La rottura necessaria
- di Tomasz Konicz - 12.08.2022 -
Per le sue azioni future, il movimento per il clima ha bisogno di tutele nelle sue azioni contro il capitalismo.
Il movimento per il clima non deve temere di essere accusato di radicalismo. Viste le dimensioni civili assunte dalla crisi climatica, la soluzione di questo mostruoso problema rappresenta una questione di pura volontà collettiva di sopravvivenza. È evidente che il capitalismo globale, nella sua illimitata compulsione alla crescita, non è in grado di ridurre le emissioni e il consumo di risorse. Empiricamente, tutto questo è stato già dimostrato da tempo, dato che nel XXI secolo le emissioni globali di CO2 hanno potuto essere ridotte solo per brevi periodi, a costo di crisi economiche globali, per poi aumentare ancora più rapidamente in seguito alle successive misure di stimolo economico. Per questo ciclo irrazionale di valorizzazione, il mondo intero viene trasformato in in mero combustibile. Per di più, dal momento che il lavoro salariato costituisce la sostanza del capitale, l'aumento della produttività aumenta ulteriormente la fame di risorse da parte della macchina del profitto capitalista, e ciò perché il valore di ogni merce diminuisce, e perciò di conseguenza si devono produrre ancora, e sempre più, merci per poter riuscire a completare con successo il ciclo della valorizzazione (da qui l’ulteriore crescita della tendenza a produrre sempre più prodotti in modo che si deteriorino e/o si guastino più rapidamente). La crisi climatica, è una crisi climatica capitalista. Se il capitale non verrà superato, non abbiamo alcuna speranza di evitare l'imminente catastrofe climatica.
Essere radicali significa innanzitutto dire le cose come stanno. La lotta contro la crisi climatica capitalista va condotta senza paraocchi, tenendo conto del fatto che il tempo a disposizione si sta rapidamente esaurendo. Bisogna dire apertamente alla gente che una sostenibile protezione del clima - cioè l'uscita dalla crisi climatica - è possibile solo se si supera la coazione capitalistica alla crescita. Pertanto, la lotta per il clima va combattuta come una lotta per la trasformazione in una società post-capitalista. Superare la vigente coercizione Amok alla valorizzazione del capitale è il minimo indispensabile.
Dovrà essere questo percorso ad aprire il dibattito che riuscirà a rompere quell'anatema ideologico che rende ora impossibile discutere di alternative sistemiche. Ma in realtà la maggior parte delle persone oggi ha cominciato a sospettare che il tardo capitalismo sia diretto verso l'abisso; a partire dal fatto che l'apocalisse è onnipresente nell'industria culturale, tanto nei film come nei giochi per computer. La difficoltà sarà piuttosto quella di convincere le persone che stanno cadendo nella rassegnazione che alla fine il collasso del clima, ivi inclusa l'apocalisse, non è inevitabile. Pretendere una trasformazione del sistema porrà fine anche all'opportunismo dilagante dei Verdi e del Partito della Sinistra, i quali vedono ancora nella crisi climatica solo un veicolo per i sogni di una carriera nell'amministrazione della crisi.
Cosa significa una politica climatica anticapitalista?
La visione apparentemente astratta di una società post-capitalista rispettosa del clima e del risparmio delle risorse, nasce dalla necessità concreta di proteggere il clima. Le esigenze di una politica climatica anticapitalista, non devono necessariamente legarsi alla logica coercitiva irrazionale di un capitalismo tardivo, in erosione e malato; devono essere invece guidate dalle oggettive necessità scientifiche di una protezione del clima e dalle possibilità tecnologiche della società. Così facendo, le forze produttive che il capitalismo ha prodotto finiranno per rompere le catene delle relazioni di produzione capitalistiche.
