In una sua curiosa poesia, Kipling ha scritto che la femmina di qualsiasi specie, compresi gli esseri umani, è sempre più letale del maschio. Storicamente, la guerra è stata sempre un affare da uomini, e le donne sono state sempre escluse dalla prima linea degli eserciti, eppure l'immagine della donna armata e pericolosa che brandisce una spada, o che colpisce i nemici con arco e frecce, abbonda in molte mitologie. La dea greca della guerra, Atena, opponeva strategia e saggezza alla caotica forza bruta del dio guerriero maschio, Ares. La società matriarcale e guerriera delle Amazzoni difendeva il proprio stile di vita con le unghie e con i denti: non è chiaro fino a che punto le Amazzoni della mitologia abbiano una base storica, e alcune cronache, in particolare Erodoto, le identificano con guerriere sarmate o scite. In ogni caso, l'archetipo delle Amazzoni e delle donne guerriere in generale, si è mosso tra gli estremi del sogno erotico maschile e l'utopia femminista.
1. La vendetta della regina Boudicca
Anno 60 d.C. Midlands, Gran Bretagna. Un esercito di 70.000 guerrieri guarda con riverenza una donna imponente dall'aspetto feroce e dai capelli rossi lunghi fino alla vita. La sua voce rimbomba, fragorosa: «Mostriamo ai romani che non sono altro che lepri e volpi che cercano di dominare su lupi e cani!» Non appena ha finito di parlare, apre la sua tunica colorata e fa uscire una lepre che fugge terrorizzata verso sinistra, segno di buona fortuna. I soldati ululano mentre la donna brandisce la lancia e continua il suo discorso: «Ti ringrazio, Dea Andraste, Grande Madre, e ti invoco da donna a donna... Imploro la vittoria e la libertà!» A gridare tra gli applausi del suo popolo è Boudicca (latinizzata in Boadicea), regina guerriera degli Iceni e alleata dei Trinovanti. Ha tutte le ragioni per essere arrabbiata. Dopo aver invaso le isole britanniche, i Romani hanno raggiunto una tregua con la tribù degli Iceni, governata dal re Prasutagus, più interessato ai banchetti che alla guerra. Quando Prasutagus muore, lascia il regno in eredità alla sua orgogliosa moglie Boudicca, ma i Romani se la ridevano all'idea di una donna al potere. Allorché Boudicca si recò con le figlie dal prefetto per lamentarsi, venne crudelmente frustata, e le figlie violentate con disprezzo sotto i suoi occhi. Non lo sapevano ancora, ma tutti gli uomini presenti avevano appena firmato la propria condanna a morte. Nel contempo - secondo Dione Cassio - alcuni usurai romani (tra cui Seneca il Giovane) scelsero inopportunamente quel momento per chiedere la restituzione dei loro investimenti nell'isola. Per ottenerli, i rimedi che venivano applicati erano assai simili a quelli proposti oggi dalla troika: saccheggiare i villaggi e vendere i loro abitanti in schiavitù. A partire da un simile presupposto, non ci volle molto perché la furiosa Boudicca accendesse il fuoco della ribellione. Approfittando del fatto che le truppe del governatore Svetonio erano impegnate a sterminare i druidi gallesi, i ribelli devastarono la colonia di Camulodunum (Colchester), mettendola a ferro e fuoco e trucidando tutti gli abitanti, demolendo metodicamente gli edifici e annientando la Nona Legione ispanica, che aveva cercato di venire in soccorso. Poco dopo, la stessa Londinum (Londra) fu rasa al suolo, lasciando un sottile strato geologico di vasellame bruciato, monete fuse e rabbia. Verulanium (St Albans) subì lo stesso destino... 