L'insurrezione kazaka
- di Anonimo -
«In presenza di lavoratori armati, gli ostacoli, le resistenze e le impossibilità spariranno.» (Blanqui)
La Teoria dello Stato, rappresenta la barriera di scogli su cui sono naufragate le rivoluzioni del nostro secolo.[*1] Nel corso delle rivoluzioni della Primavera Araba, il popolo ha causato la caduta di più di un regime, ma le istituzioni dello Stato sono rimaste intatte. Altrove le rivoluzioni si sono trascinate fino a scaricarsi in guerre civili che si sono protratte sempre più. Ovunque sembrava che il vecchio regime fosse stato abbattuto, ha finito poi per trovare nuove energie, ed è risorto. Come si può fare per rompere finalmente questo ciclo? In passato, le insurrezioni riuscivano a sconfiggere lo Stato, e non un particolare governo. L'insurrezione è qualcosa di più che un'ondata di rivolte, proteste militanti, barricate, occupazioni e così via. È l'aprirsi di una frattura, alla ricerca di quel punto dopo il quale non è più possibile tornare indietro. Se le rivoluzioni del nostro tempo non hanno sconfitto lo Stato, allora dobbiamo concluderne che è così perché non ci sono state insurrezioni: ci sono state rivolte nonviolente, sommosse, lotte armate e guerre civili, ma non ci sono state ancora insurrezioni. È possibile che nei prossimi anni vedremo esperimenti che si misureranno nell'arte dell'insurrezione, mentre allo stesso momento una nuova generazione di rivoluzionari cercherà di superare gli ostacoli e le impasse con le quali si sono dovute misurare le rivolte del 2011 e del 2019. Il Kazakistan, un paese che molti americani conoscono solo grazie alla serie di film con Borat, potrebbe permetterci un primo sguardo su questo futuro. I recenti eventi occorsi in Kazakistan, sono quelli più vicini a un'insurrezione su larga scala, allorché alla fine del 2018 ha avuto inizio un'ondata globale di lotte. Questo ci consente di immaginare come sarebbero potuti essere i movimenti recenti - come la rivolta George Floyd - se fossero andati oltre. Il corso degli eventi in Kazakistan suggerisce un possibile percorso attraverso il quale evitare le trappole che finora hanno fatto naufragare le rivoluzioni contemporanee. Fornendoci una chiara visione della forma della prossima insurrezione, la rivolta ci permette di interrogare i limiti che un processo insurrezionale oggi potrebbe dover affrontare.
Il vaccino della rivolta
Il giorno di Capodanno del 2022, il governo del Kazakistan ha messo fine al limite al prezzo del carburante, causando un raddoppio del suo costo durante la notte. Le proteste sono scoppiate il giorno dopo nel Kazakistan occidentale, la regione produttrice di carburante. Significativamente, le prime manifestazioni hanno avuto luogo a Zhanaozen, una città il cui nome è diventato sinonimo della violenta repressione di uno sciopero dei lavoratori del petrolio avvenuto nel 2011 e che ha portato a un'ondata di rivolte che si è diffusa in tutta la regione. Quest'anno, mentre la rivolta si espandeva in tutto il paese, essa ha assunto anche un carattere più generale, raccogliendo nuove rivendicazioni lungo la strada. Quando i dimostranti hanno raggiunto Almaty - l'ex capitale e la città più grande - hanno cominciato a manifestare un malcontento sociale ancora più generale, intercettando anche la frustrazione diffusa a causa della disuguaglianza, della povertà e della corruzione. I dimostranti chiedevano ora la rimozione dell'ex presidente Nursultan Nazarbayez dalla sua posizione di capo del Consiglio di Sicurezza. Nazarbayez era stato presidente per quasi trent'anni, e si riteneva che fosse ancora lui a governare ancora il paese, dietro le quinte. Finora, questi eventi avevano seguito un modello familiare. Le rivolte che hanno scosso la Francia e il Sudan alla fine del 2018 sono iniziate ciascuna in regioni periferiche, e come proteste contro l'aumento del costo della vita [*2]. Lo stesso vale anche per la rivoluzione in Tunisia, iniziata alla fine del 2010, cha aveva dato il via alla Primavera Araba. All'inizio, le proteste francesi erano in risposta a una tassa sulla benzina. In Sudan, sono state catalizzate a partire dalla fine dei sussidi governativi ai prodotti di base, come il carburante e il grano. Simili proteste, in Sudan, erano iniziate allo stesso modo in una città industriale famosa per la sua storia di organizzazione della classe operaia e la sua repressione. In ciascun paese, le proteste avevano acquisito più richieste man mano che si diffondevano. Quando la forza del movimento cresce, anche la sua capacità di immaginazione di ciò che è possibile tende a crescere. Ogni volta così la capitale diventava il centro di gravità del movimento, il quale ora aveva poco a che fare con la richiesta originale. Ad Almaty, le cose hanno cominciato ad accelerare rapidamente. Le proteste sono iniziate il 4 gennaio. Il 5 gennaio, sono diventate una rivolta armata, con l'obiettivo non solo di riformare la politica, ma anche di rovesciare il governo. La sede della polizia, le stazioni di polizia e le stazioni televisive sono state prese d'assalto. Il municipio e altri edifici governativi sono stati incendiati. Anche l'ex residenza presidenziale e la sede regionale del partito di governo Nur Otan sono stati dati alle fiamme. La folla ha poi preso d'assalto l'aeroporto, chiudendolo. La polizia e le forze di sicurezza si sono arrese alla folla e sono state disarmate. Le auto di pattuglia sono state date alle fiamme. Furti e saccheggi in tutta la città. Sono cominciati a circolare video di insorti che distribuivano tra la folla i fucili saccheggiati dai negozi di armi. Secondo ogni indicazione, quella notte il potere era nelle mani degli insorti.
