Se nel Mulino di Amleto ci ha introdotto al «pensiero arcaico», mostrandoci come il mýthos, che si vorrebbe contrapposto al lógos, sia invece a sua volta una «scienza esatta», qui Giorgio de Santillana si sofferma sull’impronta lasciata da quelle remote scaturigini sulla forma mentis tecnoscientifica. In questa cornice il «pensiero scientifico» delle origini, tra cesure e continuità rispetto a quello «mitico», assume connotazioni inedite, in un percorso millenario che va da Parmenide a Eraclito a Pitagora, dalla medicina della scuola ippocratica alla svolta fisicocosmologica di Leucippo e Democrito, dai sofisti e Gorgia alla grande cattedrale platonica e alla sintesi di Aristotele, per arrivare a Tolomeo e Plutarco. E alla fine del percorso risalterà nitidamente non solo come le conquiste della «scienza greca» siano state il punto di partenza della nostra scienza, ma anche come l’usurata contrapposizione tra sapere umanistico e scientifico costituisca, fin dalle origini, una prospettiva deviante e infondata.
(Dal risvolto di copertina di: Giorgio de Santillana, "Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo, 600 A.C. – 500 D.C.", Adelphi, pagg. 438, € 15)
Quando si cominciò a pensare come scienziati
- Le origini secondo De Santillana -
di Piero Boitani
Entro l’anno la Fondazione Lorenzo Valla pubblicherà il primo di tre volumi dedicati ai Presocratici. Etichetta generale: Sentieri di Sapienza attraverso la Ionia e oltre. Conterrà i testi di Talete, Anassimandro, Anassimene, Pitagora e i pitagorici antichi, Senofane ed Eraclito. Gli altri due volumi – Sentieri di Sapienza attraverso la Magna Grecia. Da Parmenide a Empedocle, e Sentieri di Sapienza dalla Ionia ad Atene. Da Anassagora agli Atomisti – seguiranno nei due anni successivi. L’edizione, a cura di Laura Gemelli Marciano, della scuola di Walter Burkert a Zurigo, promette di rivoluzionare i paradigmi tradizionali riguardo alle origini della filosofia e della scienza. Sentiremo parlare di polymatheis, di philosophoi, di rhapsodoi, di influenze orientali e dell’Avesta. Udremo risuonare la domanda se esista «un punto preciso nella storia della Grecia arcaica in cui si possa fissare un’origine della filosofia». Vedremo contestata la distinzione consacrata da tempi remoti tra mythos e logos, guarderemo alle vicende politiche dell’Asia Minore, rivisiteremo i rapporti dei Presocratici con Omero ed Esiodo. Percorreremo insomma, con altra ottica, la strada tracciata da Santillana nella prima metà del suo libro: che, pubblicato la prima volta in inglese nel 1961 (e in italiano nel 1966), è un racconto affascinante di mille anni di evoluzione del pensiero scientifico-filosofico occidentale, condotto con la spigliatezza di lungo respiro di chi aveva composto Il mulino di Amleto e particolarmente benvenuto perché, dopo i Presocratici, non esita ad affrontare Ippocrate, Gorgia, Socrate, Platone e Aristotele, i matematici, gli astronomi i geografi, fino a Plutarco, Plotino e Proclo. Una cavalcata mozzafiato – dedicata alla memoria di colui che s’era inabissato nel Tirreno dopo aver gettato dal suo aereo centinaia di migliaia di manifestini antifascisti nell’ottobre del 1931, Lauro De Bosis – una cavalcata che, paragonata a quella di Bruno Snell in La scoperta dello spirito. La cultura greca e le origini del pensiero europeo, possiede un ritmo assai più sostenuto.
Le sorprese cominciano subito, sulla prima pagina del Prologo, quando Santillana afferma che, «pur non essendo un libro che possa dirsi scientifico, la Bibbia inizia con una teoria circa le origini del mondo». La Genesi, come altri testi religiosi coevi o posteriori, postula una creazione divina (se dal nulla o da una preesistente materia in stato di caos sarà oggetto di infinite discussioni), ma nulla sappiamo del pensiero degli uomini dell’età della Pietra. Eppure, «dobbiamo indubbiamente a quegli ingegnosi tecnologi i principi fondamentali del trattamento della materia e dell’energia: suscitare il fuoco nel focolare, scoprire il principio della leva per lo scaglia-lancia, sfruttare la tensione e la torsione per far sfrecciare il dardo nell’aria, chiudere la trappola con uno scatto, fissare la scure al manico». Principia così, la «scienza», quel sapere che combina invenzione, ripetizione, pratica. D’altro canto, l’osservazione del cielo dà origine, attraverso la meraviglia teorizzata da Platone e Aristotele, alla philo-sophia: all’amore di sapienza, ma anche alla filosofia naturale. Perché i moti degli astri, sole, luna, stelle, sono regolari e ricorrenti, e la loro osservazione necessita di misurazioni cioè di numeri, per risultare affidabile e prevedibile. Insieme, con ogni probabilità, nasce la speculazione sui principi materiali. Già Aristotele, nella Metafisica, li individuava, associandoli a un particolare pensatore: così Talete credeva che principio di tutto fosse l’acqua, Anassimene l’aria, Empedocle i quattro elementi. È l’epoca dei Presocratici, appunto. Tra i quali ci sono però quelli che cominciano a intravedere, dietro i principi materiali, quelli superiori. Anassagora postula una Intelligenza, Esiodo e Parmenide Eros. Polemos, il Conflitto, è il principio cui sembra rifarsi Eraclito, ma Neikos, Contesa o Discordia, e Philia, Amicizia o Amore, sono quelli cui si affida Empedocle. Parmenide ed Eraclito differiscono poi radicalmente nel credere alle due modalità dell’essere e del divenire. Comunque, conclude Aristotele, «coloro che hanno ragionato in questo modo, hanno posto la causa del bene e del bello come principio degli esseri e hanno considerato questo tipo di causa come principio da cui deriva agli esseri il movimento».
I giochi, a questo punto, sono quasi fatti. Mancano soltanto gli Atomisti, che giurano sulla casualità del moto e dell’incontro delle particelle indivisibili (gli atomi), e nel pieno (l’essere) e il vuoto (il non essere); e il loro acerrimo nemico Platone, il quale non ci ha lasciato soltanto l’Iperuranio delle Idee, come pensa Santillana, ma ha per fortuna composto anche il Timeo: non «un mito o allegoria intesa ad adombrare i processi operativi dell’Anima del Mondo», non una fisica come «gioco d’ombre», ma la vera summa del pensiero platonico, nella quale convergono, scrive Franco Ferrari, «l’ontologia, la teologia, la cosmogonia, la fisica, la cosmologia, l’etica, l’antropologia e la psicologia, arricchite dall’innesto di un articolato sistema di saperi specialistici, che vanno dall’astronomia alla medicina, dalla biologia all’ottica e alla teoria musicale». Con il suo linguaggio «verisimile», metaforico, il Timeo ha esercitato un’influenza enorme su tutto il pensiero occidentale, dal Medioevo, quando è l’unico dialogo conosciuto di Platone, al Rinascimento, al sorgere della nuova scienza (Keplero), sino addirittura alla rivoluzione scientifica moderna, quando è studiato e apprezzato da Whitehead e Heisenberg. Santillana è più felice con Aristotele, che è per lui il vero «scienziato» – come l’Europa con qualche fondamento penserà sino al Seicento. Quel che viene dopo di lui sono mere chiose alle sue opere o a quelle di Platone: almeno fino a Galileo e Kant.
- Piero Boitani - Pubblicato su Domenica del 17/9/2023 -
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