Ucraina: l'invasione dei capitali
- di Michael Roberts -
La scorsa settimana, i creditori privati stranieri dell'Ucraina hanno accolto la sua richiesta di congelare per due anni i pagamenti che ammontano a circa 20 miliardi di dollari di debito estero. Ciò consentirebbe all'Ucraina di evitare l'insolvenza sui prestiti contratti all'estero. A differenza di quanto accade con altre "economie emergenti" in difficoltà sul fronte del debito, sembra che gli obbligazionisti stranieri siano felici di aiutare l'Ucraina; anche se solo per due anni. Questa mossa farà risparmiare all'Ucraina 6 miliardi di dollari nell'arco di tale periodo, contribuendo a ridurre la pressione sulle riserve della banca centrale, che da un anno all'altro sono diminuite del 28%, malgrado gli ingenti aiuti esteri. Non sorprende il fatto che l'economia ucraina versi in condizioni disperate. Si prevede che nel 2022 il PIL reale diminuirà di oltre il 30%, mentre il tasso di disoccupazione è del 35% (fonti: Constantinescu et al. 2022, Blinov e Djankov 2022, Banca Nazionale Ucraina 2022). «In tempi così terribili per il nostro Paese, siamo grati per il sostegno dato dal settore privato alla nostra proposta», ha dichiarato Yuriy Butsa, viceministro ucraino delle Finanze. «Vorrei sottolineare che il sostegno ricevuto durante questa transazione non deve essere sottovalutato... Rimarremo assolutamente vincolati alla comunità degli investitori anche in futuro, e contiamo su quel che è il loro coinvolgimento nel finanziamento della ricostruzione del nostro Paese anche dopo che avremo vinto la guerra», ha aggiunto. Qui Butsa rivela quale sia stato il prezzo da pagare per questa piccola generosità dei creditori stranieri: soddisfare la richiesta sempre più pressante, da parte delle multinazionali e dei governi stranieri, di assumere il controllo delle risorse dell'Ucraina e portarle sotto il controllo del capitale straniero, senza che ci sia alcuna restrizione e limitazione. In un mio precedente intervento, avevo descritto qual era il piano per privatizzare e consegnare le vaste risorse agricole dell'Ucraina alle multinazionali straniere. Da diversi anni, esiste tutta una serie di rapporti dell'osservatorio economico dell'Oakland Institute che documenta l'acquisizione di capitali stranieri. Gran parte di ciò che segue proviene da questo Oakland Institute.
L'Ucraina post-sovietica, con i suoi 32 milioni di ettari coltivabili di ricca e fertile terra nera (nota come "cernozëm"), possiede l'equivalente di un terzo di ciò che costituisce tutta la terra agricola esistente nell'Unione Europea. Il "granaio d'Europa", come viene chiamato, ha una produzione annuale di 64 milioni di tonnellate di cereali e semi, ed è tra i maggiori produttori mondiali di orzo, grano e olio di girasole (per quest'ultimo, l'Ucraina produce circa il 30% del totale mondiale). Come ho spiegato nel mio precedente post, ad aver provocato il conflitto è stata in parte l'acquisizione pianificata delle risorse dell'Ucraina: la guerra semi-civile, la rivolta di Maidan e l'annessione della Crimea da parte della Russia. Come viene sottolineato dall'Oakland Institute, nel 2001, per limitare la privatizzazione sfrenata era stata imposta una moratoria sulla vendita di terreni agli stranieri. Da quel momento, l'abrogazione di tale norma è stata uno dei principali obiettivi delle istituzioni occidentali. Già nel 2013, ad esempio, la Banca Mondiale ha concesso un prestito di 89 milioni di dollari finalizzato allo sviluppo di un programma di rogiti di titoli di proprietà fondiaria necessari alla commercializzazione delle terre di proprietà dello Stato e delle cooperative. Secondo il testo di un documento del 2019 della Banca Mondiale, l'obiettivo era quello di «accelerare gli investimenti privati in agricoltura». Quell'accordo, denunciato all'epoca dalla Russia in quanto veniva visto come una porta di servizio per facilitare l'ingresso delle multinazionali occidentali, include anche la promozione della «produzione agricola moderna... incluso l'uso delle biotecnologie», un'apparente apertura alle colture OGM nei campi ucraini. Nonostante la moratoria sulla vendita di terreni agli stranieri, nel 2016 dieci multinazionali agricole erano già arrivate a controllare 2,8 milioni di ettari di terreno. Oggi, alcune stime parlano di 3,4 milioni di ettari nelle mani di società straniere, e di società ucraine con fondi stranieri come azionisti. Altre stime arrivano a 6 milioni di ettari. La moratoria sulle vendite, che il Dipartimento di Stato americano, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale avevano ripetutamente chiesto di rimuovere, è stata infine abrogata dal governo Zelensky nel 2020, prima ancora che si svolgesse un referendum finale sulla questione che