Alcuni osservatori casuali sono rimasti sorpresi dalla rapida distruzione di Almaty. Ma, come ci ricorda Vaneigem, «la barbarie delle rivolte, degli incendi, la ferocia del popolo, tutti gli eccessi... costituiscono esattamente quello che è il vaccino della rivolta contro la gelida atrocità delle forze della legge, dell'ordine e dell'oppressione gerarchica»[*3]. All'inizio, il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha tentato di placare i manifestanti, cedendo ad alcune delle loro richieste. I sussidi per il carburante sono stati ripristinati. Il gabinetto è stato sciolto. L'ex presidente Nazarbayev è stato rimosso dal suo posto di presidente del consiglio di sicurezza del paese. Anche altri membri della sua cerchia ristretta sono stati liquidati. Alcuni sono stati arrestati. Tokayev ha subito tentato di riproporsi come un Bernie Sanders kazako, pronunciando un discorso populista dove denunciava la disuguaglianza di reddito del paese e della sua élite dirigente. Ma era troppo tardi. Nessuna riforma che il presidente poteva offrire avrebbe fermato la marea crescente di rabbia in quel momento. Il 6 gennaio, i disordini hanno provocato un intervento militare in cui la Russia ha guidato altri sei paesi membri dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l'equivalente russo della NATO. Il giorno dopo, Tokayev ha ordinato alle forze di sicurezza di «sparare senza preavviso» mentre riprendeva Almaty. Questa è stata la prima volta che la CSTO è stata mobilitata. Nella nostra era di rivolte, questi patti di sicurezza reciproca diventano così nient'altro che l'organismo di coordinamento della controrivoluzione armata [*4]. Il presidente Tokayev proclamava che non si trattava di dimostrazioni spontanee, ma piuttosto dell'attività di una «banda di terroristi»[*5]. Simili affermazioni trovarono eco nel New York Times, incredulo su come un movimento di protesta potesse essersi diffuso così rapidamente in un territorio così tanto vasto [*6]. Se i disordini non erano stati il risultato di un'insurrezione islamista altamente organizzata, allora doveva trattarsi semplicemente di un colpo di stato orchestrato; in altre parole, di una lotta di potere tra fazioni concorrenti dell'élite al potere. Tali prospettive tradiscono una comune incapacità di comprendere come le lotte si diffondono oggi: un processo che dipende più dalla ripetizione e dalla risonanza, che dal coordinamento esplicito [*7].
Con la maggior parte dei servizi internet e telefonici interrotti e l'aeroporto chiuso, il Kazakistan si trovava improvvisamente tagliato fuori dal resto del mondo. Divenne difficile farsi un'idea in tempo reale di ciò che stava accadendo sul campo. Ancora oggi, gli eventi di quei giorni ci rimangono abbastanza oscuri. Ma l'8 gennaio, il governo dichiarò che l'ordine era stato ristabilito nell'ex capitale, e che in tutto il paese le cose si stavano calmando. Nei disordini, secondo i rapporti ufficiali, erano stati uccisi più di 225 manifestanti e diciannove poliziotti. Quasi ottomila sono stati gli arrestati. C'è una certa ironia storica nel fatto che questi eventi abbiano avuto luogo quasi un anno dopo la rivolta del Campidoglio americano. Sembra che la formula di Hegel vada capovolta: oggi tutti i grandi eventi accadono due volte; la prima come farsa, la seconda come tragedia.
Duplice Stato e rivoluzione
Le rivolte dalla crisi finanziaria del 2008 hanno rovesciato i governi, ma non sono riuscite a scuotere le fondamenta dello Stato. Le rivoluzioni in Tunisia, Egitto, Sudan e altrove hanno ceduto ciascuna a un colpo di stato militare. Questo è stato possibile, però, perché in quelle società i militari funzionano già come una sorta di doppio Stato [*8]. D'ora in poi, il popolo vuole che la caduta del regime non significhi solo il rovesciamento di una cricca al potere, ma anche la sconfitta del doppio Stato. Questo è ciò che si intende in Sudan con lo slogan «vittoria o Egitto». Un aspetto di questa questione è tattico. Le rivolte che hanno portato alla sequenza rivoluzione politica - golpe - controrivoluzione, come quelle elencate sopra, potrebbero essere caratterizzate come insurrezioni non violente. Sebbene questo termine sia insoddisfacente, la strategia implicita dell'insurrezione nonviolenta è quella di spingere i militari a schierarsi con il popolo contro il regime. Questa situazione mette pertanto le forze armate nella posizione di mediare l'esito della rivoluzione. Questo viene meglio esemplificato dal complesso caso dell'accampamento del 2019 ,fuori dal quartier generale militare a Khartoum, la capitale del Sudan. Ma le tattiche delle rivolte nonviolente tendono a perdere la loro potenza, una volta che i militari hanno preso il potere e si sono impegnati a rimanere fermi. Il risultato è stato reso dolorosamente chiaro dalle conseguenze dei colpi di stato in Sudan e Myanmar. Costringendo la polizia e i militari a ritirarsi, confiscando le loro armi, prendendo d'assalto le stazioni di polizia e saccheggiando i depositi di armi, distribuendo armi alla folla, prendendo d'assalto l'aeroporto e dando fuoco agli edifici governativi, il Kazakistan solleva la questione dell'insurrezione armata. Storicamente ciò significa che, piuttosto che costringerlo a negoziare o a scendere a compromessi, ciò che si cerca è la sconfitta dello Stato in quanto tale. Questa via potrebbe offrire una via d'uscita dalle particolari trappole incontrate finora dalle rivoluzioni del XXI secolo? Le proteste non violente possono far cadere un regime ma non rovesciare lo Stato. L'insurrezione armata potrebbe essere in grado di far cadere lo Stato e non solo il governo. Ma questo, naturalmente, non è senza rischi propri. Non solo un'insurrezione armata che fallisce invita alle peggiori forme di repressione, ma anche quando riesce corre sempre il rischio di una guerra civile.
