mercoledì 16 marzo 2022

Occhio, scoppia !!

Ucraina: una guerra per l'ordinamento mondiale che si sta disintegrando
- di Herbert Böttcher -

Il cinico attacco della Russia all'Ucraina va condannato senza «se» e senza «ma», e non può essere giustificato in alcun modo: lascia morti e feriti, obbliga le persone a fuggire e distrugge delle infrastrutture vitali. Con questa guerra, le «guerre di ordinamento mondiale» pervengono a un nuovo e pericoloso livello di accelerazione. A partire dalle battaglie in Iraq e nell'ex Jugoslavia negli anni '90, queste guerre sono state combattute principalmente in quegli Stati in rovina, che si trovano soprattutto nel Sud globale, e hanno distrutto il modo di vita di moltissime persone, portando così sempre più persone alla fuga e alla morte. La situazione che riguarda l'invasione attuata dalla Russia non può essere spiegata a partire dalla malvagità di Putin in quanto governante autocratico, e neppure a partire dalla malvagità delle azioni degli attori occidentali. A essere decisivi, sono i contesti strutturali in cui si collocano le azioni degli attori che intervengono nella situazione. Si tratta del contesto del collasso dell'ordinamento mondiale dominante, e dei suoi imperi, visto nella crisi del capitalismo. Il processo di disintegrazione, oramai non può più essere limitato solamente agli «Stati in rovina» che si trovano alla periferia, ma comincia a «fare pressione» anche sugli Stati europei. Nel 1989, l'Occidente capitalista riteneva di aver vinto sull'Oriente collassato. Non si era riuscito a capire che quello non era un concorrente sistemico, ma che si trattava piuttosto del «fratello gemello» dell'Occidente capitalista, anch'esso arrivato alla fine: si trattava della variante statalista della produzione di merci, chiamata anche capitalismo di Stato. Tuttavia, il collasso di questa variante della produzione di merci era ormai già espressione del fatto che la produzione capitalistica di merci si stava dirigendo verso la sua crisi finale, dal momento che si trova costretta a sostituire il lavoro, che crea valore e plusvalore, con la tecnologia, e quindi a privarsi della propria sostanza di nutrimento. La concorrenza per localizzare gli investimenti che accompagnano la moderna produzione di materie prime, che aveva portato alla rovina il blocco dell'Est, a causa delle sue opzioni di azione capitalistica statalmente limitata, ha portato ora a quello che è secondo grande «collasso della modernizzazione» (Robert Kurz) che segue alla crisi del debito del Sud globale.

Guerre nate dalle crisi del sistema capitalista mondiale
Che anche l'Occidente vittorioso sia sempre più in crisi, è logicamente conseguente. In genere, questa crisi si manifesta attraverso dei fenomeni generalmente noti, ma tuttavia incompresi: processi di divisione sociale, indebitamento, distruzione delle basi ecologiche della vita, disintegrazione degli Stati, moltiplicarsi delle guerre (civili), migrazione e fuga, violente «strategie di elaborazione» ideologiche... Questi processi di disintegrazione colpiscono anche gli ex imperi bipolari dell'Est e dell'Ovest, che ancora non hanno smesso di dover fare i conti con quella che è la loro concorrente, la Cina. I paesi dei centri occidentali sono riusciti ad attutire i processi di crisi, esternalizzandoli: gli Stati Uniti attraverso i circuiti del deficit - mediati dal dollaro in quanto valuta globale - dove il debito esorbitante ha potuto essere mantenuto per decenni, nel quadro di una vera e propria economia di bolle finanziarie. Lo status del dollaro americano, in quanto moneta di riserva mondiale, è stato garantito, non da ultimo, dalla potenza militare degli Stati Uniti. Nel quadro dei processi di disintegrazione, abbiamo visto ripetuti interventi e guerre occidentali, spesso in violazione del diritto internazionale e legittimati grazie a delle menzogne - come quelle nella ex Jugoslavia, in Iraq o in Afghanistan, dove nel 2009 ha avuto luogo un massacro ordinato dal colonnello Klein della Bundeswehr. La difesa dell'Hindu Kush da parte della Germania, e i cosiddetti interventi umanitari non sono stati altro che un tentativo di rimettere in ordine, in senso occidentale, un mondo globale ormai in disintegrazione; uno sforzo chiaramente fallito. Ma per gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO, non è più possibile mantenere il loro ruolo di poliziotto globale, e quindi di garante dell'ordine capitalista; con il conflitto siriano, di recente, tutto ciò è diventato fin troppo chiaro. Con il suo «modello di successo» Hartz IV, e la conseguente riduzione del costo del lavoro, la Germania ha potuto ascendere alla posizione di (vice-)campione mondiale delle esportazioni, finanziando le sue eccedenze di esportazione attraverso l'indebitamento dei paesi importatori della periferia europea e mondiale, mentre nel frattempo i processi di disintegrazione progredivano soprattutto nelle periferie dell'Europa occidentale e orientale.

