L'attore dimenticato in un cimitero
- di Andrea Balzanetti -
Cosa hanno in comune i grandi poeti inglesi Shelley e Keats, gli scrittori Andrea Camilleri e Carlo Emilio Gadda, gli intellettuali del pensiero politico Antonio Gramsci ed Emilio Lussu, con il semidimenticato attore americano Frank Wolff? Riposano tutti nel piccolo Cimitero Acattolico di Roma, all’ombra della piramide Cestia.
Una scoperta fatta per caso, durante una passeggiata in zona Testaccio in una giornata estiva, per cercare riparo dal caldo e dai rumori del traffico. Per caso. Perché facendo un giro tra le tombe monumentali che caratterizzano il cimitero, mi è capitato di imbattermi in una semplice lapide a terra, con i caratteri ormai quasi illeggibili, alla base di un altissimo pino. Solo un nome: Frank Wolff. Nessuna data e nessun ornamento.
Per avere la sicurezza di aver trovato la tomba dell’attore che interpretò il Gaspare Pisciotta di Francesco Rosi, il Galeazzo Ciano di Carlo Lizzani e soprattutto il Brett McBain di Sergio Leone, la via più breve è quella di chiedere alle guide, visto che il nome Wolff non è nemmeno segnalato tra gli “ospiti” illustri del cimitero.
«È la prima volta che sento questo nome – risponde perplessa una di loro - l’unico attore segnalato è quello di Belinda Lee, morta a 25 anni in incidente stradale in California e sepolta a Roma per il suo legame con il regista Gualtiero Jacopetti».
Insomma, non Greta Garbo o Anna Magnani, ma una non indimenticabile attrice che però merita un posto tra le celebrità del cimitero.
Il passaggio successivo è negli uffici, e qui, dopo una ricerca sul computer, è saltato fuori che si trattava davvero dell’attore americano: «Questo Frank Wolff sepolto nella zona 1, row 16, plot 50 – spiega burocraticamente uno dei dipendenti dopo aver trovato la pratica – risulta essere nato l’11 maggio 1928 a San Francisco e morto a Roma il 12 dicembre 1971». Le date corrispondono. È l’attore americano, il testardo irlandese McBain che nel capolavoro di Sergio Leone "C’era una volta il west" aveva trovato l’acqua nel deserto nella sua fattoria Sweetwater, proprio dove sarebbe passata la ferrovia. E per questo verrà ucciso con i tre figli da uno spietato Frank-Henry Fonda, lasciando vedova Jill-Claudia Cardinale.
A ricostruire l’ultimo giorno di Wolff ci aiutano Wikipedia e qualche vecchio ritaglio di giornale. Si suicidò a Roma appunto il 12 dicembre 1971, tagliandosi la gola nel bagno di un residence, a pochi passi dall’hotel Hilton. Da tempo vittima di una profonda crisi depressiva, l’attore era separato dalla moglie Alice Campbell che viveva come lui nella Capitale. Secondo un’ipotesi, Wolff si sarebbe ferito una prima volta con una lametta di rasoio. Fallito il primo tentativo, l’attore ne avrebbe presa una seconda con la quale si sarebbe reciso la carotide. Questa seconda ferita provocò un’anemia cerebrale che lo portò alla morte in breve tempo. Un’amica austriaca di 24 anni rinvenne il cadavere e si ipotizzò che l’amore non corrisposto per la giovane potesse aver contribuito al gesto fatale di Wolff, già sofferente di esaurimento nervoso da diverso tempo, dopo che la moglie lo aveva lasciato per un altro uomo. Dopo aver ricostruito vita, opere e morte di questo talentuoso ma sfortunato attore americano, mi sono permesso di lasciare un foglietto per le guide “ignoranti”. Con questo testo:
«Quando ti chiedono di Frank Wolff non rispondere: “Non lo conosco”. Ma, immaginando di essere seduto su un calesse con a fianco Jill mentre stai per fare l’ingresso nella Monument Valley con sottofondo musicale di Ennio Morricone, rispondi con la voce del vecchio burbero Sam-Paolo Stoppa: “McBain? Ma certo quel testone rosso di irlandese, quello che coltiva la sabbia in mezzo al niente. Sweetwater ahaha. Solo un matto come lui poteva battezzare dolce acqua quel pezzaccio di deserto rosso”».
- Andrea Balzanetti - fonte: Ciakmagazine.it -
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