Ci sono anche probabili ragioni storiche contingenti per cui l'insurrezione armata appaia come un'opzione preferibile in alcuni paesi, ma non in altri. Il Sudan, per esempio, è stato dilaniato dalla guerra civile per decenni. La lotta armata è quindi, comprensibilmente, vista come qualcosa da evitare. Altrove in Medio Oriente e Nord Africa, come in Siria, la svolta verso la lotta armata ha trasformato la rivoluzione in una guerra civile apocalittica. Prendere le armi lì può avere una connotazione diversa che in Kazakistan. C'è anche un precedente di manifestazioni armate nella regione circostante, come durante le proteste di Euromaidan in Ucraina. L'esperienza in Kazakistan non fornisce un modello semplice per quello che si deve fare. La rivolta è solo uno dei numerosi tentativi contemporanei di navigare oltre le impasse del nostro momento. Non è ancora chiaro come i risultati di questa esperienza si contrapporranno alle proteste nonviolente di massa sostenute in Sudan o alla svolta verso la guerriglia insurrezionale in Myanmar. Ma ogni esperimento che raggiunge una certa soglia di intensità offrirà probabilmente importanti lezioni da sintetizzare nella prossima ondata di lotta.
Ritmo e iniziativa
L'insurrezione è un'arte, proprio come la guerra. È soggetta a certe regole che, se trascurate, porteranno alla rovina della parte che le trascura. Queste regole, deduzioni logiche radicate nella natura delle parti e nelle circostanze che affrontano, sono abbastanza semplici che la breve esperienza del 2022 gennaio dovrebbe essere sufficiente per conoscerle.
Mai giocare con l'insurrezione se non si è pienamente preparati ad affrontarne le conseguenze. Quando iniziate, rendetevi conto fermamente che dovete andare fino in fondo.
Concentrate una grande superiorità di forze nel punto e nel momento decisivo, altrimenti il nemico, che ha il vantaggio di una migliore preparazione e organizzazione, distruggerà gli insorti.
Una volta che l'insurrezione è iniziata, gli insorti devono agire con la massima determinazione, e con tutti i mezzi, senza fallire, prendere l'offensiva. La difesa è la morte di ogni insurrezione armata.
Prendete il nemico di sorpresa e cogliete il momento in cui le sue forze sono disperse.
Sforzatevi di ottenere successi quotidiani, per quanto piccoli (si potrebbe dire ogni ora, se si tratta di una sola città), e a tutti i costi mantenete un morale superiore.
Il partito dell'insurrezione deve prendere e mantenere l'iniziativa, imponendo il suo ritmo agli eventi. Nelle parole di Danton, de l'audace, de l'audace, encore de l'audace.
Una presenza armata
L'insurrezione riguarda un certo rapporto con l'uso delle armi. Non è una questione di violenza e nonviolenza, né assomiglia molto alla lotta armata. Si tratta piuttosto di mantenere una presenza armata. Il potere non viene deposto attraverso l'uso delle armi, ma avere armi può aiutare a mantenere lo spazio aperto dalla fuga di polizia e politici. Si tratta di acquisire armi e poi fare tutto il necessario per impedirne l'uso. L'esperienza di Almaty è esemplare in questo senso: le armi sono state saccheggiate e distribuite tra la folla, apparentemente con l'idea di difendere lo spazio aperto dalla rivolta popolare. Tuttavia l'uso delle armi è rimasto secondario e non ha mai dato luogo a gruppi armati specializzati e separati, la cui comparsa spesso mina il sentimento popolare e collettivo della rivolta.
Una sconfitta politica della polizia e delle forze armate è possibile. In una crisi abbastanza profonda, i militari saranno sempre inviati a ristabilire l'ordine. Tuttavia, la storia dimostra che non è mai possibile sapere veramente come agiranno fino al loro arrivo. Una folla abbastanza grande e determinata può costringere l'esercito a fermarsi e rifiutarsi di sparare, o anche a disertare e unirsi agli insorti, specialmente se è possibile fraternizzare con i soldati. Questo è quello che è successo, per esempio, al quartier generale militare di Khartoum nell'aprile 2019 [*9]. Questo spiega anche l'importanza storica della barricata, che crea il tempo e lo spazio necessari per la fraternizzazione [*10]. La sconfitta politica delle forze armate può richiedere qualche scaramuccia, ma non deve diventare una lotta all'ultimo sangue. Al contrario, la sconfitta militare delle forze armate potrebbe non essere possibile. Come attestano i recenti eventi in Siria, Libia e Yemen, la militarizzazione della guerra civile la priva rapidamente di qualsiasi contenuto liberatorio.
Ad Almaty, gli insorti sono riusciti a sconfiggere e disarmare rapidamente la polizia e le altre forze di sicurezza dopo solo alcune brevi schermaglie. Ma lo stato è stato in grado di riorganizzarsi, e la situazione è cambiata rapidamente con l'arrivo di forze armate che erano disposte a sparare sulla folla. Tuttavia, chiedere un intervento straniero evidenzia l'incertezza di Tokayev sulle sue stesse forze di sicurezza. Il punto importante è che nessuno può sapere in anticipo come andrà a finire una situazione come questa, né esiste una regola fissa che stabilisca quali circostanze permetteranno la sconfitta politica di un militare straniero. L'insurrezione significa sempre fare un salto nell'ignoto.
La geografia dell'insurrezione
Il compito generale di ogni insurrezione è quello di diventare irreversibile. Ma come avviene questo? Una volta messa in moto, cosa deve realizzare un'insurrezione? Se le generazioni precedenti di rivoluzionari erano in grado di rispondere in anticipo a queste domande con un certo grado di sicurezza, è perché avevano un maggior bagaglio di esperienza cui attingere. Il bilancio del nostro secolo è insufficiente in questo senso. Tuttavia, anche se il Kazakistan non può fornirci un modello da seguire, ci offre l'occasione di verificare alcune ipotesi attualmente in circolazione.