In termini concreti, questo significa anche affrontare le attuali preoccupazioni dei lavoratori salariati: l'argomento dominante della preservazione del posto di lavoro nelle industrie fossili va contrastato, ad esempio, dicendo che la riproduzione degli individui non dovrebbe più essere legata alla riproduzione del capitale nei suoi posti di lavoro. Poiché questo pone i salariati del tardo capitalismo di fronte alla tragica scelta tra la sopravvivenza sociale e la minaccia del collasso climatico. La stessa cosa vale anche per le raccomandazioni relative alla sostenibilità finanziaria delle misure di protezione del clima, le quali andrebbero contrastate intensificando e ampliando il dibattito sulla socializzazione e sull'esproprio.
I condizionamenti ideologici imposti dal capitale nell'era neoliberale, andranno invece contrastati a partire dai vincoli assai reali dettati dalla protezione del clima. Una simile politica climatica trasformativa, in grado di collegare delle azioni concrete alle richieste in grado di andare chiaramente al di là della logica del capitale, equivarrebbe così a una prima fuga dalla prigione capitalista del pensiero.
Ma cos'è che dev'essere realmente superato? Di fronte alle dinamiche intrinseche del capitale, che si sviluppano attraverso il mercato, persino i più potenti capitalisti rimangono impotenti. L'incontrollabile auto-movimento del denaro, che funziona come capitale nelle sue forme di merce, denaro e forza lavoro, viene chiamato feticismo. Ed è per questo che i capitalisti non possono «salvare» il mondo, per quanto, in ultima analisi, l'imminente collasso sociale ed ecologico minaccia anche i loro affari. Poiché è proprio questa dinamica di valorizzazione, prodotta inconsapevolmente dai soggetti del mercato, a devastare le impotenti società umane insieme all'ecosistema globale. A partire da tutto questo, l'osservazione di Marx - apparentemente criptica - secondo la quale il superamento del capitalismo avrebbe completato «la preistoria della società umana» acquista chiarezza. Tutta la storia umana precedente si è svolta inconsapevolmente all'interno di quelli che sono stati dei sistemi sociali feticistici: dal feticismo religioso dei primordi a quello del Medioevo e fino alla religione secolarizzata del capitale.
La crisi sistemica del capitale è irreversibile.
Superare questo stato di cose significherebbe semplificare la riproduzione sociale. L'organizzazione della società avverrebbe pertanto direttamente, attraverso un processo egualitario e di condivisione tra i membri della società. Quest'obiettivo dovrebbe emergere e manifestarsi anche nella struttura organizzativa del movimento di trasformazione che pianifica la sua azione in un dibattito aperto; nel mentre che simultaneamente elabora e prepara il futuro post-capitalista.
Ed è qui che si trova il nocciolo della questione: la crisi sistemica è allo stesso tempo anche un processo irreversibile e feticistico, dal momento che in seguito a essa il capitale soffoca le proprie crescenti contraddizioni economiche ed ecologiche, e ne esce trasformato. Se il sistema che sta crollando verrà superato, non sarà questione di una volontà soggettiva dei membri della società. A essere in gioco è la sopravvivenza stessa della civiltà umana, e in ultima analisi dell'esistenza umana, si tratta di sapere in che modo procederà l'imminente processo di trasformazione: se come una disintegrazione caotica, o sotto forma dell'instaurazione di una brutale dittatura della crisi, oppure in una direzione progressiva che riesca ad aprire nuove prospettive emancipatorie per l'umanità, nonostante tutte le distorsioni legate al clima che ci attendono. La scommessa si gioca intorno a una lotta sul processo di trasformazione del sistema.
Ma a parte questo, un tale processo di trasformazione è già in atto, e i crescenti conflitti politici, ideologici - e anche militari - sono proprio l'espressione di questa convulsione che si sta inconsapevolmente verificando nell'umanità. Civiltà o barbarie: sono questi i poli estremi dell'attuale storica «fase di transizione». La lotta trasformatrice per un futuro post-capitalista degno di essere vissuto, dovrà costituire il denominatore comune a molti movimenti e lotte apparentemente eterogenei.
