Absolutely Inflexible
- di Robert Silverberg -
In un angolo del piccolo ufficio, sul detector, lampeggiò una debole luce rossa. Mahler, con uno stanco gesto della mano, la indicò al viaggiatore del tempo che lo fissava dall’altra parte della scrivania con i suoi occhi tristi, standosene goffamente appollaiato su una sedia, confinato com’era nell’ingombrante tuta spaziale che era costretto ad indossare. «Ecco» disse Mahler, tambureggiando sulla scrivania. «Ne hanno appena trovato un altro. Siamo costantemente bombardati da voialtri. Quando arriverà sulla Luna, ne troverà una cupola piena. Da quando ho assunto l’incarico di questo dipartimento, ce ne ho mandati più di quattromila. E questo è stato otto anni fa; nel 2776. Una media di cinquecento all’anno. E non c'è giorno senza che qualcuno capiti qui da noi.». «E mai nessuno è stato rilasciato.» sottolineò l'altro. «Ogni viaggiatore del tempo arrivato qui, è stato spedito immediatamente sulla Luna. Nessuno escluso.» «Nessuno escluso...» ripeté Mahler. Poi guardò attraverso i suoi spessi occhiali per cercare di capire che tipo di uomo stesse nascosto dentro la tuta spaziale. Spesso Mahler si poneva delle domande sugli uomini che così facilmente condannava alla Luna. E questo era piccolo di statura, con sottili riccioli di capelli bianchi, appiccicati sulla fronte a causa del sudore. Era evidente che si trattava di uno scienziato, di un rispettabile uomo del suo tempo, forse era stato un padre felice (per quanto pochissimi viaggiatori del tempo avevano famiglia). Forse possedeva delle conoscenze scientifiche di scarso valore per il ventottesimo secolo, oppure forse no. Ma non importava. Come tutti gli altri, sarebbe stato mandato sulla Luna, a vivere quel che restava dei suoi giorni in quelle che erano le terribili, primitive condizioni della Cupola.
«Non trova che la cosa sia un po’ crudele?» - chiese l’altro. «Sono venuto qui senza cattive intenzioni, senza voler fare del male. Semplicemente un osservatore scientifico proveniente dal passato. Il salto temporale, l'ho fatto sulla spinta dalla curiosità. E non mi aspettavo certo che avrei trascorso il resto della vita in prigione.» «Mi dispiace», disse Mahler alzandosi. Aveva deciso di porre fine a quel colloquio, doveva liberarsi di questo viaggiatore, anche perché subito dopo ce n’era un altro in arrivo. C'erano giorni in cui arrivavano a frotte e senza sosta. Questo sembrava uno di quei giorni. Per fortuna che gli efficienti tracciatori meccanici riuscivano a intercettarli tutti. «Ma non potrei continuare a vivere qui sulla Terra, chiuso in questa tuta spaziale?» chiese il viaggiatore, sempre più in preda al panico, ora che vedeva che il suo colloquio con Mahler stava volgendo alla fine. «Così verrei escluso da ogni contatto in qualsiasi momento.». «Per favore, non mi renda ancora più difficile la cosa.» tagliò secco Mahler. «Le ho spiegato per quale motivo dobbiamo essere assolutamente inflessibili al riguardo. Non ci possono essere – non ci devono essere – eccezioni. Sono trascorsi due secoli dall’ultimo episodio di malattia sulla Terra. In tutto questo tempo abbiamo perso la maggior parte degli anticorpi acquisiti nel corso delle precedenti innumerevoli generazioni di virus. Avvicinandomi così tanto a lei, sto rischiando la mia vita, anche malgrado la tuta spaziale che la isola.» Mahler fece un segno alle guardie che aspettavano nel corridoio, apparivano alte e nerborute anche chiuse nel nero involucro che le proteggeva dalle infezioni. Era sempre questo il momento peggiore.
