giovedì 10 marzo 2022

e dove soffri il tuo solletico…

«Qualsiasi teoria cerchi di spiegare l’esistenza delle menti e della coscienza ignorando il sistema nervoso è destinata al fallimento ... D’altra parte, qualsiasi teoria si appoggi esclusivamente sul sistema nervoso ... è destinata a fallire anch’essa». Riprendendo e rielaborando le acquisizioni della sua ricerca sperimentale, Antonio Damasio condensa qui, in un’incalzante esposizione, ogni aspetto dell’«intelligenza biologica» che caratterizza gli organismi viventi. In particolare, analizzando i passaggi evolutivi attraverso i quali si sono via via differenziate le varie forme di quell’intelligenza, delinea in modo inedito la differenza tra «concetti insidiosi» come mente e coscienza, ridimensiona l’incidenza filogenetica del linguaggio – ancora egemone in tante teorie – nell’emergere del processo cosciente, e chiarisce come l’obiettivo di costruire «macchine capaci di sentire» debba seguire la strada di una robotica e di un’intelligenza artificiale capaci di sostituire strutture rigide con altre sempre più flessibili e regolabili. Ma soprattutto, nel rimarcare i «traguardi esclusivi» raggiunti dalla nostra specie, Damasio ci ricorda come i «fondamentali dispositivi» di cui ci siamo serviti non siano che trasformazioni e aggiornamenti di meccanismi già utilizzati da altre forme di vita, in una lunga storia di successi individuali e sociali.

(dal risvolto di copertina di: "Sentire e conoscere", di Antonio Damasio. Adelphi, pagg. 211, € 14)

La conoscenza è un sentimento
- di Giorgio Vallortigara -

Considerate il caso, descritto dal neuropsicologo Melvyn Goodale, di quel paziente affetto da agnosia visiva per la forma e che quando osservava una matita non sapeva riconoscerla, e non era in grado di giudicare se fosse collocata orizzontalmente o verticalmente, ma sapeva orientare la mano per afferrarla in maniera corretta. Il nuovo libro del neuroscienziato Antonio Damasio si riferisce precisamente a questo: il fatto che l’esperienza - il sentire - è cosa diversa dal conoscere. Si può conoscere come afferrare una matita, valutandone in maniera implicita l’orientamento per guidare l’atto di prensione, anche senza possedere alcuna coscienza dell’oggetto, senza averne esperienza. Il tema della coscienza è fondamentale per Damasio, che in una serie di brevi capitoli, spesso assai lirici nella forma, ci propone in questo volumetto un distillato delle riflessioni che aveva condotto nei suoi libri precedenti. Secondo lo studioso l’attività mentale, il conoscere, sarebbe costituita di «immagini» che mappano aspetti del mondo che ci circonda. Ma queste immagini, schemi (patterns) di informazione espliciti, non sarebbero coscienti. Perché lo diventino, debbono essere collegate a un «proprietario», a un sé. Ciò è reso possibile dai sentimenti. Per Damasio i sentimenti registrano quanto bene o male stanno operando i vari sottosistemi del corpo nel mantenere l’omeostasi, ovvero nel conservare vivo ed efficiente l’organismo. Questi sentimenti veicolano conoscenze importanti: i muscoli sono tesi o rilassati? Lo stomaco è pieno o vuoto? Il cuore sta battendo con un ritmo regolare, oppure sta perdendo colpi? Respirare è facile o faticoso? Il braccio destro fa male? Ed è quando sono congiunte ai sentimenti, egli argomenta, che le immagini diventano coscienti.

Scrive Damasio: «Le percezioni di oggetti e azioni presenti nel mondo esterno si trasformano in immagini grazie alla vista, all’udito, al tatto, all’olfatto e al gusto, e tendono a dominare i nostri stati mentali – o per lo meno così sembra. Moltissime immagini presenti nella nostra mente, tuttavia, non provengono dalla percezione del mondo esterno da parte del cervello, ma piuttosto dal suo indulgere e dal suo combinarsi con il mondo all’interno del nostro corpo. Un esempio: il dolore che ci si procura colpendosi inavvertitamente con un martello un dito, al posto del chiodo.» E ancora: «Le immagini del mondo interno sono atipiche per diverse ragioni. I dispositivi che le creano non si limitano a ritrarre il nostro mondo viscerale interno; sono anche ancorati ad esso, connessi alla sua chimica in un’intima interazione a doppio senso. Il risultato è la produzione di ibridi denominati sentimenti. Una mente normale è costituita di immagini provenienti tanto dall’esterno – convenzionali o dirette – quanto dall’interno: specifiche e ibride.» In breve, la coscienza verrebbe costruita aggiungendo al flusso di immagini che chiamiamo «mente» un ulteriore insieme di immagini, i sentimenti, che esprimono un riferimento sentito e fattuale al loro proprietario. Ci sono qui molti aspetti cruciali, e altrettanti problemi aperti. Ad esempio, in che modo precisamente l’esperienza è riconosciuta in quanto «proprietaria»? Perché riteniamo di esserne gli autori? Per Damasio questo è reso possibile dal legame delle immagini e dei sentimenti, io trovo però che qui manchi qualcosa, e cioè che i sistemi omeostatici sono posti in essere in quanto azioni (di correzione) da parte dell’organismo, e che sia perciò l’azione che conferisce il senso di autorialità. Quanto sia importante questo aspetto lo si nota ancora nei pazienti che manifestano disordini della coscienza, i quali hanno bisogno di solito di un incentivo, di essere convinti di poter condurre l’azione: «Provi ad afferrare la matita. Non posso dottore, non vedo nessuna matita. Ma lei provi comunque, allunghi la mano come se volesse afferrarla…». Quello che manca al paziente è una plausibile motivazione per l’azione, la quale motivazione è conferita in circostanze normali dal semplice fatto di sentirsi l’agente, non semplicemente il ricettore passivo, del proprio sentire. È la differenza in gioco tra toccarsi ed essere accarezzati.