La crisi in Ucraina e la crisi in Russia
Sebbene i processi di crisi si siano intensificati anche nei paesi occidentali, le relative contraddizioni interne sono state compensate economicamente e politicamente grazie all'espansione verso est, soprattutto attraverso l'allargamento della NATO; in contrasto con le assicurazioni date in proposito nel 1989/90. La Russia "sconfitta", nel calcolo della potenza, era diventata un fattore insignificante; degradata a fornitore di materie prime, «a livello di terzo mondo». Questi processi sono stati accompagnati militarmente da attività che si estendevano oltre il territorio dell'alleanza. Le garanzie di sicurezza richieste dalla Russia sono state ignorate, e allo stesso tempo, sotto il presidente Trump, sono stati disattesi degli importanti accordi di controllo delle armi, mentre allo stesso tempo venivano intensificati ulteriormente quegli stessi armamenti.
Ora, la paura è tanta, visto che la Russia intende imporsi come una grande potenza e garantirsi le proprie sfere d'influenza, in maniera simile agli Stati Uniti e all'Europa. Dopo i disastrosi «giochi di potere» in Siria, ora l'Ucraina - che è stata collocata nella tendenza filo-occidentale con l'appoggio di Europa e Stati Uniti - è il luogo in cui le cose devono avvenire. Il suo orientamento filo-occidentale non è semplicemente espressione di una libera autodeterminazione, ma è integrato nella crisi globale. In quanto Stato in erosione, l'Ucraina stava diventando un emporio di servizi per gli oligarchi di vari colori. Alcuni di questi oligarchi, e con loro il cosiddetto movimento democratico, hanno visto in un legame con l'Occidente una via d'uscita dalla «lotta degli oligarchi e dalla disintegrazione». Questa strada prometteva democrazia e diritti umani, e assoggettava l'Ucraina a un regime di aggiustamento strutturale da svolgersi nel solito modo, che avrebbe ulteriormente impoverito la popolazione già impoverita, e allo stesso tempo avrebbe tenuto fuori dai mercati del lavoro europei gli ucraini e le ucraine in cerca di lavoro; tranne che per la manodopera a basso costo. A causa della penetrazione economica e della politica occidentale seguita agli allargamenti dell'UE e della NATO, l'Europa orientale - così come avvenuto per l'Europa meridionale - è diventata un luogo economico per l'espansione della produzione e il consumo a debito di beni occidentali. Nella contraddittorietà di una tale situazione, non va frainteso il fatto che forse la lotta occidentale per l'allargamento potrebbe avere accompagnato il comprensibile e giustificato bisogno dell'Europa orientale di lasciarsi finalmente e definitivamente alle spalle il dominio, prima sovietico e ora russo.
Mentre l'Occidente limitava sempre più la sfera d'influenza della Russia, quest'ultima si vedeva sempre più costretta al ruolo di fornitore di energia e di materie prime, il tutto nel quadro della cooperazione economica. La Russia intende porre un limite a questo con la guerra contro l'Ucraina (così come in precedenza era stato fatto con degli schieramenti stranieri in Siria o in Libia). Da un lato, questa guerra ingiustificabile è associata alla sofferenza e alla morte della popolazione. Ma inoltre, dall’altro lato, è particolarmente pericolosa, dal momento che si accompagna ai sogni russi di essere una grande potenza, i quali sono storicamente e ideologicamente legati ai sogni deliranti di un grande impero russo, legittimato dal fondamentalismo religioso. Putin ha già giustificato la conquista della Crimea con il significato sacro e religioso di un'«isola per la Russia», poiché fu in Crimea che il Gran Principe Vladimir di Kiev aveva accettato il cristianesimo nel 988. Tra i filosofi reazionari favoriti da Putin c'è Ivan Ilyin (1883-1954), il cui corpo, sepolto in Svizzera, Putin ha «riportato a casa», nel 2005, con una messa in scena adeguata. Secondo lui, lo Stato sarebbe una comunità organica - analoga al «potere pastorale» di Foucault; governata e tenuta insieme da un monarca comprensivo e sollecito. Anche Aleksander Dugin, uno dei filosofi di corte di Putin, è all'altezza dei tempi postmoderni. Sostiene che la verità è una questione di fede, e aggiunge che esiste una speciale verità russa. Questo genere di pensiero si muove assai vicino alle idee etniche di identità, quelle stesse idee che, per esempio, hanno accompagnato il genocidio messo in atto nel corso delle guerre di ordinamento mondiale combattute nei Balcani negli anni '90. Nell'ambito di queste idee, il confronto con l'Occidente viene caricato, culturalmente e religiosamente, in modo identitario e fondamentalista. L'Oriente difende la propria identità religiosa e culturale contro il declino religioso e morale dell'Occidente. Contro la democrazia liberale occidentale, viene qui presentata l'idea di autocrazia, vale a dire, il dominio di una sola persona. L'Ucraina, che secondo Putin appartiene alla Russia, dovrebbe essere restituita a quel regno cui "originariamente" apparteneva. Ogni paese che potrebbe essere annoverato nelle nebbie di un Grande Impero Russo ha seri motivi per preoccuparsi. Ciò è particolarmente vero per la Polonia, caduta vittima degli interessi della (Grande) Russia e della Germania diverse volte nella sua storia.