«Ascolti!» disse Mahler, aggrottando la fronte per l’impazienza. «Lei è come una trappola mortale vagante. Probabilmente trasporta abbastanza organismi patogeni in grado di uccidere mezzo mondo. Perfino un raffreddore, un comune raffreddore, oggi eliminerebbe milioni di persone. Negli ultimi due secoli, la resistenza alle malattie è semplicemente sparita; non è più necessaria, dal momento che le abbiamo sconfitte tutte. Ma arrivate voi, viaggiatori del tempo, e vi presentate potenzialmente carichi di ogni e qualsiasi malanno che il mondo aveva in passato. E noi non possiamo rischiare, lasciandovi qui, in queste condizioni.». «Ma io... » «Lo so. Vorrebbe giurare su tutto ciò che le è sacro, sia a lei che a me, che non lascerà mai i confini della sua tuta spaziale. Mi dispiace. Perfino la parola dell’uomo più onorevole, non ha alcun peso a fronte della salvezza della vita di miliardi di abitanti della Terra. Non possiamo correre il rischio di permetterle di restare sulla Terra. Non è giusto, è crudele, è tutto ciò che vuole. Lei non aveva idea che sarebbe andato incontro a qualcosa del genere. Ebbene, mi dispiace per lei. Ma sapeva che quello che avrebbe intrapreso sarebbe stato un viaggio di sola andata per il futuro, e ora deve sottostare a tutto quello che il futuro farà di lei, dal momento che non c’è modo per rimandarla indietro.». Mahler cominciò a rimettere in ordine le scartoffie che aveva sulla sua scrivania, facendolo in un modo che stesse a indicare che erano giunti alla conclusione. «Sono terribilmente spiacente, ma lei deve comprendere il nostro modo di vedere le cose. Siamo spaventati a morte dalla sua presenza qui. Non possiamo permetterle di andarsene a zonzo per la Terra, nemmeno dentro una tuta spaziale. No, per lei c’è solo la Luna. E io devo essere assolutamente inflessibile. Portatelo via!», disse, con un cenno della mano alle guardie, che avanzarono verso il piccolo uomo disponendosi ad accompagnarlo gentilmente fuori dall’ufficio di Mahler.
Sollevato, Mahler sprofondò nella sedia pneumatica, e si spruzzò in gola del laringogel. Questi lunghi discorsi sortivano sempre l'effetto di farlo sentire esausto, lasciandogli la gola arrossata e irritata. Con tutto questo parlare, prima o poi mi beccherò un cancro alla gola, pensò Mahler. E questo comporterà la seccatura di un’operazione. Ma se non lo faccio io questo lavoro, allora lo dovrà fare qualcun altro. Impassibile, Mahler, sentiva le urla di protesta del viaggiatore del tempo. All’inizio, la prima volta in aveva assistito alle inevitabili reazioni frenetiche di un viaggiatore, mentre le guardie lo trascinavano via si era sentito pronto a dare le dimissioni, ma poi, in otto anni si era indurito. Gli avevano assegnato quell’incarico proprio perché era soprattutto un duro. Si trattava di un lavoro che richiedeva un uomo duro. Mentre invece Condrin, il suo predecessore, non era stato quel tipo di uomo che era Mahler, e per questa ragione anche Condrin ora si trovava sulla Luna. Dopo aver diretto il dipartimento per un anno, si era ammorbidito e così aveva lasciato andare un viaggiatore. Il viaggiatore aveva promesso che si sarebbe nascosto nelle aree più remore dell’Antartico. E Condrin, pensando che l’Antartico fosse sicuro come la Luna, lo aveva stupidamente lasciato andare. Quando convocarono Mahler, era appena successo questo. Così, in otto anni Mahler aveva spedito sulla Luna quattromila uomini: il primo era stato quel viaggiatore fuggiasco liberato da Condrin e che era stato intercettato a Buenos Aires, dopo che aveva lasciato una scia di malattie lungo l’emisfero che va dagli Appalachi al protettorato dell’Argentina. Il secondo era stato Condrin. Stava diventando un incarico davvero usurante, pensò Mahler, ma era orgoglioso di ricoprirlo. Per fare quello che stava facendo ci voleva un uomo forte. Si appoggiò allo schienale e attese l’arrivo del prossimo viaggiatore. La porta si aprì scivolando dolcemente mentre il robusto corpo del dottor Fournet - il capo del dipartimento medico - attraversava il raggio