80.000 cadaveri romani, tre città rase al suolo, Roma che pensava di abbandonare la Britannia... Non si rompono le ovaie a una regina guerriera britannica! Svetonio, a questo punto, per fronteggiare i 70.000 guerrieri di Boudicca mette insieme un esercito di 10.000 legionari, e per compensare la sua netta inferiorità numerica, decide di battersi in una stretta gola. E qui torniamo al momento critico dove si è cominciato a raccontare questa storia: la lepre divinatoria che Boudicca libera scappa a sinistra, segno di buon auspicio. Incoraggiati, gli Iceni attaccano anche se le condizioni del terreno non li favoriscono e, dopo una feroce battaglia, non solo perdono ma vengono praticamente sterminati. Se solo quella lepre fosse fuggita a destra.... Cosa sia successo a Budicca dopo la sconfitta, non è chiaro. Tacito dice che si suicidò con il veleno, ma esistono altri racconti che affermano sia morta di malattia, o che venne uccisa dall'avanguardia dell'esercito. Nella sua splendida graphic novel "From Hell", Alan Moore trasforma la sconfitta di Boadicea nella sepoltura dell'ultima speranza femminile di recuperare le società matriarcali primordiali... La morte della regina segnerà un punto chiave nel passaggio dal culto di una dea madre lunare a un dio padre solare e apollineo. Ma dal momento che la vita ha delle strane ironie, durante l'epoca vittoriana ci fu un certo revival della storia di Boudicca, e questo probabilmente dovuto al fatto che la traduzione del suo nome è... Vittoria. Già, come la regina. Così, nel XIX secolo, vennero costruite delle statue in suo onore a Westminster, Tennyson le dedicò una poesia, nacquero leggende e dicerie intorno a lei... Se andate alla stazione di King's Cross a Londra, date un'occhiata allo spazio tra i binari nove e dieci. Lì non si nasconde un'entrata segreta di Hogwarts, ma (se la leggenda è credibile) il cadavere della regina Boudicca, che tornerà in vita quando meno ce lo aspetteremo per vendicarsi degli invasori di Roma.
2. Zenobia di Palmira e il Trono di Spade
La seconda donna di questa lista di guerriere, è una presunta discendente di Cleopatra chiamata Giulia Aurelia Zenobia. Gli storici dell'epoca (III secolo d.C.) la descrivono come intelligente, abile e bella, mettendo in evidenza i suoi occhi neri e sempre brillanti. Parlava greco, aramaico, egiziano e latino e frequentava scrittori e filosofi. Trebellio Pollione, parlando di lei, commenta che, senza perdere un'elegante femminilità, si comportava «come un uomo», bevendo con i soldati della guardia, cavalcando e cacciando con il proprio arco. Zenobia sposò Odenato, re di Palmira, una ricca città siriana sotto l'Impero romano. Da lui ebbe presto un figlio, che battezzò con il magnifico nome di Lucio Giulio Aurelio Settimio Vaballato Atenodoro, o più semplicemente Vaballato, derivato dall'aramaico Wahb Allat, «dono della Dea». Anche in questo caso emerge un aspetto della Madre primordiale. In ogni caso, l'erede al trono di Palmira era Hairam, figlio di Odenato da un precedente matrimonio.
Ma ecco che entra in scena il nipote di Odenato, un teppista attaccabrighe che portava lo sfortunato nome di Meonio. Nel corso di una futile lite per mancanza di rispetto, Meonio estrae il pugnale nel bel mezzo di un matrimonio e colpisce ripetutamente Odenato e il piccolo Hairam, uccidendoli entrambi. È a quel punto che cerca di prendere il potere per sé, e di nominarsi imperatore, ma muore per mano della vedova Zenobia, che lui non aveva preso troppo sul serio. Secondo l'Historia Augusta, probabilmente distorta e manipolata, sarebbe stata Zenobia l'istigatrice del crimine di Meonio, al fine di assicurarsi il trono per sé e per il figlio. Però Zenobia ha sempre sostenuto, tuttavia, che Meonio operasse per i Romani. La verità non è chiara nemmeno per i complottisti! Ad ogni modo, per caso o in uno slancio di grazia vedovile, Zenobia esce vittoriosa da queste Nozze Rosse e sale sul trono di Palmira in quanto reggente fino alla maggiore età del figlio Vaballato. La prima cosa che fa, è ribellarsi immediatamente a Roma, quindi conquista l'Egitto e risponde alle timide proteste del prefetto romano di Alessandria decapitandolo. Invade territori in Siria, Libano e Palestina, guadagnandosi il soprannome di «regina guerriera» mentre accumula un trionfo dopo l'altro. In pochi anni crea un fiorente impero sfruttando le rotte commerciali, e in tal modo Palmira («la Roma del deserto») conosce un'intensa fioritura economica, culturale e artistica.