La guerra per la libertà, la democrazia e i diritti umani
Di fronte a tali fantasie di Putin & Co., le "narrazioni" occidentali che parlano di libertà, democrazia e diritti umani non sono per niente razionali, ma arrivano ad assumere perfino un carattere mitologico. Da un lato, sono smentite dalle realtà della crisi; a partire dalla repressione che viene messa in atto contro i rifugiati, dai tagli sociali e dallo smantellamento delle libertà civili, dalle ben note guerre di ordinamento mondiale, ivi comprese le gigantesche esplosioni di militarizzazione. Sono narrazioni inestricabilmente legate ai rapporti di dominazione capitalista. Quanto più la crisi avanza, tanto più, di conseguenza, il liberalismo capitalista si frantumerà in strutture e ideologie autoritarie e repressive, in modo analogo a quella che è stata la storia dell'imposizione del capitalismo. Queste ideologie non sono l'opposto del liberalismo, ma ne rappresentano il suo inevitabile rovescio della medaglia. Come è accaduto con le allucinazioni post-1989, relative a una vittoria dell'Occidente sul comunismo, ora diventa una delle «bugie della vita» quella di difendere - contro un dittatore fuori controllo e un Oriente autoritario dominato dalla Russia - un Occidente che agisce con prudenza in base a dei valori democratici. Il sistema di produzione delle merci - che è già andato a sbattere contro i suoi limiti logici interni ed ecologici esterni -,  al quale appartenevano anche le presunte alternative socialiste, sta andando sempre più fuori controllo. E questo si riflette nelle azioni degli attori che, nella situazione attuale, stanno mascherando con la megalomania la loro reale impotenza; non diversamente da come fa  con altrettanta megalomania la loro controparte fuori controllo.
L'aspetto pericoloso della situazione attuale risiede soprattutto nel fatto che tale situazione non viene compresa come espressione della crisi globale del capitale mondiale, nella quale il pianeta viene sacrificato all'irrazionale fine in sé della moltiplicazione del denaro, o del capitale - e perfino a un attacco nucleare, nel caso che gli attori dovessero diventare completamente pazzi. Harald Kujat, ex ispettore generale delle forze armate tedesche e presidente del comitato militare della NATO, ad esempio, ha messo in guardia sul rischio si verifichino errori di calcolo e/o fallimenti umani e tecnici. Nella crisi crescente della produzione di merci capitalista, a confrontarsi non sono in alcun modo il bene e il male, la razionalità e l'irrazionalità, ma piuttosto gli agenti e i soggetti che sono coinvolti in strutture di relazioni feticizzate, con le loro cariche normative e simboliche. Senza riconoscere il carattere mortale e irrazionale di queste relazioni, ci si immagina di stare dalla parte buona e razionale, mentre il lato opposto viene assegnato al regno del male e dell'irrazionalità. Quelli che devono essere superati, sono entrambi i poli della stessa crisi del capitalismo; e non si deve dare la parola a uno di loro, né aumentare ulteriormente i loro arsenali di armi. Pensare secondo i termini di una simile polarità è espressione di una visione immanente, nella quale gli Stati nazionali e i loro interessi vengono sempre presupposti. E le immanenti difficoltà a risolvere i conflitti, o quanto meno a impedire una loro escalation in una guerra, in ultima analisi, non possono più essere controllate, e rendono chiaro ancora una volta che gli Stati-nazione sono parte del sistema feticista della produzione di merci, all'interno del quale non può esistere alcuna coesistenza pacifica tra le persone; meno che mai quando le crisi si intensificano a tutti i livelli.  Se analizziamo la situazione in maniera sobria, diventa evidente che l'unica prospettiva realistica che rimane è quella di una critica di questo sistema feticista in vista del suo superamento.