fotoelettronico. Mahler alzò lo sguardo. Fournet stava facendo dondolare da una mano un dispositivo temporale. «L’ho preso al nostro ultimo cliente.» disse Fournet. «Stava dicendo al medico che lo esaminava che si trattava di un dispositivo bi-direzionale, così ho pensato di fartelo vedere.». Di colpo, l’attenzione di Mahler. Un dispositivo bi-direzionale? Poco probabile, pensò. Ma, se fosse stato vero, per i viaggiatori poteva significare la fine della terribile prigionia sulla Luna. Solo che, come poteva esistere un dispositivo bi-direzionale? Allungò la mano e lo prese a Fournier. «Sembra un tipo standard del ventiquattresimo secolo.» disse. «Ma osserva quest’altro quadrante extra...» disse Fournier. Mahler guardò e annuì. «Sì, sembra essere davvero un dispositivo bi-direzionale. Ma come possiamo testarlo? E inoltre, la cosa non è molto realistica», disse Mahler. «Perché un dispositivo a doppio senso, dovrebbe improvvisamente apparire dal ventiquattresimo secolo, quando nessun altro viaggiatore ne aveva uno? Nemmeno noi abbiamo i viaggi del tempo nelle due direzioni, e i nostri scienziati non pensano che possa essere possibile. Tuttavia» rifletté «è un bel sogno. Bisogna studiare la cosa un po’ più attentamente. Ma non penso seriamente che funzionerà. Fallo portare qui.» Mentre Fournier faceva segno alle guardie, Mahler gli chiese, «A proposito, qual è il tuo referto medico?». «Dinne una, e lui ce l’ha.» - disse Fournier cupamente - «Detto tra noi, la cosa migliore è spedirlo sulla Luna il prima possibile. Non mi sentirò al sicuro finché non sarà fuori da questo pianeta.» Il corpulento dottore salutò le guardie.
Mahler sorrise. Nel dipartimento, l’eccessiva cautela di Fournier era proverbiale. Anche se un viaggiatore dovesse arrivare completamente sano, Fournier avrebbe probabilmente insistito a dire che aveva qualunque cosa, dall’asma alla lebbra.
Le guardie portarono il viaggiatore nell’ufficio di Mahler. Era un uomo piuttosto alto e giovane. Era difficile vedere chiaramente la sua faccia attraverso l’opaco schermo protettivo della tuta spaziale che tutti i viaggiatori erano costretti ad indossare, ma Mahler poteva arguire che la faccia del giovane viaggiatore del tempo somigliasse molto a quella dura e scarna di Mahler. Ebbe l’impressione che, entrando nell'ufficio, gli occhi del viaggiatore si fossero spalancati per la sorpresa, ma Mahler non ne era sicuro.
«Non mi sarei mai sognato di trovarla qui», disse il viaggiatore. Il trasmettitore della tuta spaziale diffuse la sua voce con un suono cupo ed echeggiante. «Il suo nome è Mahler, vero?».
«Giusto», acconsentì Mahler.
«Attraversare tutti questi anni, e trovare lei. Quando si dice l’improbabilità!»
Mahler lo ignorò, rifiutandosi di accusare la provocazione. Aveva scoperto che, in una conversazione, era buona pratica non permettere a un viaggiatore catturato di avere la meglio. La sua procedura standard era quella di spiegare con fermezza al viaggiatore quali erano i motivi per cui era imperativo che venisse spedito sulla Luna; e poi mandarcelo, il prima possibile.
«Lei dice che questo è un dispositivo temporale per entrambe le direzioni?» chiese Mahler reggendo nella mano quell’attrezzatura apparentemente fragile.
«Proprio così.» - acconsentì l’altro - «Funziona in entrambi i sensi. Se schiacciasse il pulsante, andrebbe di filato indietro al 2360, o giù di lì.»
«Lo ha costruito lei?».
«Io? No, assolutamente.» - disse il viaggiatore - «L’ho trovato. E’ una storia lunga, e non ho il tempo per raccontarla. In effetti, se provassi a raccontarla, renderei le cose dieci volte peggiori di quello che sono ora, se possibile. No, lasciamo perdere, va bene? So di non avere alcuna possibilità con lei, e voglio fare presto.».
«Lei sa, naturalmente, che questo è un mondo senza malattie...» iniziò solennemente Mahler.
«E lei pensa che io ho addosso abbastanza germi di ogni specie da cancellare tutto il mondo. E pertanto, deve essere assolutamente inflessibile con me. Non proverò a questionare con lei. Da che parte per la Luna?»