Ma il fuoco di Zenobia-Daenerys ben presto incontra, e si scontra con il ghiaccio dell'imperatore Aureliano-Stannis, un leader militare romano freddo e implacabile, temuto più dalle proprie truppe che dal nemico. Combatteva sempre in prima linea e si racconta che in una sola campagna abbia ucciso 1000 barbari con la sua spada («mille, mille, mille occidit», cantavano le sue legioni). Il contrattacco romano inizia con la riconquista dell'Egitto, e avviene con una furia tale da distruggere parte della biblioteca di Alessandria. Le truppe di Aureliano faticano ad attraversare il deserto, ma alla fine assediano Palmira e mettono in fuga Zenobia, che tenta senza successo di fuggire con Vaballato in braccio su un veloce dromedario.
Aureliano la porta a Roma come trofeo, incatenata con catene d'oro: così la raffigura Herbert Schmalz in "L'ultimo sguardo a Palmira della regina Zenobia". Il viaggio si rivela troppo duro per il povero Vaballato, ancora bambino, il quale poco tempo dopo essere stato il «dono della Dea», muore di fatica. Per quanto riguarda il destino di Zenobia dopo il suo arrivo a Roma: si ritiene che sia stata decapitata, o che sia stata vittima di malattia, o che si sia suicidata morendo di fame... Oppure che sia stata graziata da un compassionevole Aureliano, dandola in sposa a un anonimo senatore romano. Non so cosa possa sembrare più improbabile: il gelido Aureliano che mostra calore umano o la focosa Zenobia che accetta il compromesso di un gelido matrimonio.
3 . L'astuzia letale del comandante Artemisia
Settembre 480 a.C.: dopo aver annientato i 300 spartani a guardia del passo delle Termopili e saccheggiato Atene, l'esercito persiano di Serse progetta di sconfiggere definitivamente i greci in una battaglia navale nello stretto di Salamina. Nel corso di un consiglio di guerra tenutosi sulla nave più grande della flotta persiana, si vede un generale dopo l'altro che consiglia a Serse di attaccare immediatamente. Finché non tocca ad Artemisia di Caria, sovrana di Alicarnasso, esperta marinaia e unica donna comandante dell'esercito di Serse, prendere la parola. Al posto dei soliti convenevoli, il capitano avverte subito Serse dicendo che i greci messi alle strette sono più pericolosi di quanto sembrino, e sconsiglia una battaglia frontale. Gli altri comandanti trattengono il fiato, ma Serse non prende male il consiglio, anzi applaude la sincerità di Artemisia... ma la ignora e decide di attaccare comunque.
Un grosso errore. Grazie ai trucchi di disinformazione e di controspionaggio messi in atto dall'ateniese Temistocle, i Greci hanno la meglio nella battaglia navale. Artemisia combatte coraggiosamente al timone di una delle sue cinque navi, ma rimane tagliata fuori dal contingente principale, e viene inseguita da una veloce nave ateniese. Possiamo solo ipotizzare cosa in quei momenti passasse per la testa del capitano, ma il risultato sembra sia uno stratagemma, un po' rozzo ma brillante. Il veliero di Artemisia si avventa su una trireme persiana alleata, quella di Damasatimus, re di Calinda, e la affonda, uccidendo tutto l'equipaggio (Artemisia aveva avuto precedenti scontri con Damasatimus e voleva prendere due piccioni con una fava, vendicandosi e salvandosi la vita allo stesso tempo). La nave ateniese rinuncia pertanto all'inseguimento, supponendo che la nave di Artemisia appartenesse a dei disertori. Essendo lontano, Serse invece pensa esattamente il contrario: quando vede la nave di Artemisia (riconoscibile per le particolarità della sua costruzione) affondare una nave che non riesce a identificare a prima vista, presume che la vittima sia una nave nemica. A questo punto il re persiano borbotta: «I miei uomini si comportano come donne, e l'unica donna del mio esercito si comporta come un uomo». Erodoto racconta tutta questa storia con una certa ironia, senza nascondere la sua simpatia per l'astuta Artemisia.
fonte: Jot Down
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