Ampollosi, ingenui e semplicistici; e un sacco di domande
I discorsi e le azioni del governo federale tedesco si rivelano ampollosi, ingenui e semplicistici. Quando il Cancelliere parla di una «svolta», egli intende un chiaro vantaggio nella lotta tra il bene e il male, tra la dittatura russa e l'Occidente libero. Il suo Ministro degli Esteri verde, parla addirittura di «rovinare la Russia». Gli strumenti per farlo, sono le forniture di armi all'Ucraina, le sanzioni economiche e un esercito forte di 100 miliardi di euro. Tutto ciò si basa sulla logica cieca di tutto quello che ha contribuito all'attuale escalation: l'intensificarsi della concorrenza tra i blocchi nel contesto del sistema mondiale in disintegrazione, insieme a una cooperazione economica che ora è arrivata alla fine. È assurdo: una politica che ha fallito, ora viene imposta, venduta e salutata come se fosse una soluzione, su una scala di problemi ancora più alta e più pericolosa. La parte più sanguinosa della lotta contro quello che è un avversario predominante, deve essere combattuta dagli ucraini, che vengono elogiati come eroi. C'è da temere che per quanto più tempo i combattimenti continueranno, tante più persone - soldati e civili - verranno sacrificate e sarà dato loro lo status di eroe, per ringraziarli o per legittimare il loro sacrificio.
Le conseguenze degli armamenti e delle sanzioni economiche sono prevedibili: tra le altre cose, l'ulteriore aggravamento delle crisi a causa dei maggiori oneri economici. Li possiamo già vedere sotto forma di aumenti dei prezzi del gasolio, della benzina e del gas. Il gas naturale non è solo necessario per il riscaldamento, ma anche per numerosi processi nell'industria. I prezzi elevati del gas influenzeranno anche l'economia, e potrebbero persino portare alla chiusura di aziende a causa della mancanza di carburante. Con il peggioramento della situazione economica, peggiorano anche le prospettive di attuare quelle misure indispensabili per affrontare l'aggravarsi della crisi climatica. E cosa accadrà a quel soggetto liberale, che non sopporta nemmeno le restrizioni limitate a «una solo libertà» relativa alla lotta contro la pandemia di coronavirus, e che teme la protezione del clima più di quanto teme le tempeste, nel momento in cui arriveranno restrizioni ancora più dure per la normalità capitalista? Tutti quei problemi legati al complottismo, al razzismo e all'antisemitismo rischiano di intensificarsi ulteriormente nel momento in cui, nella crisi del capitalismo, il finanziamento delle armi e le sanzioni economiche andranno a sbattere sempre più contro i loro limiti e se, insieme alle corrispondenti misure di austerità, ci saranno anche crolli economici, inflazione crescente e scoppio di bolle finanziarie. Negli Stati Uniti, Trump e la sua banda di sostenitori potrebbero guadagnare ancora più forza, scommettendo su «America first»; senza tener conto di ciò che sta accadendo nel resto del mondo. In Germania, c'è da temere che l'AfD ne trarrà vantaggio, dato che - a parte la sinistra - è praticamente l'unico partito che mette in evidenza le conseguenze sociali dovute alle sanzioni economiche e del riarmo.
