«Fuori cadeva fitta la neve ... Dalla Vistola soffiava un vento gelido, ma nella casa di studio ardeva la stufa di terracotta. I mendicanti arrostivano patate sulle braci. I ragazzi che studiavano di notte ... ascoltavano le storie». Da suo padre ne ha ascoltate, di storie, il piccolo Isaac – e da quelle sono poi nate le sue. In questi ipnotici racconti il narratore incantato che è Singer porge orecchio alle voci di altri narratori incantati, che a loro volta aprono squarci su vicende, esistenze, universi interi. Sfilano così personaggi indimenticabili: dall’ex attore amico di Kafka allo spazzacamino che indovina i segreti di tutti, dalla donna dagli «occhi gialli» che attira su di sé le disgrazie a quella che è convinta di aver visto Hitler in una tavola calda di Broadway, dal rabbino in collera con Dio per la sofferenza che infligge agli uomini al professore il cui funerale viene accompagnato dai colombi che aveva sempre nutrito... Sullo sfondo, le strade, profumate «di panini appena sfornati, bagel, latte bollito e aringhe affumicate», del quartiere ebraico di Varsavia, o quelle polverose delle torride estati newyorkesi, e le sinagoghe, i bordelli, le case dei ricchi e i tuguri dei poveri, i villaggi e le grandi città: mondi che Singer fa rivivere sotto i nostri occhi con una capacità evocativa che è soltanto sua.
(dal risvolto di copertina di: Isaac Bashevis Singer, "Un amico di Kafka". Adelphi, pp. 338, 21€)
La zitella veste seta e chiffon anche per la terra del cimitero
Mariti chini sulla Torah e mogli sensuali, attori pettegoli, nostalgici.Ventuno storie yiddish ambientate fra la Polonia, New York e Israele
- di Enrico Arosio -
Jacques Kohn si chiamava Jacques per far scena. Non era certo un damerino di Parigi. Il nome vero era Jankel, era cresciuto in una famiglia di ebrei hassidici della provincia polacca, e tutto il suo look - diremmo oggi - recitava una parte simpaticamente fasulla: monocolo, scarpe di vernice, bombetta. A Varsavia. al circolo degli scrittori yiddish, gli piaceva primeggiare chiacchierando. Però era vero che aveva vissuto a Vienna, Berlino e Parigi. E che aveva conosciuto diverse celebrità: da Marc Chagall a Stefan Zweig a Franz Kafka. Di Kafka sapeva tante cose. Vere, false, fantasiose; tipo il giovane Franz che scappa dal bordello terrorizzato. Jacques Kohn le spifferava a a chiunque volesse udirle. Magari, ecco, in cambio di qualche moneta, perché troppo spesso era a bolletta.
"Un amico di Kafka" s'intitola la fascinosa raccolta di Isaac Bashevis Singer che Adelphi ripubblica nella traduzione vivacissima di Katia Bagnoli, a quasi mezzo secolo dalla prima edizione Longanesi. Il libro era uscito a New York nel 1970, otto anni prima che l'autore ebreo polacco emigrato negli Stati Uniti vincesse il premio Nobel. Il secondo dei fratelli Singer (non dimentichiamo Israel J. Singer, l'autore della saga "I fratelli Ashkenazi") era, della forma racconto, un autentico maestro. Un Meister sopraffino della forma breve, come lo sono stati Kafka, appunto, o Gogol', o Julio Cortazar, o Raymond Carver. Ricordiamolo ai distratti: Isaac B. Singer scriveva in yiddish, la lingua ibrida degli ebrei dell'Est Europa: su base tedesca, con elementi ebraici e slavi. Anzi, tutte le versioni in lingua inglese dei suoi romanzi e racconti che gli diedero fama mondiale, furono dai lui approntate in collaborazione con traduttori di sua fiducia. E che traduttori! Per dire, fu Saul Bellow a tradurre in inglese "Gimpel l'idiota" (1957), uno dei suoi capolavori. Riassumendo: Singer fu per tutta la vita uno scrittore yiddish; e per il lettore che ha la fortuna di sapere il tedesco è un piacere impagabile registrarne le tracce, in quella prosa così ricca di umanità, di umorismo, di sensibilità laiche e religiose tessute in un groviglio morale inestricabile. Come dice l'amico di Kafka a proposito del Libro di Giobbe: «Perché Giobbe continua a vivere e soffrire? La risposta è: per il gusto del gioco. Tutti giochiamo a scacchi con il Destino. Lui fa una mossa, noi ne facciamo un'altra».