Assolutamente inflessibile. La frase che Mahler aveva usato così tante volte e che lo riassumeva in maniera così netta. Ridacchiò fra sé e sé; uno dei tecnici più giovani doveva di certo aver imbeccato il viaggiatore sulla procedura solita, e il saltatore si era perciò rassegnato ad andare via pacificamente, senza prendersi la pena di supplicare. Era meglio così. Assolutamente inflessibile. Sì, pensò Mahler, quella frase gli stava a pennello. Stava diventando uno stereotipo nel dipartimento. Forse era l’unico capo dipartimento che non non si era mai ammorbidito, e lasciato andare un viaggiatore. Probabilmente tutti gli altri, schiacciati sotto il peso di orde di curiosi che si riversavano dal passato, alla fine avevano ceduto e avevano corso il rischio. Ma non Mahler, non l’Assolutamente Inflessibile Mahler. Egli conosceva la grande responsabilità che aveva sulle spalle e non aveva alcuna intenzione di venir meno a quello che lui considerava un sacro dovere. Il suo lavoro era trovare i viaggiatori e mandarli via dalla Terra il più velocemente ed efficientemente possibile. Tutti. Era un compito che esigeva un’irriducibile inflessibilità.
«Questo facilita il mio lavoro.» - disse Mahler. «Sono contento di non doverla convincere della necessità del mio compito.»
«Assolutamente.» acconsentì l’altro. «Capisco. Non ci sprecherò nemmeno il fiato. Lei ha dei buoni motivi per quello che sta facendo e niente che io dica potrà cambiarli.».
Si voltò verso le guardie. «Sono pronto. Portatemi via.».
Mahler fece un cenno con la mano e quelli condussero via il viaggiatore. Stupito, Mahler osservò la figura che si allontanava, studiandola finché non riuscì più a vederla.
«Se fossero tutti così...» pensò Mahler. Avrei potuto farmelo piacere. Era un uomo ragionevole; uno dei pochi.
Sapeva di aver perso e non ha tentato di discutere di fronte all’assoluta necessità. Peccato che sia dovuto andare, è il tipo di uomo che di questi tempi mi piacerebbe incontrare più spesso.
Ma non devo provare simpatia, si disse Mahler.
Aveva fatto il suo lavoro così bene per tanto tempo proprio perché era riuscito a reprimere ogni simpatia per gli sfortunati che doveva condannare. Ci fosse stato un altro posto dove mandarli – magari indietro alla loro epoca, preferibilmente – sarebbe stato il primo a spingere per l’abolizione della prigione lunare. Ma in mancanza di un altro posto, faceva il proprio lavoro in modo efficiente ed automatico. Raccolse il dispositivo temporale del viaggiatore e lo esaminò. Un dispositivo bi-direzionale sarebbe stata la soluzione, naturalmente. Appena il viaggiatore arriva, lo rigiri e lo rimandi indietro. Avrebbero afferrato il concetto al volo. Mahler si scoprì a desiderare che fosse così; spesso si chiedeva cosa pensassero di lui i viaggiatori abbandonati sulla Luna. Un dispositivo bi-direzionale poteva cambiare il mondo, la sue implicazioni erano sbalorditive. Con uomini capaci di muoversi facilmente, avanti e indietro nel tempo, passato presente e futuro si fonderebbero in una nuova sconcertante entità. Era impossibile immaginare come sarebbe stato il mondo, con passaggi possibili in entrambe le direzioni. Ma proprio mentre Mahler rigirava tra le mani il dispositivo temporale che aveva confiscato, capì che c’era qualcosa che non andava. Nei cinque secoli trascorsi dallo sviluppo dei viaggi nel tempo, nessuno aveva ancora sviluppato un dispositivo bi-direzionale di cui si sapesse qualcosa. E, cosa più importante, non c’erano resoconti ufficiali di visitatori dal futuro. Presumibilmente, se un dispositivo bi-direzionale fosse esistito, questi visitatori sarebbero stati una cosa normale. Pertanto, il viaggiatore aveva mentito. Pensò Mahler con rammarico. Il dispositivo temporale bi-direzionale era impossibile. Aveva semplicemente fatto uno scherzo a quelli che lo avevano catturato. Questo non poteva essere un dispositivo bi-direzionale, perché il passato non conservava memorie di qualcuno che era tornato indietro. Mahler esaminò il dispositivo. Sopra, c’erano due quadranti: uno era il convenzionale quadrante per i salti in avanti ed un altro indicava il viaggio di ritorno. Chiunque avesse preparato questa bufala, si era dato un gran daffare per congegnarla. Perché?