È ormai evidente che le persone a basso reddito non saranno in grado di far fronte al già imminente aumento dei costi del riscaldamento e del cibo. La Russia e l'Ucraina sono, in particolare, grandi produttori di cereali. Soprattutto nei paesi del terzo mondo, le crisi alimentari si intensificheranno, se addirittura non sono già in atto a causa del cambiamento climatico; come in Madagascar, tra gli altri. Questo vale tanto per la mancanza di importazioni dalla Russia, quanto per l'aumento dei prezzi dell'energia, che sono assai rilevanti per i trasporti e per l'agricoltura. E che ne sarà dei fuggitivi e dei rifugiati? La «cultura dell'accoglienza», che si è sviluppata nel 2015, non solo è finita assai rapidamente, ma si è trasformata in odio e aggressione contro i popoli non occidentali. Oggi, i rifugiati politicamente "corretti" continuano ad arrivare dall'Ucraina. Ma cosa accadrà quando ci saranno sempre più persone che si sentiranno costrette a fuggire? E cosa succederà a coloro che sono costretti a fuggire a causa delle sanzioni economiche e della crescente repressione politica in Russia, ma che non vengono visti in alcuna connessione diretta con la guerra in Ucraina, o ai quali non viene concesso l'asilo a causa della loro origine? C'è da temere che i rifugiati verranno messi, in massiccia concorrenza, gli uni contro gli altri, e che verrà intensificata la repressione contro coloro che fuggono dai paesi in crisi globale. Mentre i rifugiati bianchi dall'Ucraina vengono giustamente accettati, ai rifugiati non bianchi viene impedito di attraversare il confine ucraino, e il confine della Polonia con la Bielorussia, altamente militarizzato, dove un numero sconosciuto di richiedenti asilo si accampa affamato al freddo, rimane chiuso. Come legittimazione per tali azioni, ci viene contrapposta una previsione degli scontri futuri. L'ufficio di comunicazione della Repubblica della Slovacchia ha detto, in un tweet poi cancellato: «I rifugiati ucraini provengono da un ambiente che è differente, in senso culturale, religioso e storico, rispetto a quello da cui provengono i rifugiati dall'Afghanistan». Allo stesso modo, il primo ministro bulgaro Petkov parla di rifugiati provenienti dall'Ucraina «ai quali siamo abituati. Queste persone sono europee. Queste persone sono intelligenti. Sono istruiti... non sono persone con un passato poco chiaro, che potrebbero anche essere stati perfino terroristi». Per far sì che possano emergere prospettive di uscita da quelle che sono delle crisi sempre più acute della socializzazione capitalista, è indispensabile guardare l'insieme delle condizioni e i loro complessi intrecci. È necessario rompere con i miti e con le menzogne relative alla vita dell'«Occidente libero», così come a quelli relativi a una missione di un impero russo o di qualsiasi altro fondamentalismo autocratico. Essi devono essere sostituiti da una riflessione chiara e autocritica relativa agli intrecci e ai grovigli di quelle che sono le attuali costellazioni di crisi. Il pericolo maggiore sembra essere quello di un amalgama identitario che si incarna in un baluardo del bene contro il male, della libertà contro la dittatura, e che ignora le vittime della libertà occidentale, così come le ignora il suo rovescio  autoritario-dittatoriale e razzista.

- Herbert Böttcher - Pubblicato il 12/3/2022 su EXIT! -

Originale: “Ukraine: Ein Krieg um die zerfallende Weltordnung

fonte: Exit!

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