In primo luogo, si sostiene spesso che la metropoli assumerà un ruolo meno centrale nelle rivoluzioni del XXI secolo [*11]. «Oggi è possibile conquistare Parigi, Roma o Buenos Aires senza che sia una vittoria decisiva», sostiene il Comitato Invisibile. In passato, sembrava che gli insorti avessero semplicemente bisogno di prendere Parigi, o Pietrogrado e Mosca, perché l'insurrezione avesse successo. Ma i rivoluzionari che lo facevano si trovavano poi di fronte al contrasto tra la città rivoluzionaria e la campagna controrivoluzionaria che poi, in un modo o nell'altro, li avrebbe portati alla rovina. Il rapporto tra città e campagna è stato indubbiamente ridisegnato nel secolo scorso. Tuttavia, è degno di nota che la metropoli abbia mantenuto una certa posizione privilegiata nelle lotte contemporanee. Mentre le rivolte spesso iniziano nella periferia di un paese, la più grande città o capitale tende a diventare il centro di gravità, stabilendo il tono e il ritmo per il resto del paese. Questo è spesso il luogo in cui gli esperimenti più avanzati e gli eventi con la posta in gioco più alta tendono ad accadere [*12]. Il presidente del Kazakistan lo ha riconosciuto quando ha detto: «Se avessimo perso Almaty, avremmo perso la capitale e poi l'intero paese».
In secondo luogo, nel loro bilancio sulle rivolte del 2008-2012, il Comitato Invisibile ha sostenuto che il movimento delle piazze si era lasciato incantare dalle rappresentazioni spettacolari del potere, un fatto che alla fine ha lavorato per disarmarli. Se così tante delle battaglie campali delle rivolte di quell'epoca sono state combattute nel tentativo di ottenere l'accesso a importanti edifici governativi, questo è perché «i luoghi del potere istituzionale esercitano un'attrazione magnetica sui rivoluzionari». Ma quando gli aspiranti rivoluzionari riuscivano a prendere d'assalto le sale del potere, le trovavano vuote. Se non ci sono più Palazzi d'Inverno o Bastiglie da assaltare, ha concluso il Comitato nel 2013, è perché «il potere ora risiede nelle infrastrutture di questo mondo» [*13].
Se interpretiamo gli eventi del 5 gennaio ad Almaty da questa prospettiva, diventano possibili diverse letture contrastanti. Si potrebbe sostenere, per esempio, che riunirsi spontaneamente al municipio giorno dopo giorno, tentare di prendere d'assalto le varie sale del potere e infine dargli fuoco, è semplicemente un'intensificazione dei vecchi schemi senza romperli. Ma si potrebbe anche sostenere che, semplicemente bruciando gli edifici governativi e andando avanti, gli insorti stavano dimostrando che non erano né incantati da essi né scioccati di trovarli vuoti. Erano semplicemente un altro aspetto di questo mondo che dovrà essere disfatto. Certe lezioni possono dover essere apprese di nuovo ad ogni ondata di lotta, con la differenza che questo forse avviene ogni volta un po' più rapidamente. In questo caso, potrebbe essere stato necessario per gli stessi insorti sperimentare l'assalto alle sale del potere e trovarle vuote, al fine di rivolgere il loro sguardo verso orizzonti strategici diversi. Ha senso, quindi, che la svolta verso la presa di infrastrutture critiche come l'aeroporto segua l'incendio del municipio in rapida successione.
I limiti della novità
Con l'insurrezione, come con qualsiasi arte moderna, c'è la tentazione di enfatizzare eccessivamente la novità. È facile perdere di vista ciò che rimane coerente. Dopo la rivoluzione del 1848, Georges-Eugène Haussmann fu incaricato di ridisegnare le strade di Parigi. Essendo stato testimone del loro uso durante le successive rivolte, cercò di sostituire i quartieri urbani densi e difendibili, favorevoli alle barricate e alle lotte di strada, con ampi viali aperti. Nell'opinione di Marx ed Engels, il suo lavoro ebbe un grande successo. L'era dell'insurrezione era finita - conclusero - e la politica rivoluzionaria avrebbe dovuto essere ripensata. Blanqui, la testa e il cuore del partito proletario in Francia, la pensava diversamente. Sosteneva invece che il riassetto offriva opportunità sia al partito dell'insurrezione che al partito dell'ordine. Nuove tattiche possono essere necessarie, ma non un ripensamento fondamentale. Questo dibattito è spesso trattato come risolto a favore di Marx, ma il corso effettivo della storia potrebbe aver corrisposto più da vicino alle previsioni di Blanqui. L'esperienza più ricca del secolo insurrezionale di Parigi sarebbe arrivata solo più tardi, con la Comune di Parigi, decenni dopo la Haussmannizzazione. In questa luce, un breve ritorno alle riflessioni sull'insurrezione offerte dalle tradizioni della teoria rivoluzionaria del primo Novecento può rivelarsi istruttivo. A metà degli anni '20, l'Internazionale Comunista distribuì un manuale intitolato "Insurrezione armata", che combinava accurati studi di casi di insurrezioni riuscite e fallite con istruzioni pratiche per prepararsi a quelle future. In esso si sottolinea l'importanza delle vittorie parziali. Un'insurrezione probabilmente non sarà vinta in un momento decisivo. Invece, ogni passo del cammino dovrebbe rimuovere gli ostacoli e costruire lo slancio per il partito dell'insurrezione mentre prosciuga il morale del partito dell'ordine.