Possibile che il viaggiatore avesse detto la verità? Mahler avrebbe voluto testare in qualche modo il dispositivo nelle sue mani, c’era sempre una probabilità che potesse funzionare veramente, così non avrebbe più dovuto essere il rigido dispensatore di giustizia. Assolutamente Inflessibile Mahler. Lo osservò attentamente. Come macchina del tempo, era abbastanza grezzo. Usava lo schema distorsivo standard, ma il quadrante era il rozzo modello ad ampio raggio del ventiquattresimo secolo, il sistema di precisione nonio, rifletté Mahler, non sarebbe stato introdotto fino al venticinquesimo secolo. Mahler lo osservò più da vicino per leggere l’etichetta con le istruzioni. METTERE LA MANO SINISTRA QUI, diceva. Lo studiò attentamente. L’ombra di un pensiero gli balenò per la testa, la scacciò con orrore, ma quell'ombra ritornò. Sarebbe stato così semplice. E se…? No. Ma… METTERE LA MANO SINISTRA QUI. Allungò la mano sinistra con esitazione. Solamente un po’… No. METTERE LA MANO SINISTRA QUI. Appoggiò delicatamente la mano sinistra nel posto indicato. Ci fu una piccola scarica elettrica. Tolse immediatamente la mano, e iniziò a rimettere il dispositivo temporale sulla scrivania, quando improvvisamente la scrivania scomparve sotto di lui. L’aria era fetida e sporca. Mahler si chiese cosa fosse successo al condizionatore. Poi si guardò intorno. Imponenti, grotteschi edifici si elevavano fino al cielo. In alto, nere, angoscianti nuvole di fumo. Il fragore di una società industriale. Si trovava al centro di una immensa città, con fiumi di gente che lo sorpassavano ad un ritmo furioso. Erano tutte creature piccole, rachitiche, dallo sguardo torvo, le loro facce tirate e nevrotiche. Era la stessa espressione cupa e spaventata che Mahler aveva visto tante volte sulle facce dei viaggiatori che fuggivano verso quello che loro speravano potesse essere un futuro molto più congeniale. Guardò il dispositivo temporale che stringeva in una mano e capì quello che era successo. Il dispositivo bi-direzionale. Questo significava la fine delle prigioni lunari. Significava una rivoluzione nella civiltà. Ma non aveva più niente da fare in questa epoca da incubo. Allungò la mano per attivare il dispositivo temporale. Inaspettatamente, qualcuno lo spinse da dietro facendolo sobbalzare. Il fiume di gente scorreva rapido, mentre lui si sforzava di recuperare il proprio controllo. Di colpo, una mano si allungò e lo afferrò per la nuca. «Documenti, sporcaccione!» Si girò di scatto per trovarsi faccia a faccia con un brutto ceffo dallo sguardo strabico, in un’uniforme marrone scuro con una fila di bottoni metallici.
«Mi senti? Dove sono i tuoi documenti, maniaco? Parla o ti porto in centrale.»
Mahler si divincolò dalla presa dell’umo e iniziò a farsi strada tra la folla, desiderando niente altro che un momento per avviare il dispositivo temporale e andarsene da quella squallida era infetta. Mentre spingeva le persone per farsi strada, quelli gli gridavano contro rabbiosamente.
«C’è un maniaco.» gridò qualcuno. «Prendetelo!» L’urlo divenne un boato. «Prendetelo! Prendetelo!».
In qualunque posto, in qualunque epoca si trovasse, non era posto da restarci a lungo. Girò a sinistra e corse a perdifiato lungo una stradina laterale, adesso era una vera e propria marea di gente che gli correva dietro gridando selvaggiamente.
«Chiamate l’anticrimine!» Rimbombò una voce profonda. «Lo arresteranno!».
