venerdì 4 marzo 2022

La fatica di Sisifo del «soggetto automatico» !!

«Guerra Fredda» con il forcipe
- il tacito accordo tra Russia e Stati Uniti e la miseria di un certo «anti-imperialismo» -
  di Daniel Feldmann  [*]

Nel secondo dopoguerra, c'è stato un tempo in cui alcuni settori della sinistra criticavano, a ragione, il reciproco giurarsi odio e distruzione tra USA e URSS, sostenendo che invece ci fosse, tra le due potenze, come una sorta di tacito accordo riguardo quelle che erano le loro pretese espansionistiche. Spesso, l'orizzonte di catastrofe proiettato sul nemico appariva estremamente funzionale, tanto a ottenere o imporre un appoggio esterno, quanto, soprattutto, a creare un clima di «unità nazionale» contro il mortale nemico  esterno al fine di eludere le contraddizioni interne nei due paesi. Ovviamente, questo non voleva dire che il conflitto non fosse reale – e che avrebbe potuto portare il mondo alla distruzione nucleare, proprio come oggi - né che USA e l'URSS fossero la stesso cosa, e neppure che essi si ponessero dei limiti. Ma, anche per questi motivi, l'incontestata leadership militare che ognuno di essi aveva nel mondo in un quadro bipolare, costituiva un prezioso vantaggio che faceva sì che, nei confronti del resto del mondo, la loro forza economica, politica, militare, e anche ideologica ne risultasse notevolmente accentuata. Una simile premessa serve da suggerimento (e solo questo, dal momento che ovviamente oggi il mondo, sotto varie forme, è assai differente) per pensare agli eventi di questi ultimi giorni. Di certo questi eventi hanno dato sostanza a una nuova «Guerra Fredda» a partire dalle azioni che vengono compiute degli stessi protagonisti di quella vecchia. Da un lato, ciò che ci ha portato fin qui, ha a che fare con una serie di eventi e di congiunture che vanno avanti da molto tempo, e che non sono controllabili (quanto meno non lo sono totalmente) dagli attori in conflitto in questo inizio del 2022: la perdita di prestigio e il diminuire della forza economica degli Stati Uniti, l'ascesa economica della Cina, la riaffermazione geopolitica e militare della Russia e, come sfondo di tutto questo, un'ormai antica crisi permanente del capitale, le cui conseguenze sono ben lungi dall'essere solo «economiche».

