« Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi, si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco ».
A chi non è mai capitato? Davvero, a chi?
Si esce da un incubo e ci si sveglia ... ancora nell'incubo. E poi che succede?
Non si è più quelli di una volta, adesso siamo una cosa orribile, che striscia, una cosa pietosa, meno che umana.
Una cosa, vale a dire qualcosa che di voi qualcun altro ha detto, ha pensato, ha voluto.
Sei stato un uomo, o una donna e poi ti svegli... scegli tu quello che sei diventato.
Gli attributi umani - egli, lui - sono spariti: ora c'è solo un «esso», qualcos'altro, qualcosa di oscuro, di disgustoso, qualcosa che fa orrore, che fa ridere, sghignazzare e tu sei quello, nient'altro che quello.
Tra gli altri che ti vedono, c'è anche chi fa finta che non sia successo niente, chi si comporta come se non fosse successo nulla.
Poi invece ci sono quelli che, al contrario (al contrario?), ti vedono proprio come «esso», ti scambiano per «esso», ti identificano, ti chiamano «esso», e ti respingono sempre più e sempre più lontano...
Ma ci si può credere, che si sia diventati davvero «esso»? Oppure no? E allora, che cosa?
La Metamorfosi, ovvero l'invenzione di un mito moderno: una storia che riesca a dare forma alla nostra angoscia e che interpreti - che possa interpretare - quel che ci sta accadendo, quel che sta succedendo proprio a noi che oggi viviamo quaggiù tutti insieme. Chiunque può cadere fuori dall'umanità, qualsiasi di noi può essere minacciato dalla definizione, dalla riduzione, dall'esclusione, dalla «categoria, dalla scatola e dalla casella». L'«identità» diventa una cosa gravosa, pesante e pericolosa non appena dimentichiamo che si tratta solo di un bricolage perpetuo, fabbricato per mezzo di dettagli sempre singolari, con date & luoghi, con cieli & musica, e genitori, e amici, e nemici, e scuole & pietanze.
La forza e l'ostinazione che ha Kafka nell'affermare costantemente che esiste una sola identità, quella umana, per quanto si possa essere accusati ingiustamente, banditi dal padre o partiti per cercare lavoro lontano dal proprio paese... Ma a tutto questo si accompagna anche un'estrema tolleranza verso ciò di cui si è fatti: sé stessi e gli altri. Così, quando il suo giovane amico Janouch gli dice - ritenendo indubbiamente di essere ironico - a proposito dei suoi colleghi apprendisti poeti, che uno di questi scrive solo su carta assai fine; ecco che Kafka non se ne prende affatto gioco, bensì si limita a commentare:
« Ha ragione. Ogni mago ha un suo cerimoniale. Haydn, per esempio, componeva solo indossando una parrucca solennemente incipriata. La letteratura è appunto un modo di evocare gli spiriti ».
fonte: Leslie Kaplan
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