Qualcuno lo raggiunse e, senza guardare, Mahler allungò un braccio all’indietro e lo colpì, forte. Sentì un cupo grugnito di dolore e continuò a correre. Quell’insolita attività fisica lo stava stancando velocemente. Una porta aperta attirò la sua attenzione. Entrò, trovandosi dentro un qualche negozio di elettronica, e chiuse la porta sbattendo. Avevano ancora porte manuali, osservò freddamente una remota parte del suo cervello. Si avvicinò un commesso, «Posso aiutarla, signore? Da questa parte ci sono gli ultimissimi modelli.».
«Lasciami stare.» ansimò Mahler, fissando lo sguardo sul dispositivo temporale. Il commesso lo guardò senza capire, mentre Mahler armeggiava con il piccolo quadrante. Non c’era il sistema venier. Doveva andare per approssimazione e sperare di acchiappare l’anno giusto. Il commesso improvvisamente gridò e iniziò ad agitarsi per motivi che Maher non avrebbe mai capito. Mahler lo scansò e premette selvaggiamente il pulsante. Fu meraviglioso ritornare nell’Appalachia del ventottesimo secolo. C’era poco da meravigliarsi se tanti viaggiatori del tempo venivano qui, rifletté Mahler, mentre aspettava che il suo cuore stressato si calmasse. Tutto sarebbe stato preferibile a quel passato. Cercò lungo quella strada tranquilla una toilette dove poter medicare i graffi e le escoriazioni che si era procurati durante la sua breve sosta nel passato. Difficilmente sarebbero stati in grado di riconoscerlo al dipartimento nella sua presente malandata condizione, con un occhio quasi chiuso, un grande ponfo livido sulla guancia e i suoi abiti ridotti a brandelli. Avvistò una toilette e vi si diresse, fermandosi al suono di un familiare ronzio meccanico. Si guardò intorno e vide uno dei tracciatori meccanici del dipartimento avanzare lentamente verso di lui, immediatamente seguito da due guardie del dipartimento, ricoperte dai loro involucri protettivi. Naturalmente. Era arrivato dal passato e i tracciatori avevano registrato il suo arrivo, come per ogni viaggiatore del tempo. Non ne perdevano uno. Si girò e camminò verso le guardie. Non riconobbe nessuno dei due, ma questo non lo sorprese, il dipartimento era un’organizzazione vasta e ad ampio raggio e lui conosceva solo alcune delle tante guardie che accompagnavano i tracciatori. Fu un gran sollievo vedere il tracciatore; l’uso dei tracciatori era stato stato istituito durante la sua amministrazione, così almeno sapeva di non essere ritornato troppo presto lungo il flusso temporale. «È bello vedervi» gridò alle guardie che si avvicinavano. «Ho avuto un piccolo incidente in ufficio.».
Quelli lo ignorarono e iniziarono a spacchettare metodicamente una tuta spaziale tirata fuori dal baule del tracciatore meccanico. «Lascia perdere le chiacchiere.» disse uno. «Mettiti questa.»
Lui impallidì. «Ma non sono un viaggiatore.» disse. «Un momento, ragazzi. Questo è tutto un errore. Sono Mahler, il capo del dipartimento. Il vostro capo.».
«Non scherzare con noi, amico» disse la guardia più alta, mentre l’altro calava a forza la tuta spaziale sulla testa di Mahler. Con orrore, Mahler capì che non lo riconoscevano.
«Se vieni con noi senza fare storie e lasci che il capo ti spieghi ogni cosa, con calma...» disse la guardia più bassa.
«Ma sono io il capo...» protestò Mahler. «Stavo esaminando un dispositivo temporale bi-direzionale nel mio ufficio e accidentalmente mi sono spedito nel passato. Toglietemi di dosso questa roba e vi mostrerò la mia carta d’identità, questo dovrebbe convincervi.».
«Senti, amico, noi non vogliamo essere convinti di niente. Dillo al capo, se vuoi. Adesso, vieni con noi o ti ci dobbiamo portare di peso?»