Ma non è solo il linguaggio che affascina in Singer. Prima di tutto c'è la sua capacità di ricostruire un mondo in tutta la sua ricchezza atmosferica, spirituale, corporea, carnale. Anzi, due mondi: quello della vita e cultura ebraico orientale della Polonia e Galizia ante 1939; e quello degli ebrei che per sfuggire al nazismo e allo stalinismo si accasarono negli Usa, e in specie a New York. In questo volume, due terzi circa dei racconti sono ambientati in Polonia, un terzo a New York, uno in Israele e uno, stupendo, La Colonia, in Argentina, dove il conflitto tra fedeltà alle radici e assimilazione (come potevano dei poveri ebrei pii cresciuti in un shtetl galiziano diventare contadini argentini cotti dal sole?) è trattato in toni alti e commoventi: «C'era qualcosa di biblico in quell'abbandono delle proprie origini, nell'oblio degli sforzi dei padri. Per quella generazione avvelenata ci sarebbe voluto un profeta, non uno scrittore come me». Non a caso, in questi ventuno racconti, il narratore in prima persona è spesso uno scrittore. È facile intravederci qualcosa di Singer, uno story teller primigenio, direi sorgivo, come una fonte nel deserto più ostinata di ogni siccità. Sempre ritorna, in queste storie, il conflitto tra Est Europa e Occidente. Ovvero: la memoria, la nostalgia, la terra natia; la lotta tra tradizione e modernità, tra saggi e shlemiel (inetti, sciocchi, sfortunati); tra il dettame dei testi sacri e la realtà spiccia del corpo, del conflitto psicologico, dell'arte stessa di sopravvivere. I «tempi nuovi» lamenta una figura femminile, «erano già cominciati. Quando erano cominciati? Le uova erano diventate più intelligenti delle galline». E qui va richiamato un tema fondamentale che ispira i racconti di "Un amico di Kafka": i personaggi femminili. Un formidabile campionario di varietà umane, tenero e spietato, che non teme e non censura la trasgressione. Cosa non sa inventare Singer!
C'è Adele, protagonista di L'elegantona. magra, scura, piatta, nervosa. E zitella (nel 1970 si poteva ancora scrivere senza essere assaliti dal Me Too...). Adele non ha mai voluto toccare un uomo; per una vita intera il suo massimo piacere è stato accarezzare sete e chiffon, acquistare pellicce e cappellini alla moda. La gioia di vestirsi prima di ogni altra, fin sotto la terra grassa del cimitero. C'è zia Itte Fruma, che s'insedia a tradimento nella famiglia del fratello, bombardandola di trovate, regalini, scemenze, fantasie. C'è Bessie Popkin, anziana emigrée sciatta e difficile, sperduta nelle strade di New York, che infine incontra la bontà, ed è un miracolo. C'è Nechele, giovane moglie scorbutica e sensuale, che nella Galizia d'anteguerra fa uscire pazzo l'esangue maritino Oyzer, uomo pio sempre chino sulla Torah, tanto che alla fine - be', non lo raccontiamo qui. C' la misteriosa, solitaria Esther, che fa girar la testa a tutti gli avventori de La tavola calda, nell'Upper West Side. E che dire di Manya del racconto I poteri, bella, superstiziosa e pazza come una zingara, che cucina pietanza afrodisiache e a letto si agita come una tigre? Non mancano rimandi godibili, per atmosfere e personaggi, a un romanzo geniale come Il mago di Lublino, il peccatore che diventa asceta. E in certe storie newyorkesi si respira l'aria di Chiamalo sonno, il romanzo-fiume di Henry Roth del 1934, un caposaldo del Novecento americano. Forse, nelle ultimi cinquanta pagine, di incontra qualche ripetizione, un senso di già letto e di già visto. Ma per l'ottanta per cento il libro è più che godibile: adorabile. C'è tanta e calda umanità, pur nella confusione delle vicende umane, sotto lo sguardo di Dio che a volte protegge, a volte punisce, e mai scompare.
- Enrico Arosio - Pubblisato su Tuttolibri del 4 giugno 2022 -
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