Nel «paese della tranquillità e della libertà», tra Ginevra (Les Délices) e Losanna (Montriond), Voltaire ha finalmente agio di sistemare i propri affari e di allestire la prima edizione completa delle proprie opere presso gli editori ginevrini Cramer. Sono gli anni memorabili della Pucelle d’Orléans (1755), del Poème sur le désastre de Lisbonne, dell’Essai sur les moeurs (1756), di Candide (1759), e ancora della collaborazione all’Encyclopédie di d’Alembert e Diderot, dell’articolo Genève di d’Alembert, della polemica con i pastori ginevrini e con Rousseau, delle imprese di Federico il Grande nella Guerra dei Sette Anni. All’antologia di lettere del periodo svizzero (1754-1760), curata da Carlo Caruso, che rende conto della varietà dei temi e della vivacità dello stile epistolare volteriano, si accompagna l’ampio saggio introduttivo di Franco Monteforte che ricostruisce l’intero arco storico del rapporto di Voltaire con Ginevra e la Svizzera, compresi gli anni di Ferney (1760-1777), entro cui le lettere acquistano tutta la loro importanza di brillante documento di un capitolo cruciale della civiltà europea, alla vigilia della Rivoluzione francese.
(dal risvolto di copertina di: "Voltaire. Gli anni in Svizzera", A cura di Franco Monteforte e Carlo Caruso. Armando Dadò Editore, pagg. 800, CHF 30)
La sera del 13 ottobre 1761 il primogenito del commerciante calvinista Jean Calas si suicida nella casa di famiglia a Tolosa. Il padre, anche sulla base di pettegolezzi del vicinato, viene accusato di omicidio, torturato e condannato all'altroce supplizio della ruota. Voltaire, che fiuta nel caso l'errore giudiziario e il fanatismo religioso, si occupa della vicenda con una serie di scritti e ne ottiene la riabilitazione. Questa edizione propone una nuova versione del celebre Trattato sulla tolleranza, condotta per la prima volta sul testo critico pubblicato nelle Oeuvres complètes de Voltaire della Voltaire Foundation di Oxford, e la traduzione dei più significativi scritti voltairiani che lo hanno preceduto e seguito. Sono inoltre proposti qui per la prima volta in italiano i testi attribuiti alla vedova e a due figli di Calas, ma concepiti e scritti dal patriarca dei Lumi sulla base delle informazioni giunte via via in suo possesso.
(dal risvolto di copertina di: "Voltaire. Il caso Calas", A cura di Domenico Felice. Marietti 1820, pagg. 360, € 25)
Vado in Svizzera a fare LA RIVOLUZIONE
- di Ernesto Ferrero -
Per chi non abbia una conoscenza almeno discreta della vita e delle opere di Voltaire può apparire singolare che tra il 1754 e il 1760 egli firmi molte delle 4.600 lettere che scrive “lo Svizzero Voltaire” o “il piccolo Svizzero V.” Era arrivato sul Lemano in compagnia della nipote M.me Denis, badante-amante. Aveva appena rotto con Federico II, in cui pensava di aver trovato modello di re filosofo («Un uomo raro, che è bene frequentare a distanza»). Voleva tornare a Parigi, ma si scontra con il divieto di Luigi XV, che interpreta Il secolo di Luigi XIV come una critica implicita del suo. «Se non appartengo a Parigi, apparterrò all’Europa», risponde lui sprezzante, e così farà.
