giovedì 18 agosto 2022

Quei tre nomi …

Nel 2001, César Aira pubblica "Las tres fechas" - un saggio che analizza l'opera di tre oscuri autori, Denton Welch, Paul Léautaud e J.R. Ackerley - dove verifica l'ipotesi secondo la quale «per essere rappresentativo di un'epoca» l'autore dev’«essere minore» (riprendendo così in qualche modo, in campo letterario, quello che Ginzburg definiva nel «paradigma indiziario» come il momento in cui l'artista si rivela, allorché non presta attenzione al processo tecnico; un po' come quando Morelli analizza nei dipinti le orecchie e le dita dei piedi). In Aira, la teoria delle «tre date» consiste nel distinguere tre momenti, interconnessi tra loro ma indipendenti: la scrittura del libro, la sua pubblicazione e gli eventi che si svolgono all'interno della trama.

Trent'anni prima, nel 1971, Barthes aveva pubblicato "Sade, Fourier, Loyola", il cui gesto principale era consistito nel riunire in un'unica «frase» il libertino (1740-1814), il filosofo utopista (1772-1837) e il santo gesuita (1491-1556). Il filo che cuce e lega insieme il trio, è il linguaggio: Barthes sostiene che tutti e tre sono stati dei «fondatori di linguaggi», «il linguaggio del piacere erotico, il linguaggio della felicità sociale, il linguaggio dell'interpello divino». E per quanto Barthes si concentri anche sulle «biografie» che raccoglie, a regolare il commento non sono tanto le coincidenze biografiche, quanto piuttosto la possibilità di assumere i tre autori come se fossero dei «classificatori», dei «formulatori», degli «inventori della scrittura, operatori del testo» (vale la pena analizzare, nella prospettiva di Barthes, ciò che essi mettono in atto per mezzo del linguaggio, e non ciò che la «Storia» ha fatto di loro).

Probabilmente, alla base del progetto di Barthes c'è, tra i tanti elementi, il libro che Ferdinand Lion (1883-1968) pubblicò nel 1949, "Fonti vitali nella metafisica francese: Cartesio, Rousseau, Bergson" (Lebensquellen französischer Metaphysik, tradotto dal francese al tedesco da Ruth Gillischewski, sebbene non si riesca a trovare alcuna edizione "originale" francese - la traduzione italiana, di Luciano Anceschi, esce nello stesso anno 1949 da Bompiani, "Cartesio, Rousseau e Bergson. Saggio di storia vitalista della filosofia" (che Barthes abbia letto l'edizione italiana, con i tre nomi posizionati davanti al titolo?). Lyon scrisse anche su Döblin e Thomas Mann, dei quali era amico, e curò la rivista svizzera "Mass und Wert", sulla quale pubblicò, nel 1938, un testo di Walter Benjamin sull'Istituto per la ricerca sociale di Adorno e Horkheimer.

fonte: Um túnel no fim da luz

Nessun commento: