Canfora & Ieranò ci raccontano come in Grecia e nell'antica Roma esistesse già la Merce; e che quella più preziosa sarebbe stata la cosiddetta forza lavoro!!! Non contenti, usando addirittura «l'oscuro Eraclito» (sic!), ci spiegano - soprattutto a chi come me non ritiene che le civiltà antiche costituissero un capitalismo in embrione - che quella preziosa merce avrebbe costituito la base di una (indovinate cosa?!?? ma certo): l'Economia, la quale sarebbe stata la base di un modo di produzione che, a partire dalla guerra – indispensabile a procacciarla; non si capisce perché non allevarla invece!!?? Tutto questo sembra quasi tradire il desiderio dei due brillanti teorici che una società così, data l'infrazione migrante, potrebbe anche costituire una sorta di perfezionamento, dando continuità così a questo nostro splendido capitalismo che muore, che non sa che farsene dei superflui.
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«In tempi schizzinosi una diagnosi quale “le società antiche greca e romana erano slave societies, società schiavistiche” veniva accolta, come relitto paleo-marxista, con ironica condiscendenza. È perciò confortevole – a rettifica delle storture dovute alle mode – leggere, in un insospettabile e rigoroso repertorio scientifico, Der Neue Pauly (volume XI, Stuttgart-Weimar 2001), quella ben fondata diagnosi, addirittura reiterata più volte: nella voce Commercio di schiavi (Sklavenhandel), firmata da Paul Cartledge (col. 621), e nella voce Schiavitù in Grecia (Sklaverei, III, Griechenland), firmata da Hans-Joachim Gehrke (col. 627). Gli adoratori delle mode si mettano l’animo in pace. La struttura fondamentale delle società antiche, cioè il basamento schiavistico, ha varie implicazioni: la più rilevante è il nesso strettissimo con la guerra».
Partendo da una lettura dei documenti e delle fonti, priva di pregiudizio e coltissima, lo storico e filologo Luciano Canfora ha la capacità di rendere sorprendenti e piacevoli (e il più delle volte anche attuali) gli argomenti antichistici di cui scrive. Qui la sua lente si sofferma sul «modo di produzione bellico». È descritto il circuito guerra-rapina-guerra su cui si fondavano le economie schiavistiche e imperialistiche della Grecia e di Roma. Un meccanismo che portava una sua autodistruttiva contraddizione interna. E non poche volte i testimoni del tempo che Canfora rilegge, la rilevavano e denunciavano.
(dal risvolto di copertina di: Luciano Canfora, "Guerra e schiavi in Grecia e a Roma. Il modo di produzione bellico". Sellerio, pp.128, €13)
Atene e Roma combattevano per la merce più preziosa: gli schiavi
- di Giorgio Ieranò -
«Senza gli schiavi, ventimila ateniesi non avrebbero potuto deliberare tutti i giorni sulla pubblica piazza», scriveva Benjamin Constant nel suo “Discorso sulla libertà degli antichi comparata con quella dei moderni" (1819). Un approccio realistico al mondo dell'antica Grecia che implicava una visione critica della tanto celebrata democrazia di Atene. La critica però diventa elogio, alcuni decenni più tardi, nelle parole di Thomas Cobb, generale dell'esercito confederato durante la guerra civile americana, morto combattendo i nordisti a Fredericksburg. Cobb scriveva, infatti, nel suo "Historical Sketch of Slavery"(1859): «Lo schiavismo è un elemento essenziale in una vera repubblica, per preservare una perfetta eguaglianza tra i cittadini e per far crescere e incoraggiare lo spirito di libertà». Si parla,ogni tanto, di «abuso» degli antichi. Ma ci sarebbe da chiedersi se quello di Cobb fosse davvero un «abuso»: gli ateniesi del tempo di Pericle o i romani dell'età di Giulio Cesare, probabilmente, si sarebbero riconosciuti pienamente nelle sue parole. Il tema dello schiavismo nel mondo antico è discusso da tempo. Negli ultimi decenni, attenuatosi anche l'influsso della dottrina marxista sugli studi storici, si è talvolta cercato di sfumare la visione proposta da grandi storici come Moses Finley che individuava in Atene e Roma due «società schiavili» (slave societies) in cui il ricorso alla manodopera servile era largamente diffuso e fondamentale per sostenerne la struttura. Ma in questo libro Luciano Canfora, con il suo straordinario rigore filologico e con la sua visione non consolatoria del mondo antico, rimette al centro il grande tema della schiavitù. Insistendo soprattutto su due motivi: la connessione tra guerra e schiavitù e il numero impressionante degli schiavi, variamente attestato da testimonianze antiche sulle quali molti storici moderni hanno esibito un non giustificato scetticismo.