Si è orientato verso Ginevra (24mila anime), che vagheggia come una saggia e tollerante «repubblica delle api» per le sue libertà repubblicane e perché vanta ottimi editori, in primis i Cramer, presso i quali avrebbe potuto stampare le sue opere complete, seguendole di persona. Accolto con deferente entusiasmo, acquista una bella villa sulle colline della città, la restaura, si diverte a dotarla di raffinati giardini e frutteti, la ribattezza “Les Délices”. L’eterno malato si dipinge come un povero vecchio alla fine dei suoi giorni, ma sprizza vitalità creativa, piacere di vivere, combattività. Noto sino ad allora principalmente come poeta e drammaturgo, intraprende un ciclo di maestose opere storiche come l’Essai sur les moeurs (1756), romanzi-apologo di immediata fortuna (Candide, 1759), intense collaborazioni all’Encyclopédie e una fitta pubblicistica d’assalto affidata a brochures spesso anonime o, se firmate, da lui attribuite maliziosamente alle iniziative piratesche di qualche editore. Non esistendo diritto d’autore, la deregulation può anche avere dei vantaggi per chi, come lui, non intende ricavare profitti dalla propria opera intellettuale ma farla arrivare ovunque, essendo già ricchissimo per conto suo come finanziere di consumata abilità: un George Soros d’antan. La sua vera ambizione sembra tuttavia un’altra: fare di Ginevra uno dei centri dell’illuminismo europeo, che abbia lui come punto di riferimento. La città non è più quella rigida e puritana di Calvino, la stessa teologia si era orientata in senso liberale, ma la struttura sociale resta chiusa in caste. Il potere reale è concentrato nelle mani di un Petit Conseil appannaggio di poche grandi famiglie dicitoyens, che tengono a freno le ambizioni dei bourgeois commercianti e banchieri, ed escludono i natifs, operai e piccoli artigiani, senza diritti politici e vessati dalla fiscalità. Cosa fa Voltaire? Prima inneggia al clima idilliaco che crede d’aver trovato: qui «le classi sono uguali, gli uomini fratelli/ Libertà, libertà, è qui il tuo trono», canta in un poemetto. Poi fa scrivere per l’Encyclopédie a d’Alembert un articolo di schietto elogio sulla città, di spropositata lunghezza, in cui i pastori sono dipinti molto più aperti e antidogmatici di quel che sono. Non solo: nel suo Essai sollecita un’esplicita condanna dello spirito «tirannico, altero e sanguinario» di Calvino, responsabile della condanna del presunto eretico spagnolo Serveto. Con l’elogio del clero ginevrino in realtà vuole polemizzare con l’intransigenza di quello cattolico a Parigi, ma il progetto non decolla. Gli stessi moderati devono prendere le distanze, e un po’ dappertutto le reazioni sono tali che d’Alembert, a disagio negli scontri politici, si dimette dalla direzione dell’Encyclopédie. Diderot si irrita con lui e con Voltaire. L’intera grande impresa, arrivata al settimo volume, deve sospendere le pubblicazioni e ripensare le sue strategie per eludere censure e sequestri.
C’è un’altra battaglia parallela che Voltaire conduce per fare di Ginevra una città modello: quella di potervi aprire un teatro, attività praticata in privato (dove lui è maestro, amando recitare personalmente le parti del vecchio), ma vietata in pubblico in quanto considerata foriera di una insanabile corruzione dei costumi e delle antiche virtù repubblicane. A sostenere questo indirizzo un po’ retrivo e bigotto compare anche Rousseau, che pure nel frattempo ha pubblicato opere “eversive” come il romanzo pedagogico l’Émile e il Contratto sociale. Voltaire non glielo perdona, volano insulti pesantissimi.
Deluso dalle posizioni troppo caute degli amici ginevrini che pure l’avevano sostenuto e protetto, nel 1760 riacquista la sua libertà di manovra trasferendosi in terra di Francia, a Ferney, a poche miglia da lì. Il sostenitore di un dispotismo illuminato finisce per aprirsi al repubblicanesimo, si fa paladino dei diritti conculcati dei natifs e ospita una comunità di bravi artigiani fuoriusciti in quello che diventa il laboratorio di un singolare esperimento riformatore.
La complessa tragicommedia socio-cultural-politica che ha il suo epicentro in Ginevra e ha ripercussioni in mezza Europa, è ricostruita egregiamente nel volume pubblicato dall’editore locarnese Armando Dadò. Carlo Caruso, docente all’Università di Siena, ha selezionato e tradotto 135 lettere del periodo svizzero (tra i tanti, a d’Alembert, Diderot, Algarotti, Federico II, M.me du Deffand), in cui l’inimitabile mattatore recita con astuta, avvolgente sapienza.
L’introduzione dello storico valtellinese Franco Monteforte è in realtà un volume a sé di 440 pagine che fornisce ogni possibile approfondimento e inquadramento. E può concludere che Voltaire e Rousseau tiravano dalla stessa parte: avevano attivato un laboratorio di idee libertarie che è il vero semenzaio della Rivoluzione. Al periodo svizzero appartiene un’altra opera capitale, nelle battaglie volterriane: quel Trattato sulla tolleranza (1762) che affronta il caso del commerciante Jean Calas, condannato al supplizio della ruota a Tolosa per un delitto che non ha commesso, e per il solo fatto di essere un calvinista. In tre anni, Voltaire riuscirà a farlo riabilitare, guadagnandosi una volta tanto l’ammirazione unanime dei ginevrini. Eccellente specialista di studi volterriani, Domenico Felice ce ne dà un’edizione critica con un ricco corredo di documenti inediti.
- di Ernesto Ferrero - Pubblicato su Domenica del 13/2/2022 -
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