Dopo gli anni '90, durante i quali gli Stati Uniti avevano guidato senza grossi problemi il sistema mondiale (attraendo, o quanto meno neutralizzando la Russia, e stimolando l'apertura capitalistica della Cina), nella geopolitica e nel quadro delle alleanze del sistema mondiale capitalista si era venuta a creare una situazione di relativa indeterminatezza. Se fino a non molto tempo prima il vecchio ordine della leadership assoluta degli USA sembrava già moribondo, senza che però stesse emergendo alcun nuovo ordine, ora tutto sembrava invece indicare che qualcosa di nuovo avrebbe dovuto prendere piede. Era chiaro che le fedeltà e le affinità erano già in atto: USA-Europa da una parte, e Cina-Russia dall'altra. Tuttavia, ora si stava prendendo una decisione. Non si poteva più esitare, o cercare delle soluzioni di compromesso. Pertanto, di conseguenza, gli allineamenti assumeranno ora la tipica logica di amico contro nemico di Carl Schmitt, cristallizzandosi senza ambiguità. E se, come abbiamo detto, tale decisione era già una possibilità aperta a partire da dinamiche congiunturali e strutturali, negli ultimi mesi gli Stati Uniti e la Russia hanno deliberatamente giocato un gioco delle parti che ha permesso a entrambi, con forza, a partire dal loro protagonismo, di dare sostanza a una nuova «guerra fredda», almeno a livello militare. Ed è qui che entra in gioco il ruolo di un certo «anti-imperialismo» di parti della sinistra, e che va da quelli che a partire dai fatti si rifiutano di condannare l'invasione russa dell'Ucraina, a quelli che applaudono apertamente Putin.  Innanzitutto, molti di coloro che giurano di essere sempre stati dalla parte dei popoli e degli oppressi confermano il fatto che un paese di 45 milioni di abitanti, assolutamente in contrasto con la volontà del suo popolo, vivrà un futuro indefinito fatto di violenza e di occupazione militare diretta da parte di Mosca (o di un governo fantoccio militare locale, che poi sarebbe la stessa cosa). La critica all'espansionismo della NATO nell'Europa orientale, usata come giustificazione per la gentilezza riversata su Putin, costituisce un tipico esempio di come qualcosa di vero in sé, possa poi servire da copertura per una posizione completamente sbagliata. Dopo tutto, nella vita reale e non sul piano degli eterei discorsi «antimperialisti», ciò che viene sostenuto è che il popolo ucraino, se non vuole subire gli impeti militari della realpolitik di Putin, deve essere in grado di rovesciare, a brevissimo termine, gli imperativi militari della realpolitik dell'Occidente. Come se questo fosse alla portata degli ucraini, o anche come se l'aggressione russa non rendesse, a sua volta,  gli ucraini ancora più dipendenti dall'Occidente, dopo il tradimento della NATO. La scelta diventa allora: «Voi, ucraini, per non essere bombardati, uccisi e occupati, non dovete fare altro che ridisegnare la geopolitica mondiale degli ultimi decenni». Siamo seri ...  Inoltre, contrariamente al trionfalismo di molti, il tacito gioco tra Putin e gli Stati Uniti non ha affatto indebolito l'imperialismo statunitense.  E questo perché una cosa è constatare quello che è il relativo processo di indebolimento a lungo termine degli Stati Uniti, e un'altra cosa è prendere atto delle conseguenze immediate che in questi giorni ci sono state. Salvo nuovi cambiamenti spettacolari a breve termine, il fatto è che gli Stati Uniti sono riusciti a consolidare in Europa una loro leadership militare ancora più pronunciata e incontestata (indipendente dalla - e anche contro la - loro volontà).  Approfondiamo questo punto. È da novembre che Putin minaccia di invadere l'Ucraina, e qual è stata la risposta di Biden? Discorsi duri e minacce di sanzioni, e mentre dà simultaneamente carta bianca a Putin ribadendo che non interverrà. È vero che su questo punto la NATO tradisce l'Ucraina, e questo non senza causare un effetto demoralizzante. Ma a invasione avvenuta, la NATO sotto la guida americana si è affrettata ben presto a convogliare quanto più truppe e risorse possibili nell'Europa orientale. Cosa ancora più importante, il confronto aperto con la Russia ha permesso agli Stati Uniti di bloccare sul nascere le velleità di indipendenza militare della Francia, così come di minare l'importante progetto economico della Germania sulla Russia (il caso Nord Stream 2 è emblematico). Poco importa se questo processo sia stato o meno congiuntamente pre-concordato tra gli Stati Uniti e la Russia. Oggettivamente, in ogni caso, qui abbiamo un tacito accordo in cui Putin porta a casa l'Ucraina, come trofeo. e Biden obbliga l'Europa a un riallineamento intorno alla sua leadership nella NATO. Senza contare che, con una tale situazione, Biden si è riavvicinato all'establishment repubblicano, che ora intende separarsi definitivamente dall'ammiratore di Putin, ossia, Donald Trump.  Ecco qui un'altra aporia degli «antimperialisti»: l'argomento secondo cui tutto ciò che indebolisce gli Stati Uniti dovrebbe essere sostenuto, e che sebbene sia abbastanza astuto, si pone alla base di una posizione che in pratica riafferma un bipolarismo, offrendo così nuovi e preziosi assi nella manica al... l'imperialismo statunitense. Quanto finora detto, ad ogni modo, non significa che gli Stati Uniti e/o la Russia starebbero mettendo a segno un «colpo da maestro». Le contraddizioni sono enormi, e i margini di manovra sono assai stretti, a differenza del quadro di espansione economica che ha contribuito a rafforzare i due blocchi antagonisti nel dopoguerra.  La crisi del capitale è anche la crisi del sistema globale. Nella misura in cui l'orizzonte delle società salariate, della continua crescita economica, del progresso sociale, ecc. si dissolve, ecco che allo stesso tempo cresce anche la politicizzazione del risentimento sociale, dando vita a identitarismi nazionalisti, xenofobi e di estrema destra. Un tale fenomeno - che in questi giorni sembra ad alcuni essere confinato solo all'Ucraina - può essere visto dovunque, da Occidente a Oriente. Questi nazionalismi, lungi dal basarsi sulla vecchia utopia dello sviluppo nazionale e della benefica integrazione di tutti nei circuiti economici, si basano invece direttamente su una situazione nella quale è chiaro che non c'è più posto per tutti, e che proprio per questo danno luogo a delle tendenze autofagiche ed esplosive. Oltretutto - e qui abbiamo un'altra differenza cruciale rispetto alla vecchia Guerra Fredda - le potenze dei due blocchi summenzionati presentano oggi un grado di interdipendenza reciproca e di interrelazione economica, in questo XXI secolo, che invece nel secolo scorso semplicemente non esisteva. Questo problema - che rispecchia fino a che punto il capitale abbia oggi già raggiunto un grado di universalizzazione delle forze produttive (compreso il lavoro), del commercio e della finanza - non può essere affatto risolto attraverso un nuovo bipolarismo. Dal momento che questo finisce semplicemente per scontrarsi con la necessità che le potenze hanno di affermarsi nel quadro di un capitalismo che non consente nessuna grande autarchia economica in blocchi contrapposti. Anche perché, per prevalere, le rispettive potenze militari devono prima poter avere un raggio d'azione economico globale. Le sanzioni tra la Russia e l'Europa, ad esempio, presentano il rischio non solo di aggravare la crisi energetica dell'Europa, ma rischiano anche, allo stesso tempo di sottrarre una preziosa fonte di valuta estera e di reddito alla Russia. Quest'ultima deve quindi diventare ancora più dipendente dalla Cina, ma è illusorio pensare che la perdita subita ad Occidente possa essere completamente risanata grazie all'approfondimento delle relazioni con la Cina. E questo anche perché, la Cina, in un eventuale quadro in cui le vengano imposte delle sanzioni economiche, non può certo rinunciare ai mercati occidentali, soprattutto in un momento in cui il paese punta ad aumentare il contenuto tecnologico delle sue esportazioni.