La menzione del dolore è importante. Damasio rifugge l’idea che la coscienza dipenda semplicemente dalla corteccia, dove si costituirebbero le immagini. Per lui il tronco encefalico è un elemento chiave perché la sua idea della coscienza è legata all’ipotesi che i sentimenti siano espressione delle operazioni omeostatiche del corpo che conferiscono autorialità alle immagini. Penso, per quel che vale, che Damasio abbia ragione qui, anche se, bisogna riconoscerlo, l’evidenza al riguardo è assai controversa. Per molti studiosi l’esperienza del dolore, in quanto distinta dalla mera nocicezione, è legata alla sua rappresentazione centrale, in corteccia Questa tra l’altro è la ragione addotta da chi nega che animali come i pesci possano provare dolore – né sentire alcunché. Oggi sappiamo però che anche in questi animali vi sono proiezioni al telencefalo delle fibre che provengono da nocicettori localizzati in varie porzioni del corpo, e c’è chi ritiene che lo stesso possa valere, seppure con un’organizzazione del sistema nervoso assai diversa, anche per gli invertebrati (il lettore interessato può accedere al webinar che recentemente è stato condotto su questi temi: www.youtube.com/watch?v=o0cp3bC60q0 ). D’altro canto è anche vero che seppure varie regioni della corteccia sembrano attive nell’esperienza del dolore, non lo sono in modo esclusivo, così che nessuna di esse pare fornirne la firma certificata. Tra queste regioni, spicca la corteccia dell’insula. Vi sono prove, ad esempio, che l’intensità percepita soggettivamente di un dolore sia correlata positivamente con l’attività neurale in questa regione della corteccia. Proprio Damasio, tuttavia, assieme alla moglie Hanna e a David Tranel aveva fornito nel 2012 il resoconto del caso di una paziente con una estesa lesione bilaterale alla corteccia insulare che continuava nondimeno a provare dolore. Un caso simile è stato riportato più recentemente, sebbene la lesione, seppure estesa, non fosse in questo caso completa. Si è argomentato che in realtà i differenti aspetti dell’esperienza del dolore, discriminativi e affettivi, siano ascrivibili a porzioni diverse di una vasta rete (network) corticale. Ad esempio, molti pazienti con lesioni alla corteccia insulare mostrano indifferenza per il dolore, che si manifesta con l’assenza di una risposta di ritrazione e di reazione emozionale a stimoli dolorosi applicati a varie parti del corpo. Questi pazienti possono però riconoscere uno stimolo doloroso come doloroso, ciò che manca loro pare essere la capacità di riconoscerne il valore affettivo (la spiacevolezza). In effetti questo tornerebbe con la concezione di Damasio, che concepisce l’aspetto discriminativo (corticale) come incompleto e incosciente senza il contributo dell’aspetto sentimentale (tronco-encefalico).

Grande è la confusione che regna nei territori della scienza attorno a questi temi. Così, cercando una maniera di riassumere le idee su cui vi sto intrattenendo - il ruolo del movimento attivo (opposto a quello passivo) per definire il proprietario del sé, il dolore sentito (in quanto distinto dalla reazione a uno stimolo nocivo) e che cosa sia il sapere cosciente - mi sono imbattuto nella frase di un autentico pensatore, Snoopy, il bracchetto concepito da Charles M. Schulz. La frase recita così: «Chi ti vuole bene conosce quattro cose di te: il dolore dietro al tuo sorriso, l’amore dietro alla tua rabbia, le ragioni del tuo silenzio, e dove soffri il solletico».

- Giorgio Vallortigara - Pubblicato su Domenica del 6/2/2022 -

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