Questo significa che bisogna prestare attenzione all'ordine in cui le cose vengono fatte. La prima priorità di ogni insurrezione, sostengono gli autori anonimi, è di prendere e distribuire le armi, neutralizzando le forze armate. La seconda priorità è impadronirsi, e occupare o distruggere, sia gli edifici governativi che le infrastrutture tecniche. I dettagli più fini varieranno molto a seconda del luogo. Per questo motivo, gli autori sottolineano che gli insorti dovrebbero mettere cura nello sviluppo di un piano, o almeno una lista di obiettivi e la loro priorità, prima del tempo. Il peso che questi autori danno alla cattura dei luoghi del potere istituzionale può sembrare una reliquia di un'epoca passata. Anche se può sembrare controintuitivo, essi sottolineano che questi siti hanno spesso un ruolo tattico, e non solo simbolico, nello svolgimento di un'insurrezione. L'importanza dell'assalto al Palazzo d'Inverno durante la Rivoluzione Russa non era dovuta al fatto che il potere era centralizzato allora in un modo che non lo è ora. Oltre al suo significato simbolico, questo evento ha permesso al Partito di arrestare i potenziali leader della controrivoluzione, demoralizzando le poche fazioni delle forze armate ancora disposte a combattere l'insurrezione. Molto è cambiato nell'ultimo secolo. L'Internazionale Comunista dava molto peso al ruolo delle formazioni di quadri disciplinati, che (per quanto ne sappiamo) non sono emerse da nessuna parte in questa sequenza di lotte. Ma, per ora, l'affermazione che le sedi del potere istituzionale hanno meno importanza in un'insurrezione rispetto alle infrastrutture tecniche dovrebbe essere trattata come un'ipotesi da testare e perfezionare, piuttosto che una verità scontata. L'argomento opposto potrebbe anche essere fatto sulla novità dei nostri tempi. Nella nostra società dello spettacolo, i luoghi simbolici del potere possono effettivamente avere più importanza di quanta ne avessero in precedenza, il che spiega la loro attrazione magnetica. Lo spettacolo prodotto dall'assalto al Campidoglio americano, per tutta la sua inettitudine, è probabilmente più significativo che se lo stesso gruppo di persone avesse preso di mira un sito di reale importanza materiale. Allo stesso modo, l'assedio del terzo distretto di Minneapolis è stato importante tanto per le infrastrutture che ha distrutto quanto per lo spettacolo che ha creato. Nella rivoluzione sudanese, questo stesso ruolo spettacolare è stato giocato dall'incendio della sede del partito del Congresso Nazionale al potere ad Atbara, anche se quel sito aveva pochissima importanza infrastrutturale.
Rompere il pavimento di vetro
Usando un registro diverso, Theorie Communiste sostiene che l'ostacolo chiave che la nostra sequenza di lotte deve affrontare non è il salto dalla rivolta all'insurrezione [*14]. Il limite, per loro, è che le lotte non sono riuscite a penetrare il pavimento di vetro nella dimora nascosta della produzione. Le lotte tendono ad emergere nella sfera della circolazione, ma dovranno ritrovare la loro strada nel luogo di lavoro per diventare rivoluzionarie. Finora non ci sono state innovazioni serie che puntassero in questa direzione. Questo forse riflette l'attuale immaturità del nostro ciclo di lotte, la grande distanza tra il punto in cui ci troviamo e l'orizzonte rivoluzionario. Ma potrebbe anche indicare che TC semplicemente non sta ponendo le domande giuste. La teoria comunista spesso tratta la società capitalista come un problema logico al quale la rivoluzione o il comunismo emergono come la soluzione locale. Ma la storia raramente si svolge in modo così logico. Nelle settimane successive alla repressione della rivolta, il Kazakistan ha visto un'ondata di agitazioni sindacali [*15]. Come la rivolta stessa, questa è iniziata nella regione del Kazakistan occidentale, produttrice di petrolio, e poi si è diffusa altrove. All'inizio i lavoratori del petrolio hanno scioperato in solidarietà con il movimento di protesta, come hanno fatto i lavoratori del rame nel sud-est. Poi i lavoratori del petrolio hanno scioperato di nuovo chiedendo salari più alti, come hanno fatto poco dopo i lavoratori delle telecomunicazioni, gli autisti di ambulanze e i vigili del fuoco. Anche i corrieri della gig economy hanno iniziato a minacciare azioni industriali. Il pavimento di vetro sta cominciando ad incrinarsi? Al momento, è troppo presto per dire se questa manciata di manifestazioni sono l'inizio di un'ondata di scioperi nazionali o se si esauriranno semplicemente. Ma vale la pena ricordare, come sottolinea Rosa Luxemburg, che gli scioperi spontanei sono ciò che ha tenuto accesa la brace tra i picchi e le pause della rivoluzione del 1905 [*16].
L'eclissi e il riemergere della geopolitica
La teoria comunista è un tentativo di fornire un resoconto della società capitalista e del suo superamento. Al fine di descrivere come un tale superamento rivoluzionario potrebbe svolgersi, essa presta attenzione alle lotte che avvengono all'interno della società capitalista e ai limiti che esse incontrano. Questi limiti sono spesso visti come interni alle lotte stesse.Per esempio, molti partecipanti alla rivolta di George Floyd direbbero probabilmente che il movimento è stato sconfitto dallo Stato, attraverso una combinazione di repressione e cooptazione. I resoconti dei pro-rivoluzionari dell'epoca tendono a raccontare una storia diversa. Alcuni tendono a concentrarsi sulla composizione del movimento, e su come le separazioni lungo le linee di razza e di classe siano riemerse al suo interno, impedendo la sua capacità di estendersi e intensificarsi [*17]. Altri resoconti descrivono come sia emerso un apparato di movimento sociale che ha catturato il movimento reale della rivolta e ne ha reindirizzato l'energia [*18]. In entrambi i casi, piuttosto che sottolineare come sia stato sconfitto, queste analisi tendono a concentrarsi su quali ostacoli sono emersi dall'interno del movimento che non è stato in grado di superare. Una certa distanza porta a una certa oscurità. Ma c'è poco che indichi che la rivolta in Kazakistan si sia sgretolata sotto il peso dei suoi stessi limiti. Né i giornalisti né i compagni sul terreno forniscono molte prove che siano emerse separazioni all'interno della lotta o che la rivolta sia stata in qualche modo contenuta da un movimento sociale. Forse le cose si sono semplicemente mosse troppo velocemente perché i limiti interni potessero emergere chiaramente. Ma la rivolta sembra invece essere stata semplicemente sconfitta dalle forze armate dello stato, sostenute dall'intervento straniero. Può essere che il nostro desiderio di un resoconto troppo semplice e teoricamente coerente dei limiti interni della lotta ci abbia fatto mancare gli ostacoli più immediati sulla strada della rivoluzione. La teoria comunista oggi dovrà fornire un resoconto di questi ostacoli esterni, lo stato e la geopolitica, così come della loro rovina.