era previsto per il 2024. Ora, con la guerra in corso, i governi e le imprese occidentali stanno intensificando i loro piani per incorporare l'Ucraina e le sue risorse nelle economie capitalistiche dell'Occidente. Il 4 e 5 luglio 2022, alti funzionari di Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna, Giappone e Corea del Sud si sono incontrati in Svizzera, per la cosiddetta URC, "Conferenza per la Ripresa dell'Ucraina". L'agenda dell'URC era esplicitamente incentrata sull'imposizione di cambiamenti politici rispetto al Paese, ovvero, «rafforzamento dell'economia di mercato», «decentralizzazione, privatizzazione, riforma delle imprese statali, riforma fondiaria, riforma dell'amministrazione statale» e «integrazione euro-atlantica». In realtà, l'Agenda era in realtà un aggiornamento della Conferenza sulla Riforma dell'Ucraina del 2018, che aveva sottolineato qual era l'importanza di privatizzare la maggior parte del settore pubblico ucraino rimanente, affermando che «l'obiettivo finale della riforma è quello di vendere le imprese statali agli investitori privati», insieme alla richiesta di ulteriori «privatizzazioni, deregolamentazione, riforma energetica, riforma fiscale e doganale». Lamentando il fatto che «il governo era il più grande detentore di beni dell'Ucraina», il rapporto sosteneva: «La riforma che doveva privatizzare le aziende di Stato è stata attesa per lungo tempo, dal momento che dal 1991 questo settore dell'economia ucraina è rimasto in gran parte invariato». L'ironia è che i piani dell'URC per il 2018 sono stati osteggiati dalla maggior parte degli ucraini. Un sondaggio dell'opinione pubblica ha rilevato che solo il 12,4% è favorevole alla privatizzazione delle imprese statali (SOE), mentre il 49,9% si oppone. (Un ulteriore 12% era indifferente, mentre il 25,7% non ha risposto).
Tuttavia, la guerra può fare la differenza. Nel giugno 2020, l'FMI ha approvato un programma di prestito con l'Ucraina, da svolgersi in 18 mesi, per 5 miliardi di dollari. In cambio, il governo ucraino dopo le forti pressioni esercitate dalle istituzioni finanziarie internazionali, ha revocato la moratoria di 19 anni sulla vendita dei terreni agricoli di proprietà statale. Olena Borodina, della Rete ucraina per lo sviluppo rurale, ha commentato che «gli interessi del settore agroalimentare e gli oligarchi saranno i primi beneficiari di questa riforma... [Tutto ciò] non farà altro che emarginare ulteriormente i piccoli agricoltori, e rischia seriamente di separarli dalla loro risorsa più preziosa». E ora, con la piena approvazione del governo Zelensky, l'URC di luglio ha ribadito i suoi piani di acquisizione dell'economia ucraina da parte del capitale. Al termine dell'incontro, tutti i governi e le istituzioni presenti hanno approvato una dichiarazione congiunta denominata "Dichiarazione di Lugano". Questa dichiarazione è stata integrata da un "Piano di ripresa nazionale", a sua volta preparato da un "Consiglio di ripresa nazionale" istituito dal governo ucraino. Tale piano prevedeva una serie di misure a favore del capitale, tra cui la «privatizzazione delle imprese non critiche» e la «concretizzazione dell'aziendalizzazione delle SOE» (imprese di proprietà dello Stato); identificata ad esempio nella vendita della società statale ucraina di energia nucleare EnergoAtom. Per «attrarre capitali privati nel sistema bancario», la proposta chiedeva anche la «privatizzazione delle SOB» (banche statali). Cercando di aumentare «gli investimenti privati e di stimolare l'imprenditorialità a livello nazionale», il Piano di ripresa nazionale sollecitava una significativa «deregolamentazione» proponendo la creazione di «”progetti catalizzatori" che sblocchino gli investimenti privati nei settori prioritari». A partire da un esplicito invito a ridurre le tutele del lavoro, il documento ha attaccato le rimanenti leggi a favore dei lavoratori in Ucraina, alcune delle quali sono un retaggio dell'era sovietica. Il "Piano di Ripresa Nazionale" lamentava pertanto una «legislazione del lavoro obsoleta che porta a complicare i processi di assunzione e licenziamento, la regolamentazione degli straordinari, ecc.» Come esempio di questa presunta "legislazione del lavoro obsoleta", il piano sostenuto dall'Occidente deplorava il fatto che ai lavoratori ucraini con un anno di esperienza venga concesso un «periodo di preavviso per il licenziamento» di nove settimane, rispetto alle sole quattro settimane della Polonia e della Corea del Sud. Nel marzo 2022, il Parlamento ucraino ha adottato una legislazione d'emergenza che consente ai datori di lavoro di sospendere i contratti collettivi. Poi, a maggio, ha approvato un pacchetto di riforme permanenti che di fatto mette fuori la stragrande maggioranza