Nella misura in cui il sistema si trova in convulsione, e le strutture sociali che sono state precedentemente fissate - a partire dallo Stato che si sta erodendo, dal sistema di coordinamento politico che si sta disintegrando, dall'economia che si sta sgretolando - si stanno in qualche modo dissolvendo, mentre le azioni collettive assumono un'influenza sempre maggiore nel plasmare il futuro, rispetto a quei periodi in cui il capitalismo sembrava più stabile. La politica borghese, le azioni dei soggetti politici, tornano pertanto a essere di nuovo importanti, ad avere un peso. Non perché risolvano la crisi, ma perché possono determinare il corso della crisi. Sapere che alla Casa Bianca ci sia Donald Trump o Bernie Sanders è certamente rilevante per il decorso del processo di crisi.
I compiti dei movimenti radicali.
Compito dei movimenti radicali, quindi, è quello di comprendere in che modo, perfino le decisioni apparentemente riformiste possono determinare il percorso del processo di trasformazione e posizionarsi di conseguenza. Anche rispetto a questo, è importante ribadire la necessità di trasformare il sistema, in modo da riuscire così finalmente a radicare un dibattito sulle alternative sociali alla società vista nel suo complesso. Sotto questo aspetto, persino movimenti di protesta come i Venerdì del Futuro e come le rivolte della «Primavera araba» si assomigliano, in quanto possono scoppiare spontaneamente nel momento in cui si oltrepassano i punti di rottura sociali. Tuttavia, questi movimenti assai diversi tra loro, emersi come reazione allo stesso processo di crisi socio-ecologica, possono intraprendere un percorso emancipatorio solo se sostenuti da un'adeguata consapevolezza della crisi ampiamente radicata nella società.
Comprendere la crisi in quanto massima espressione di una pratica emancipatrice, significa quindi chiedersi in che modo la società tardo-capitalista entrerà nell'inevitabile processo di trasformazione. Se dovrà essere un'oligarchia autoritaria, razzista, gestita da uno Stato di polizia con assurdi divari sociali, nella quale l'industria dei combustibili fossili controlla i suoi partiti, o se sarà una comunità democratica borghese più egualitaria dove rimane spazio per la critica e la prassi radicale? Un movimento progressista, sorretto dalla percezione della necessità di trasformare il sistema, cercherebbe quindi di stabilire delle condizioni che possano guidare in una direzione emancipatrice questa dinamica di trasformazione. La finalità di una simile post-politica consisterebbe, da un lato, nello sforzo di mantenere e sviluppare il processo di civilizzazione e, dall'altro, nella lotta per superare le dinamiche distruttive insite nel capitale.
Nel XXI secolo, nell'attuale epoca di sconvolgimenti e crisi, esiste una regola della prassi politica che i movimenti, i gruppi, o persino i partiti di sinistra devono seguire, se vogliono agire come forze sociali progressiste. Il capitalismo va fatto passare alla storia il prima possibile: la relazione di capitale, in quanto totalità sociale, dev'essere abolita, coscientemente, e tutte le azioni pratiche, tutte le tattiche, tutte le proposte di riforma, tutte le più ampie strategie generali devono essere guidate da questo imperativo categorico.
Questa non è la manifestazione di un «radicalismo» di sinistra, ma solo una formulazione di quel minimo ragionevole, medio e moderato, senza la cui realizzazione il processo civilizzatore finirebbe per concludersi nella barbarie del XXI secolo. Il capitale dev'essere superato proprio perché è al collasso. Il progresso può essere realizzato solo andando al di là del capitale, attraverso una lotta di trasformazione per organizzare una società post-capitalista.
- Tomasz Konicz - 12.08.2022 -
Fonte: Tomasz Konicz Nachrichten und Analysen: Wertkritik, Krise, Antifa
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