La crescita economica della Cina non è mai stata indipendente dagli stimoli creati dalle bolle di consumo, di credito e di capitali fittizi provenienti dall'Occidente. Ora, al di là degli effetti dovuti alla propria bolla immobiliare fittizia, un'eventuale drastica riduzione dei mercati in Occidente suonerebbe la campana a morto per il cosiddetto «miracolo cinese». Così come, per esempio, dall'altro lato, congelare le transazioni finanziarie di una Cina, insieme ai suoi trilioni di beni e titoli di Stato in dollari, sarebbe il modo più rapido e sicuro per detronizzare gli Stati Uniti dal suo ruolo di patrono della valuta di riserva globale.  Inoltre, un blocco o un intensificazione del protezionismo occidentale relativo alle importazioni cinesi alimenterebbe ulteriormente l'inflazione, insieme alla perdita di potere d'acquisto da parte delle loro aziende. Qui, la contraddizione è oggettiva: la «de-globalizzazione» economica potrà forse anche apparire, a breve termine, come un'arma di difesa e di lotta economica, ma in fin dei conti la «de-globalizzazione» non può essere per nessuno un'opzione effettivamente praticabile: gli imperativi del capitale in quanto «soggetto automatico», come diceva Marx, non possono conformarsi alle frontiere del nuovo bipolarismo, soprattutto quando questo stesso capitale ha ormai una dinamica di accumulazione che è già molto debole. Abbiamo quindi a che fare con una «guerra fredda» fatta con il forcipe anche in quest'altro senso: la geopolitica che ora vorrebbe spaccare il mondo, finisce per non essere altro che un tentativo di uscire da un vicolo cieco economico. Per tutte queste ragioni, lo scenario che si sta delineando può solo fare aumentare le tensioni di fronte alla fatica di Sisifo di amministrare le crisi interne ed esterne in corso. Tutto evidenzia non il contenimento, ma piuttosto l'accelerazione dei processi di disgregazione sociale e politica già in corso, i quali tendono di certo a causare il rafforzamento dei dispositivi di repressione, violenza, controllo e di politicizzazione dell'odio che riguarda entrambi i blocchi in conflitto. L'idea secondo cui si debba sostenere una delle parti in nome di una posizione «progressista», nel migliore dei casi è solo un'illusione, e nel peggiore significa sponsorizzare e avallare l'impasse attuale. Un vicolo cieco che appare direttamente nel contorsionismo ideologico e metafisico con il quale la sinistra «antimperialista» cerca di colorare in maniera rosea il blocco Cina-Russia. E nel caso dell'Ucraina, avviene che la denuncia di un fatto reale - l'azione di gruppi armati neonazisti - viene trasformata in un'assurda accusa contro tutto il paese e la sua popolazione, la quale ha tutte le ragioni per combattere contro l'aggressione di Putin, e lo sta già facendo. Il popolo ucraino avrebbe torto a combattere?  O avrebbe ragione Putin quando in nome dell'«unità nazionale» arresta migliaia di russi che protestano contro la guerra? Sono tutti traditori nazionali al servizio della NATO?  Allorché la distruzione imperiale dell'Ucraina da parte della Russia viene declamata come se fosse una vittoria «contro il nazismo», ecco che sull'Ucraina vediamo proiettata l'incarnazione stessa del male assoluto. In questo modo, consapevolmente o meno, la sinistra «antimperialista» cerca di proiettare sui propri nemici tutti quei fantasmi che continuano a essere anche i loro. Per esempio, nella narrazione apologetica filorussa, tutto procede come se la «denazificazione» proposta da Putin potesse portare a qualcosa di diverso da quello che sarebbe il medesimo imbarbarimento/fascistizzazione/nazificazione dell'Ucraina attuato con altri mezzi. Come si fa a non vedere che una simile strategia da parte di Putin non può che comportare l'intensificazione di una battaglia mortale e senza fine, il cui risultato non può che essere il consolidamento dell'odio e il potenziamento dei movimenti e delle milizie di estrema destra, sia ucraini che russi? [*1]  Analogamente, il tentativo di dipingere l'Ucraina come se si trattasse di un blocco monolitico di estrema destra può a malapena mascherare la minimizzazione o l'occultamento del fatto che Putin è un grande alleato dell'estrema destra europea - ammirato anche da Bolsonaro e da Trump - e che il suo governo è apertamente reazionario. E, cosa ancora più fondamentale, quando la denuncia dei crimini, delle ipocrisie e delle tragedie umane che sono responsabilità dell'Occidente serve da alibi o da attenuante per il completo collasso dell'Ucraina, a essere qui omaggiato è proprio il processo di imbarbarimento globale in corso. «Gli Stati Uniti hanno devastato l'Iraq e quindi ora nessuno dovrebbe indignarsi più di tanto se ora la Russia devasta l'Ucraina»: è diventato questo l'«argomento» principe di questo strano «antimperialismo». Così, quel che sfugge alla critica è proprio il fatto che ciò che vediamo è proprio l'emergere di nuovi iracheni/ucraini che verranno gonfiati a partire da quello stesso bipolarismo, all'interno del quale si suppone che si stia dalla parte «giusta» sostenendo le forze «antimperialiste». E questo quando la discussione non scende addirittura a una completa falsificazione del carattere reale dell'espansionismo di Putin, che già si svolge ben oltre lo «spazio vitale» dell'Impero russo, del quale si suppone che Putin stesso abbia i «diritti storici» di difendere. Cosa ha da dire l'«anti-imperialismo» filorusso sul sostegno militare di Putin ad Assad in Siria, che ha permesso a quest'ultimo di causare lo sterminio di centinaia di migliaia di civili, molti dei quali torturati a morte nelle prigioni? Questo quando non era la stessa aviazione russa a bombardare direttamente gli ospedali e gli edifici residenziali. [*2]