Per il primo tema, schiavi e guerra, suggerisce Canfora, basterebbe iniziare leggendo Omero. Tutta la trama dell'Iliade nasce, del resto, dalla contesa tra Achille ed Agamennone intorno a due schiave di guerra. Che la conquista di una città, oppure le razzie piratesche in cui i greci, come i fenici o gli etruschi, si distinguevano fin dai tempi più remoti, servissero anche per rifornirsi di manodopera servile è nozione ovvia nei poemi omerici. E non è un'invenzione poetica ma un tratto realistico. Si leggano, per esempio, le parole di Ettore ad Andromaca in uno dei passi più celebri dell'Iliade. L'eroe troiano ha ben chiara la visione di cosa lo attende dopo la sconfitta. Sa che lui e gli altri guerrieri cadranno in battaglia ma prefigura anche il destino di sua moglie: «Io penso a te, a quando qualcuno degli Achei vestiti di bronzo ti priverà del giorno della libertà e ti trascinerà via in lacrime; a quando in Argo dovrai tessere stoffe per un'altra donna o porterai acqua dalle fonti, contro il tuo volere, costretta dalla dura necessità; e forse qualcuno dirà vedendoti piangere: "È la sposa di Ettore che fra i Troiani domatori di cavalli era il più forte quando si combatteva intorno a Ilio". Ma possa io morire,possa ricoprimi la terra prima che ti sappia trascinata in schiavitù». Vari episodi della storia greca, evocati da Canfora, confermano questa realtà. Per esempio, nel 416 a. C., la vendita sul mercato degli schiavi di tutte le donne e i bambini dell'isola di Melo, schiacciata dagli ateniesi. Del resto, lo diceva anche Eraclito, per una volta almeno con parole tutt'altro che oscure: «La guerra (polemos) è padre di ogni cosa, è il re di ogni cosa. E la guerra che ha reso alcuni schiavi, altri liberi».
Ma quanti erano effettivamente gli schiavi nelle società antiche? Le testimonianze concordano sul fatto che il loro numero era alto. L'oratore Lisia diceva che «tutti gli Ateniesi posseggono schiavi». Una circostanza che, scrive Canfora, sembra confermata anche da una commedia di Aristofane, il Pluto, dove il protagonista, Cremilo, sebbene afflitto dalla povertà,ha tuttavia almeno due schiavi. Del resto, Tucidide racconta che, nel 413 a. C., approfittando dell'invasione spartana nel territorio dell'Attica, ben ventimila schiavi fuggirono da Atene. Mentre, secoli più tardi, stando alla testimonianza di Tito Livio, i romani razziarono addirittura 150mila schiavi dall'Epiro. Nel mercato di schiavi dell'isola di Delo, uno dei centri commerciali più importanti del mondo antico, secondo il geografo Strabone, si arrivava del resto a vendere decine di migliaia di schiavi in un solo giorno. Non c'è motivo, dice Canfora, di dubitare di queste cifre, come spesso si è fatto. Ci si può così rendere conto anche della dimensione reale delle cosiddette guerre servili che spesso afflissero il mondo romano (culminando nella celebre rivolta di Spartaco). Guerre in cui, secondo un altro erudito, Ateneo, morì più di un milione dischiavi. Un libro, insomma, quello di Canfora, che non è solo un esercizio avvincente di critica filologica e di ricostruzione storica, ma anche un antidoto al fiume di melassa classicistica che, spesso, nella pubblicistica corrente, avvolge la realtà del mondo antico.
- Giorgio Ieranò - Pubblicato su Tutto Libri dell'11/11/2023 -
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