dei lavoratori ucraini (quelli delle aziende che hanno meno di 200 dipendenti) dal diritto del lavoro ucraino. I documenti trapelati nel 2021 mostrano in che modo il governo britannico abbia istruito i funzionari ucraini su come convincere un'opinione pubblica recalcitrante a rinunciare ai diritti dei lavoratori, e ad attuare politiche antisindacali. Nei documenti di formazione, ci si lamentava del fatto che l'opinione popolare nei confronti delle riforme proposte fosse in gran parte negativa, ma tuttavia venivano fornite delle strategie di messaggistica per riuscire a indurre gli ucraini a sostenerle. Mentre nella "nuova Ucraina" i diritti dei lavoratori verranno eliminati, il Piano di ripresa nazionale mira invece ad aiutare le imprese e i ricchi riducendo loro le tasse. Il piano si lamentava del fatto che il 40% del PIL ucraino provenisse dal gettito fiscale, definendolo un «onere fiscale piuttosto elevato» rispetto all'esempio della Corea del Sud. Il piano chiedeva quindi di «trasformare il servizio fiscale» e «rivedere il potenziale al fine di diminuire la quota del gettito fiscale sul PIL». In nome dell'«integrazione nell'UE e dell'accesso ai mercati», viene proposta anche la «soppressione delle tariffe, e delle barriere non tariffarie non tecniche, per tutti i beni ucraini», chiedendo al contempo di «facilitare l'attrazione degli IDE (investimenti diretti esteri), per portare in Ucraina le più grandi aziende internazionali», per mezzo di «speciali incentivi agli investimenti» previsti per le società straniere.
In più, oltre al Piano di ripresa nazionale e al briefing strategico, la Conferenza sulla Ripresa dell'Ucraina del luglio 2022 ha presentato un rapporto preparato dalla società "Economist Impact", una società di consulenza aziendale che fa parte del Gruppo Economist. "L'Ukraine Reform Tracker" spinge ad «aumentare gli investimenti diretti esteri» da parte delle società internazionali, e non a investire risorse in programmi sociali per il popolo ucraino. Il rapporto del Tracker sottolinea l'importanza di sviluppare il settore finanziario, e chiede di «rimuovere le regolamentazioni eccessive» e le tariffe. Chiede di «liberalizzare ulteriormente l'agricoltura», per «attrarre gli investimenti stranieri e incoraggiare l'imprenditoria nazionale», nonché delle «semplificazioni procedurali» al fine di «rendere più facile per le piccole e medie imprese» espandersi «acquistando e investendo in beni di proprietà dello Stato», e rendendo così «più facile per gli investitori stranieri entrare nel mercato dopo il conflitto».
L'Ukraine Reform Tracker ha descritto la guerra come un'opportunità per imporre l'acquisizione da parte del capitale straniero. «Il momento postbellico può rappresentare un'opportunità per completare la difficile riforma fondiaria estendendo il diritto di acquistare terreni agricoli a persone giuridiche, anche straniere», si può leggere nel rapporto. «Per l'agricoltura ucraina, aprire la strada al capitale internazionale, probabilmente porterà all'aumento della produttività del settore, incrementando la sua competitività nel mercato dell'UE», ha aggiunto. «Una volta terminata la guerra, il governo dovrà anche prendere in considerazione la possibilità di ridurre in modo sostanziale la quota delle banche statali, privatizzando Privatbank, il più grande istituto di credito del Paese, e Oshchadbank, che si occupa di pensioni e pagamenti sociali».
Altrove, diversamente, le politiche pro-capitale offerte dagli economisti occidentali semi-keynesiani sono meno esplicite. In una recente raccolta del Center for Economic Policy Research (CEPR), diversi economisti hanno proposto delle Politiche Macroeconomiche per l'Ucraina in tempo di guerra. In questo documento gli autori all'inizio sottolineano come «la crisi dell'Ucraina non è un contesto favorevole a un tipico programma di aggiustamento macroeconomico», vale a dire, alle solite richieste di austerità fiscale e privatizzazione del FMI. Ma dopo molte pagine, diventa chiaro che anche le loro proposte sono ben poco diverse da quelle dell'URC. E come dicono essi stessi, «l'obiettivo dovrebbe essere quello di perseguire un'ampia e radicale deregolamentazione dell'attività economica, evitare il controllo dei prezzi, facilitare l'incontro tra lavoro e capitale e migliorare la gestione dei beni russi sequestrati e di altri beni sottoposti a sanzioni». L'acquisizione dell'Ucraina da parte del capitale (principalmente straniero) verrà così completata, e l'Ucraina potrà iniziare a ripagare i suoi debiti, e a fornire nuovi profitti all'imperialismo occidentale.
- Michael Roberts - Pubblicato il 13/8/2022 -
fonte: Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist
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