La miseria dell'«antimperialismo», e i suoi tentativi di sostenere l'insostenibile, è rivelatrice di tendenze che dicono molto di quelle che sono parti della sinistra brasiliana e straniera di oggi.  Il carattere trasversale, dottrinario e anacronistico delle analisi si fregia di un marxismo cosiddetto «di principio», il quale tradisce proprio la più grande eredità di Marx, che è quella di analizzare la realtà in maniera immanente e non cercare di adattarla a dei concetti esterni, estranei agli oggetti in discussione. Così, al limite, diventa possibile per alcuni, proprio in nome del «leninismo ortodosso», fare l'apologia di Putin anche quando egli dice esplicitamente che cancellerà «l'errore» di Lenin di essersi pronunciato per l'autodeterminazione dei popoli dell'ex impero russo... Questo stato di cose ci suggerisce un'ennesimo ultimo senso di quella che è una «guerra fredda» fatta a forza, ora dal punto di vista di una certa sinistra. Situandosi ideologicamente in uno dei campi della disputa che si svolge all'interno della bipolarizzazione che sta vedendo la luce, accettando anche per sé quello che è il quadro stesso imposto dagli attuali leader mondiali, con il nucleare come orizzonte ultimo di azione, ora questa sinistra crede ormai di poter simulare una sorta di potere, una sorta di vigore artificiale. Un potere simulato, forzato e sostitutivo, poiché è il rovescio dell'impotenza reale a produrre idee e pratiche che abbiano una stella polare effettivamente trasformatrice ed emancipatrice. Per non essere ingiusti, bisogna dire che questa impotenza abbraccia oggi tutta la sinistra. Si tratta quindi di un compito collettivo che non è facile. Tuttavia, affidare questo compito ai Putin e agli Xi Jinping del mondo è già una dimostrazione del fatto che un tale compito è stato abbandonato.