Una nuova internazionale
L'insurrezione ovunque è immediatamente una preoccupazione globale. Ci sono due ragioni per questo. Primo, poiché le lotte viaggiano e si diffondono per risonanza, un successo ovunque può ispirare tentativi simili ovunque. Ciò che inizia come una rivolta locale può molto rapidamente rappresentare una minaccia esistenziale per l'intero ordine globale della società capitalista. Questo spiega perché le sporadiche esplosioni di contestazione rivoluzionaria oggi sono contrastate da un'organizzazione internazionale di repressione che opera con una divisione globale dei compiti. In ultima istanza, tutto il peso del partito globale dell'ordine sarà portato contro qualsiasi insurrezione locale.
In secondo luogo, in un mondo sempre più multipolare, ogni crisi offre un'occasione per rinegoziare gli equilibri di potere regionali e globali. Le insurrezioni vengono rapidamente assorbite nei conflitti tra le diverse potenze globali. Oltre a confrontarsi con la forza repressiva del partito globale dell'ordine, diventano anche un luogo in cui diverse fazioni di quel partito regolano i loro conti tra loro. Le insurrezioni sono quindi immediatamente confrontate con il problema della geopolitica.
Se gli sforzi rivoluzionari di oggi sono abbandonati alla repressione, è perché non è nell'interesse di nessun potere esistente sostenerli. Finora non esiste un'organizzazione pratica dell'internazionalismo rivoluzionario che le sostenga.
«I rivoluzionari sono ovunque, ma da nessuna parte c'è una vera rivoluzione», dichiarò una volta l'Internazionale Situazionista in un momento non dissimile dal nostro [*19]. Ma è attraverso questa produzione di rivoluzionari, come la chiamava Camatte, che possiamo immaginare una via d'uscita da questo inferno geopolitico [*20]. Questo ci permette di intravedere le coordinate fondamentali di una geopolitica proletaria, o di una nuova internazionale.
Ogni tentativo di rivoluzione, ogni lotta di massa, lascia nella sua scia una nuova generazione di rivoluzionari. Al Cairo, a Khartoum, a Santiago e altrove, le rivolte lasciano dietro di loro persone che non possono tornare indietro da ciò che hanno vissuto. Cercano allora di ritrovarsi e di prepararsi. Questi nuovi rivoluzionari tentano di venire a patti con il significato della loro esperienza, così come con i suoi limiti e le sue lezioni.Per il momento, questa riflessione è spesso limitata a questioni puramente pratiche. Quali tattiche hanno funzionato e dovrebbero essere ripetute? Quali errori hanno portato alla sconfitta? Qua e là queste tattiche, e le riflessioni su di esse, si diffondono altrove, fornendo ad ogni ondata di lotta un certo grado informale di coordinamento. Ma col tempo, questo coordinamento potrebbe aver bisogno di diventare più intenzionale per superare i seri ostacoli posti dal partito globale dell'ordine. La nuova corrente rivoluzionaria, ovunque appaia, dovrà collegare questi diversi gruppi ed esperienze. Dovrà trovare una base coerente su cui unificare i loro progetti. Da ciò dovrà emergere una forza capace di coordinare e sostenere gli sforzi rivoluzionari ovunque essi appaiano.
Onde e vortici
Le ondate di lotta sono spesso eventi globali, ma tendono ad essere vissute come regionali. Nel 2011 o nel 2019, come nel 1968, nel 1917 e nel 1848, le rivolte sono avvenute quasi contemporaneamente in quasi tutto il mondo. Allo stesso tempo, è probabile che i loro partecipanti le abbiano vissute in termini di particolari consistenze regionali. Le rivoluzioni della primavera araba in Medio Oriente e Nord Africa tendevano a prestare la massima attenzione l'una all'altra, attingendo alle lezioni di ogni esperienza, anche se ispiravano rivolte simili in tutto il mondo. In Asia orientale o nei Balcani, una costellazione altrettanto specifica di lotte ha tratto lezioni l'una dall'altra prima di tutto. Questo è vero anche se, a volte, le tattiche che emergono da una costellazione diventano virali, fornendo ispirazione anche per lotte più lontane. Queste onde regionali potrebbero essere chiamate vortici [*21]. Il contesto più immediato per la rivolta in Kazakistan è un vortice regionale di lotte nelle ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale e dell'Europa orientale. Questo include le recenti rivolte in Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina. Queste sono le esperienze di cui i partecipanti in Kazakistan sono senza dubbio più consapevoli. Questa consapevolezza ha fornito al movimento sia un repertorio tattico che un senso delle possibilità e dei limiti. Il Kirghizistan, che ha sperimentato tre rivolte negli ultimi decenni, compresa una che ha bruciato il parlamento e altri edifici governativi, sembra essere un punto di riferimento particolare.
La risonanza tra le lotte in questa regione non è solo dovuta alla loro comune vicinanza. Le ex repubbliche sovietiche condividono un certo grado di integrazione economica, così come l'appartenenza a un patto di sicurezza reciproca. Questo significa che gli eventi in un paese hanno abbastanza rapidamente un impatto sugli altri. Ma soprattutto, ogni paese condivide un sistema politico ed economico modellato su quello della Russia. Il successo dell'avanzata di una lotta in qualsiasi parte della regione evidenzia quindi la vulnerabilità di tutti i governi autoritari della regione e fornisce un repertorio tattico che potrebbe essere replicato altrove. Disordini in qualsiasi parte della regione significa la possibilità di disordini ovunque, e quindi solleva la questione dell'intervento russo per ripristinare l'ordine regionale.
