo giro del mondo del capitano James Cook con l’equipaggio dell’Endeavour, nel 1768, e il viaggio di Darwin alle Galápagos a bordo del Beagle nel 1831. È questo intervallo di tempo che definisco l’età della meraviglia, della quale, con un po’ di fortuna, conserviamo ancora qualcosa.
L’idea dell’esplorazione solitaria e perigliosa è, sotto varie forme, una metafora fondamentale e calzante della scienza romantica. È in questi termini che il genio di William Wordsworth trasformò l’immagine del grande illuminista Isaac Newton in un’icona romantica. Studente a Cambridge negli anni Ottanta del Settecento, Wordsworth aveva spesso contemplato la statua di Newton, un marmo a figura intera dall’austera capigliatura corta, che domina il selciato antistante alla cappella del Trinity College. Nelle parole di Wordsworth, a pochissima distanza dalla sua finestra, al di sopra delle mura di mattoni del St John’s College, riusciva a intravedere: l’atrio della cappella, dove era la statua / di Newton, col prisma e il viso silenzioso. In una versione del poema successiva al 1805, Wordsworth animò quella statica figura, resa immortale dalla sua severa cornice religiosa. Newton diventa un viaggiatore romantico tra le stelle, tormentato e irrequieto: «Dal mio cuscino, lo sguardo guidato dalla luce / della luna e delle benevole stelle, scorgevo / l’atrio della cappella, dove era la statua / di Newton, col prisma e il viso silenzioso, / l’indice marmoreo di una mente in viaggio/ tra i mari estrosi del pensiero, e sola».
Intorno a questa visione, la scienza romantica ha creato, o cristallizzato, molti altri concetti – e luoghi comuni – ancora vivi. Primo fra tutti, il mito del genio scientifico solitario, sregolato e assetato di conoscenza fine a sé stessa e a qualsiasi costo. Questa idea neo-faustiana, celebrata da numerosi scrittori dell’epoca, tra cui Goethe e Mary Shelley, è fuor di dubbio uno dei maggiori e più ambigui lasciti della scienza romantica. Da qui deriva l’esaltazione del cosiddetto momento Eureka, il guizzo ispirato dell’invenzione o della scoperta, contro il quale non c’è preparazione o analisi che tenga. Il grido attribuito al filosofo greco Archimede diventa il fuoco divino del Romanticismo, il segno di riconoscimento del genio scientifico, il quale non si discosta troppo dal poeta e dall’artista. La scienza romantica ricerca queste visioni individuali, diremmo mistiche, all’interno della propria storia. Uno degli esempi fondanti e cruciali è l’immagine di Newton che, perso nei suoi pensieri, vede cadere una mela nel suo giardino e ha «improvvisamente» l’intuizione della gravitazione universale. L’aneddoto non fu raccontato da Newton all’epoca, ma cominciò a circolare a metà del Diciottesimo secolo in una serie di cronache e memoir.
La percezione di una natura infinita e misteriosa da scoprire o da sedurre per carpirne i segreti era molto diffusa. Gli strumenti scientifici giocarono un ruolo sempre più importante in questo processo, consentendo all’uomo non solo di amplificare i propri sensi in maniera passiva, attraverso il telescopio, il microscopio o il barometro, ma di intervenire attivamente con l’ausilio della pila di Volta, del generatore elettrico, del bisturi o del compressore. Persino la mongolfiera era percepita come un mezzo di scoperta o un’arma di seduzione. Vi era inoltre una reazione contro l’idea di un universo puramente meccanico, il mondo matematico della fisica newtoniana, il mondo materiale degli oggetti e degli impatti. Queste obiezioni, emerse soprattutto in Germania, favorirono la nascita di una scienza più morbida e «dinamica», fatta di forze invisibili ed energie misteriose, fluidità e trasformazione, crescita e mutamenti organici. Ecco perché lo studio dell’elettricità (e la chimica in generale) diventò la branca rappresentativa dell’epoca, benché anche l’astronomia, disciplina eletta dell’Illuminismo, cambiò radicalmente sotto l’influsso della cosmologia romantica.
A poco a poco si fece strada il concetto di una scienza pura, «disinteressata», svincolata dall’ideologia politica e dalle dottrine religiose. L’enfasi di un sapere secolare, umanistico (e ateo) per il «bene dell’umanità» fu particolarmente forte durante la Rivoluzione francese e non tardò a generare un conflitto all’interno della scienza romantica: ci si chiedeva, per esempio, se fosse giusto mettersi al servizio dello Stato nella produzione bellica o caldeggiare la visione della chiesa, allora imperante, di una «teologia naturale» per cui alla scienza spettava il compito di fornire le prove della creazione divina o di un disegno razionale. Tutto ciò andava di pari passo con la nozione di scienza popolare, ovvero una scienza per le persone. La rivoluzione scientifica di fine Seicento aveva rimosso essenzialmente un sapere individuale, elitario, specialistico. La sua lingua franca era il latino, la sua moneta corrente la matematica, i suoi adepti una ristretta (benché internazionale) cerchia di accademici e studiosi. La scienza romantica si prefiggeva invece di istruire, spiegare, comunicare a un pubblico generico.
- Richard Holmes - Pubblicato su Domenica del 24/9/2023 -
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