- Daniel Feldmann [*] - Pubblicato il 28/2/2022 su Zero à Esquerda -

[*] - Professor do Departamento de Economia da Universidade Federal de São Paulo (UNIFESP). É autor, junto com Fabio Luis Barbosa dos Santos de “O médico e o monstro: uma leitura do progressismo latino-americano e seus opostos”. Editora Elefante: 2021.

NOTE:
[*1] - Come dimostra il buon testo di Taras Bilous, che attraverso la sua militanza e le sue relazioni familiari conosce bene entrambe le parti del conflitto del Donbass, la propaganda secondo cui si tratterebbr di una lotta tra «nazisti ucraini» nei confronti di una «resistenza popolare russa» è una completa distorsione. Non solo ignora, in questo modo, che ci sono elementi fascisti e attacchi ai civili da entrambe le parti, ma nasconde anche il ruolo che l'esercito russo ha svolto nel conflitto fin dal 2014. Su questo, si veda anche Coinash (2014). Inoltre, chi sano di mente può pensare che un eventuale futuro dominio dell'Ucraina da parte della Russia si baserà sulla «resistenza popolare»? Certamente si tratterà della repressione, la quale proverrà sia dall'esercito russo che dalle diverse milizie controllate da Putin. Prova ne è già lo sbarco di truppe in Ucraina inviate su richiesta di Putin dal leader ceceno Kadyrov, noto per la pratica della tortura e per la formazione di squadroni della morte nella sua repubblica. Ecco un segno di ciò che gli ucraini possono aspettarsi come «resistenza popolare». Vedere su questo Walker (2019).
[*2] - Per una critica senza mezzi termini delle posizioni di gran parte della sinistra occidentale di fronte alla tragedia siriana, si veda il testo di Leila Al Shami (2018).

Riferimenti Bibliografici:

AL-SHAMI, Leila. “The ‘anti-imperialism’ of idiots.” 14/4/2018. Disponível em https://leilashami.wordpress.com/2018/04/14/the-anti-imperialism-of-idiots/
BILOUS, Taras. “Uma carta de Kiev para a esquerda ocidental”. 26/2/2022. Disponível em https://movimentorevista.com.br/2022/02/uma-carta-de-kiev-para-a-esquerda-ocidental/?fbclid=IwAR1bNdhJNulVfE_4uIxZqhgToS6KbR8VcibecIv16yrSTfzlmco_qvMQPWY
COINASH, Halya. “East Ukraine crisis and the ‘fascist’ matrix. Is the Russian leadership fomenting ideological links with some far-right European parties?”. In: Al Jazeera. 17/4/2014. Disponível em https://www.aljazeera.com/opinions/2014/4/17/east-ukraine-crisis-and-the-fascist-matrix?fbclid=IwAR37FG2lhDUPXG4QEukMgdY2kRgpphEfhEHfNGXG6lPaRM-WrcUQf0fDiTs
WALKER, Shaun. ‘We can find you anywhere’: the Chechen death squads stalking Europe. In: The Guardian, 21/9/2019. Disponível em https://www.theguardian.com/world/2019/sep/21/chechnya-death-squads-europe-ramzan-kadyrov

fonte: Zero à Esquerda

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