Guerra e insurrezione
La crisi in Ucraina può essere meglio compresa come risultato delle turbolenze suscitate da questo vortice di lotta. Durante le proteste di Euromaidan del 2014, il presidente filorusso e gran parte della sua amministrazione hanno lasciato il paese. Un nuovo governo è salito al potere, che ha iniziato a corteggiare un rapporto più stretto con l'Unione europea. Allo stesso tempo, l'esercito russo è intervenuto, annettendo la Crimea e fornendo sostegno ai movimenti separatisti in Ucraina orientale. Questo ha messo in moto la catena di eventi che ha portato all'attuale resa dei conti geopolitica al confine ucraino [*22]. Questo processo è stato probabilmente accelerato prima dalla rivolta in Bielorussia, poi da quella in Kazakistan. Nelle parole del Financial Times, «Mentre osserva ciò che sta accadendo a Nazarbayev, un uomo da cui ha tratto ispirazione, Putin potrebbe essere ancora più desideroso di un successo diplomatico o, in mancanza di questo, militare, da poter vendere al suo pubblico». O, come ha detto eloquentemente CrimethInc: « I potenti governi non staranno a guardare e a lasciare che la gente comune sviluppi il gusto di rovesciarli. Saranno spinti ad intervenire, come ha fatto la Russia in Ucraina, nella speranza che la guerra possa vincere l'insurrezione. La guerra è un modo di chiudere le possibilità - di cambiare il soggetto. È un affare rischioso, tuttavia; può aiutare i governi a consolidare il loro potere, ma la storia mostra che può anche destabilizzarli ».
Per quanto questi eventi siano la logica conseguenza del ruolo che ha la Russia nel reprimere i disordini nella sua sfera d'influenza, le manovre di Putin sembrano anche intese a evitare la possibilità di disordini in casa. Con i tumulti che circondano il nucleo, la guerra offre la possibilità di spingerli nuovamente nella sfera della politica internazionale. Il confronto con la NATO mette Putin nella posizione di essere uno sfavorito che si oppone all'imperialismo occidentale, cosa che può, almeno per breve tempo, stimolare un sentimento nazionalista in casa. Questo funziona a livello di sentimento popolare, ma potrebbe anche funzionare per mantenere compatta la sua coalizione oligarchica grazie alla pressione esterna. Le sanzioni che provocano, forniscono anche una copertura per la situazione economica ritardataria della Russia.
«First We Take Moscow, Then We Take Berlin» [Leonard Cohen]
Le difficoltà che attraversiamo in questo momento, in un certo senso, riecheggiano quelle di un'epoca precedente. A questo proposito, i paralleli storici non mancano. La minaccia di un intervento straniero incombeva sulle rivoluzioni del 1848, come una spada di Damocle. La Russia, il paese più grande e conservatore d'Europa, era stato il meno colpito dall'ondata di disordini in corso quell'anno, e il più impegnato a preservare l'ordine vigente. I rivoluzionari temevano che se una rivolta fosse riuscita ad andare abbastanza lontano da sconvolgere lo stato attuale delle cose, l'impero zarista si sarebbe semplicemente limitato a invadere, per ristabilire l'ordine. Questa minaccia, alla fine si avverò in Ungheria e in Romania. La Russia, in un certo senso, funzionava come un esercito industriale di riserva della controrivoluzione.
Marx avrebbe trascorso gran parte del resto della sua vita per cercare di scoprire quali fossero le condizioni di possibilità di una rivoluzione nella Russia stessa. La rivoluzione russa, pensava, avrebbe potuto essere un prerequisito necessario per il ritorno della rivoluzione nel continente europeo. Sembra che avesse ragione. Solo quando lo stesso impero russo venne dilaniato dai disordini, nel 1905 e poi nel 1917, ci fu allora un'altra ondata rivoluzionaria che avrebbe attraversato l'Europa e, ben presto, gran parte del mondo.
La Russia potrebbe giocare un ruolo simile oggi? Ogni rivolta che avviene in Asia centrale o in Europa orientale, accade sotto la minaccia dell'intervento russo. In luoghi più lontani dalla sua immediata sfera di influenza, la Russia ha fornito copertura finanziaria, militare e diplomatica alle controrivoluzioni in Siria, in Sudan e altrove. Ancora una volta, la Russia appare ancora una volta come il garante ultimo del partito globale dell'ordine. « Putin non è il gendarme d'Europa », ha detto recentemente un anarchico finlandese, « ma il gendarme del mondo intero » [*23]. Nel gennaio del 2022 è stata la terza volta, nell'ultimo decennio, che le truppe russe sono intervenute in una rivolta nella regione. Ma ogni volta, per la Russia, si tratta di una vittoria di Pirro. Ogni suo intervento serve sempre a rendere le popolazioni locali ostili alla Russia, come è avvenuto nel caso dell'Ucraina. Per essere più precisi, ogni volta che uno Stato - il quale è un'immagine speculare della Russia di Putin - si dimostra talmente vulnerabile ai disordini popolari da richiedere un intervento straniero, questa sequenza fa un ulteriore passo in avanti verso la sua conclusione: una rivolta di massa nella Russia stessa. La Russia potrebbe anche non essere più l'«anello debole della catena imperialista». Ma se la Russia viene trascinata nel vortice della lotta in quella regione, potrebbe essere temporaneamente meno capace di intervenire altrove. Il fatto che la Russia debba giocare con un handicap nel gioco geopolitico non è la fine del gioco stesso. Il partito globale dell'ordine è, in ultima istanza, composto da un numero qualsiasi di potenze regionali e globali. Ma questo ci consente di iniziare a pensare a una sequenza in cui il disfacimento dell'ordine geopolitico diventa possibile, e che potrebbe essere una condizione necessaria ma non sufficiente per la rivoluzione sociale oggi.
