giovedì 18 aprile 2024

A ‘nciuria..

Sicilia, 1943. Paolino Rasura ha sette anni. Per sfuggire alle prepotenze di un gruppo di ragazzini, accetta di fare una prova di coraggio: entrare nel Giardino di Filippu, un uomo che vive isolato su una collina e passa il tempo a scolpire teste. Il Giardino è un posto incantato, dove migliaia di teste di pietra convivono fra gli ulivi, testimoni del tempo e delle stagioni. Paolino e Filippu così si conosceranno, e il vecchio diventerà per il bambino amico e consigliere negli anni complessi che vanno dallo sbarco degli americani fino alle prime lotte per le terre. Intorno a loro si muove il paese di Santafarra, un’intera comunità fatta di antichi segreti, rivalità, spinte al cambiamento e riti sempre uguali. Nei quattro anni che lo trasformano da bambino a ragazzo, Paolino, sempre in bilico fra viltà e desiderio di riscatto, conoscerà il tradimento, la morte, l’amore.
Con una lingua che mescola italiano e dialetto a creare un nuovo impasto, plastico e mimetico alla trama, Veronica Galletta ci racconta un periodo della storia siciliana che è meno lontano di quanto appaia, con riferimenti alla tradizione letteraria isolana, nel solco dell’ambiguità fra reale e fantastico che ha già caratterizzato i suoi romanzi precedenti.

(dal risvolto di copertina di: VERONICA GALLETTA, "Pelleossa". MINIMUM FAX, Pagine 345, €18)

Famiglia di terra, famiglia di mare
- di Ermanno Paccagnini -

Campiello Opera Prima con Le isole di Norman (Italo Svevo, 2020), è però con Pelleossa che Veronica Galletto ha esordito, giungendo con il romanzo finalista al Neri Pozza Inediti del 2017. Un inedito sul quale l’autrice è ritornata, come suggerisce il cambio d’ambientazione: non più Sciacca, ma un «paisì», Santaforra, che, da una «collina senza nome, propriamente a metà fra il Monte Cronio e la Cava d’Istrice», «si allungava sul mare come una ciucertola». Un romanzo di maturità, nella struttura narrativa, ma soprattutto nella coraggiosa opzione linguistica, affidando il romanzo a una commistione siculo-italiana, con la quale entri subito in confidenza, ritrovandoti d’un botto nel mondo di Paolino Rasuna, un ragazzo di «sette anni e quattro mesi, che a pensarci bene nun sù accussì picca per afferrare certe cose del mondo, come quelle che sarebbero accadute», in quel «luglio del 1943 quando questa storia accuminciò», con l’arrivo a Santaforra di «L’Americani!». Paolino abita in quella Casa Verde, «una bella casa grande, circondata da un grande portico, da cui si vedeva il mare» e che «si vireva da tutta Santafarra». Una casa ossimoricamente, però, abitata dai Rasuna, una famiglia di pescatori da generazioni che si porta appresso «l’ingiuria» di Pelleossa, che si trova a vivere al proprio interno il disaccordo paesano tra Terragni e Soli (quelli che, come loro, vivono di pesca): perché, mentre Felice, padre autoritario, e «su figghiu Pascali» figurano quasi sempre in barca, il primogenito Calogero, dato a lungo come disperso in guerra e infine persino per morto, e lo stesso Paolino, soprannominato con l’«ingiuria tormentosa» di «Ncantesimo» perché «a volte mi rimango a pensare, e se mi pàrrunu, se accade un fatto... non me n’adduno», e per liberarsi del quale affronta una prova di coraggio, sono terragni; con addirittura Calogero impegnato nelle lotte per la terra contro i latifondisti, eredità (anche fisionomica: capelli biondi e occhi «cilesti») della madre «normanna» Lucia Iodice, dagli «occhi grandi, l’espressione liquida e nervosa» e «bionda e alta come il padre» Silvestro, spirito libero che da «quando era morta la moglie aveva cominciato a girare per i paesi, a vendere i suoi cesti».

Una prospettiva dall’alto che spiega quell’abbraccio narrativo che fa della vicenda un romanzo corale, con ben 8 famiglie e 57 personaggi (più una «gatta gattonzola», la «ciucertola» Fatuzza, due cani e sei Teste di parlanti del Giardino) richiamati nelle iniziali «Coordinate per orientarsi meglio». Un autentico fiorire di personaggi, perché si muovono, accanto ai protagonisti Rasura, figure topiche istituzionali da paese, come pure figure di «irregolari», alle quali Paolino, muovendosi spesso col fratello maggiore Ciccio, il «figlio scimunito» va appoggiandosi, «per trovare un punto attorno al quale fare girare i pinsèri e liberàrisi dei sogni». Ed ecco «Filippu de li Testi, scultore di umanità», il «Pazzo» che nel suo Giardino va scolpendo migliaia di teste d’ogni tipo e dimensione, sei delle quali (Garibaldi, Toro Seduto, Pirandello, Freud, d’Annunzio e Vittorio Emanuele), parlano spesso a Paolino, che in quel Giardino s’è intrufolato per una «prova di coraggio»; ma pure il cieco e sordo Zu Ntoni, che riconosce ogni paesano dall’odore: i due soli che «parevano non aspettari nenti, perché la loro vita era sempre a stissa». E questo mentre il sognatore Paolino «aspettava la parola dei vivi e il ritorno dei morti, in un modo tutto suo, come di chi aspetta senza aspettare, assaggiando la paura, la vergogna del tradimento nei confronti di Giacinto, un tempo suo amico, ma che s’era allontanato», e sentendosi «prigioniero della sua vigliaccheria» al funerale del sindacalista assassinato Angelo Foglia, padre di Natàlia, di cui egli s’innamora. Si tratta di un romanzo di storie nella storia (e nella Storia: una piccola comunità siciliana paesana in tempo di liberazione, referendum, lotte agrarie). Storie vivissime, radicate talora nel dolore e nei rimpianti ai quali comunque reagire creativamente senza rimuoverli: come Filippu, espulso dall’America e col sogno di riunirsi alla sua Meri; Zu Ntoni che vive coi segni della solfara di Finisterre saltata «in aria»; ma pure di Lucia con la storia dell’agricoltore anarchico Cosimo Lena (che fornisce al lettore materiale agnitivo sulla famiglia Rasura). Un racconto nella prospettiva e nel filtro d’un Paolino che in questi quattro anni «stava criscennu, e fra poco tempo si sarebbe trasformato in Paolo, allontanandosi dall’infanzia per sempre». E che s’inserisce a pieno titolo nella tradizione narrativa siciliana, ispirandosi per diversi personaggi — come dichiarato nel conclusivo «A ciascuno il suo» — alla realtà (spesso tragica) di quegli anni, ma pure alla letteratura, in primis a Gesualdo Bufalino e Leonardo Sciascia.

- Ermanno Paccagnini - Pubblicato su La Lettura del 29/10/2023 -

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