Senza la minaccia immediata di un'invasione, le prossime rivolte nella regione ex sovietica possono dare un'idea migliore di cosa significherebbe per un'insurrezione diventare irreversibile. La prossima rivoluzione in un posto come la Siria o il Sudan, potrebbe avere abbastanza respiro, a causa della mancanza di ostacoli esterni, da poter iniziare ad affrontare i propri limiti interni. Questo aumenta significativamente la possibilità di una svolta rivoluzionaria. Può perfino significare l'emergere di qualcosa come la Comune. Un'innovazione ovunque, avrà conseguenze immediate ovunque, specialmente se si verificherà nel contesto di una nuova ondata globale di lotta, proprio mentre le diverse lotte si affrettano ad adattare ciò che corrisponde meglio alla loro situazione. Ben presto, in una sequenza del genere, in questa guerra civile globale potrebbe essere raggiunto un punto nel quale non sarebbe più possibile tornare indietro.
- Anonimo - Pubblicato il 24/2/2022 - Fonte: Ill Will -
NOTE:
[*1] - Stiamo qui usando il termine "teoria" in un senso più espansivo di quanto sia spesso usato. Man mano che le lotte di massa emergono, hanno luogo dibattiti, tra i loro partecipanti e la società in generale, riguardo ciò che stanno facendo, e su ciò che questo significa. Quando queste lotte si scontrano ripetutamente con i loro limiti, tali limiti vengono formalizzati, ufficializzati. Viene dato loro un nome, e vengono assunti e posti come fossero domande a cui rispondere. Il dibattito, poi ruota intorno a come questi limiti verranno superati. "Teoria" è il termine che abbiamo usato per descrivere tutto questo processo di discorso pubblico e privato di massa. Gli scritti pubblicati nelle riviste di teoria, come questa, costituiscono un momento di questo processo in corso.
[*2] - Sui Gilets Jaunes in Francia, Paul Torino & Adrian Wohlleben, "Memes with Force", Mute, febbraio, 2019. Online qui. Sulla rivoluzione in Sudan, Anonymous, "Theses on the Sudan Commune", Ill Will, aprile 2021. Online qui.
[*3] - Raoul Vanaigem - "Trattato Di Saper Vivere Ad Uso Delle Nuove Generazioni".
[*4] - L'attuale confronto intorno all'adesione dell'Ucraina alla NATO, sembra però indicare che lo scopo geopolitico originario di questi patti non si è ancora completamente esaurito.
[*5] - Vedi The New York Times, "Revolt in Kazakistan".
[*6] - Per esempio, vedi The New York Times, "Russian-Led Alliance Begins Withdrawing Troops From Kazakhstan." Online qui.
[*7] - A causa della rapidità con cui le cose sono degenerate e poi sono state represse, è difficile parlare con sicurezza di quale sia la composizione del movimento. Le folle ad Almaty sono state descritte da un osservatore nei seguenti termini: «[i] manifestanti iniziali erano persone che tradizionalmente protestano... [ma] sono stati raggiunti dai giovani della periferia... i poveri che sono insoddisfatti dello sconcertante divario sociale che esiste in Kazakistan». Vedi Financial Times, "Agitazioni in Kazakistan: 'banditi', 'terroristi' stranieri o disordinata lotta di potere?" Online qui.
[*8] - Vedi Financial Times, "QAnon è un gioco finito male?" Online qui.
[*9] - Vedi Anonymous, "Theses on the Sudan Commune", Ill Will, aprile 2021. Online qui.
[*10] - Vedi Eric Hazan, "History of the Barricade".
[*11] - Per esempio, vedi "L'insurrezione che viene", del Comitato Invisibile. Online qui.
[*12] - Questo non vuol dire che non ci siano stati esperimenti significativi con dei movimenti con sede fuori dalle città, come la ZAD e i No-TAV. Questo per dire che le rivolte a livello nazionale tendono a rapprendersi nelle grandi città
[*13] - Vedi Il Comitato Invisibile, "Ai nostri amici". Online qui. Per una discussione simile vedi, CrimethInc, "Belarus: 'When We Rise.'" Online qui.
[*14] - Vedi Théo Cosme, "The Glass Floor". Online qui.
[*15] - Vedi Joanna Lillis, "Kazakhstan: After civil unrest, industrial unrest spikes". Online qui.
[*16] - Vedi Rosa Luxumburg, " the Mass Strike, the Political Party, and the Trade Unions.” Online qui.
[*17] - Per esempio, vedi New York Post-Left, "Welcome to the Party". Online qui.
[*18] - Vedi Adrian Wohlleben, "Memes without End", Ill Will, maggio 2021. Online qui.
[*19] - Vedi Internazionale Situazionista, “Address to the Revolutionaries of Algeria and of All Countries”. Online qui.
[*20] - Vedi Jacques Camatte, "On the Revolution". Online qui. Per un'ulteriore discussione sulla "produzione di rivoluzionari", vedi Endnotes, "Onward Barbarians". Online qui.
[*21] - Endnotes ne fornisce un esempio nella loro discussione della rivolta del 2014 in Bosnia: «I manifestanti in Bosnia hanno inteso sé stessi vedendosi come parte di una più ampia ondata di movimenti nella regione, usando forme e idee sviluppate per la prima volta negli stati vicini come la Serbia e la Croazia. Questi sentimenti di solidarietà vennero ricambiati: durante le proteste, ci furono dimostrazioni di solidarietà con il movimento bosniaco in quasi tutti i paesi dell'ex Jugoslavia, compresi Macedonia, Serbia, Croazia e Montenegro. Le rivolte nell'ex-Jugoslavia sembravano venissero osservate da vicino, e aver così influenzato le reciproche modalità di azione negli ultimi anni. Infatti, prima dello stesso movimento bosniaco, molti hanno osservato un'ondata di proteste nella regione, paragonandola all'ondata globale di lotte del 2011-13, e sollevando persino la prospettiva di una primavera balcanica. In Croazia, Slovenia, Bulgaria, Serbia, i commentatori hanno notato il sorgere di nuove modalità di protesta con - anche se su scala minore - aspetti simili ai recenti movimenti di piazza». Vedi "Gather Us From Among the Nations.". Online qui.
[*22] - Per una discussione più ampia su questo, vedi CrimethInc, "War and Anarchists: Prospettive anti-autoritarie in Ucraina". Online qui.
[*23] - Vedi CrimethInc, "Ukraine: Between Two Fires.". Online qui.