Era inutile, decise Mahler, tentare di provare la sua identità a quello sbarbatello di dottore che lo stava visitando nell’ambulatorio del dipartimento. Capì che avrebbe soltanto aggiunto più complicazioni. No, avrebbe aspettato finché non fosse entrato nell’ufficio del capo. Adesso capiva cosa era successo. Evidentemente era arrivato nel suo futuro poco dopo la sua morte. Qualcun altro aveva assunto la direzione del dipartimento e lui, Mahler, era stato dimenticato. Improvvisamente, Mahler si rese conto con sgomento che in quel preciso momento le sue ceneri probabilmente riposavano in un’urna nel crematorio di Appalachia. Una volta arrivato dal capo del dipartimento, avrebbe semplicemente spiegato con calma la sua identità e chiesto il permesso di tornare dieci, venti o trenta anni indietro al tempo a cui apparteneva e dove avrebbe consegnato il dispositivo bi-direzionale alle autorità delegate e ripreso la sua vita dal momento in cui era partito. E quando questo fosse accaduto, i viaggiatori non sarebbero più stati mandati sulla Luna e non ci sarebbe più stato bisogno dell’Assolutamente Inflessibile Mahler. Ma, si rese conto, se ho già fatto tutto questo, perché c’è ancora il dipartimento? Una strana paura iniziò a crescere dentro di lui.
«Si sbrighi a finire quel rapporto.» disse Mahler al medico.
«Non capisco questa fretta.» disse il medico. «A meno che non le piaccia la Luna.»
«Non si preoccupi per me.» - disse Mahler baldanzosamente. «Se le dicessi chi sono, ci penserebbe due volte a...».
«È questo il suo dispositivo temporale?» chiese il medico annoiato, interrompendolo.
«Veramente no. Voglio dire… sì, è questo.» disse Mahler. «E faccia attenzione. È l’unico dispositivo bi-direzionale al mondo.»
«Ma davvero?» disse il medico. «Bi-direzionale, eh?»
«Sì, e se mi porta dal suo capo...»
«Un momento. Voglio mostrarlo al medico capo.»
Dopo pochi minuti, il medico ritornò. «Molto bene, andiamo dal capo, adesso. Le consiglio di non prendersi la pena di discutere, non ce la può fare. Avrebbe dovuto restare da dove è venuto.».
Comparvero due guardie e spintonarono Mahler lungo il familiare corridoio verso il piccolo ufficio vividamente illuminato dove lui aveva trascorso otto anni. Otto anni dall’altra parte della barricata. Mentre si avvicinava alla porta di quello che una volta era stato il suo ufficio, pianificò accuratamente quello che avrebbe detto al suo successore. Avrebbe spiegato l’incidente, spiegato la sua identità come Mahler e chiesto il permesso di usare il dispositivo bi-direzionale per tornare al suo tempo. Probabilmente il capo sarebbe stato agguerrito all’inizio, poi curioso e infine divertito per la catena di eventi che avevano intrappolato Mahler. E, naturalmente, lo avrebbe lasciato andare, dopo essersi scambiati aneddoti sul loro lavoro, lavoro che entrambi svolgevano nello stesso momento ma a distanza di anni. Mahler giurò che non avrebbe più toccato la macchina del tempo, una volta tornato indietro. Avrebbe lasciato ad altri il gravoso incarico di rimandare i viaggiatori alle loro epoche. Attraversò il raggio fotoelettrico. La porta del capo dipartimento si aprì scivolando. Dietro la scrivania sedeva un uomo alto, dall’aspetto vigoroso, magro e duro. Io. Attraverso lo schermo opaco della tuta spaziale in cui era stato infilato, Mahler vide l’uomo dietro la scrivania. Lui stesso. L’Assolutamente Inflessibile Mahler. L’uomo che aveva spedito quattromila uomini sulla Luna, senza eccezione, nel ferreo conseguimento del suo incarico. E se lui è Mahler… Chi sono io? Improvvisamente Mahler capì che il folle cerchio si era chiuso. Ricordò il viaggiatore, quel viaggiatore del tempo dalla voce ferma, profonda, senza paura, che era arrivato affermando di avere un dispositivo bi-direzionale, che si era messo in marcia verso la Luna senza discutere. Adesso Mahler sapeva chi era quel viaggiatore. Ma come era partito quel ciclo? Prima di tutto, da dove arrivava quel dispositivo bi-direzionale? Lui era andato nel passato per portarlo nel presente per portarlo nel passato…. La testa gli girava. Non c’era via d’uscita. Guardò l’uomo dietro la scrivania e iniziò a camminare verso di lui, sentendo crescere intorno a lui un muro di circostanze avverse, mentre lui, frustrato, cercava inutilmente di trovare la sua via di fuga. Era assolutamente inutile discutere. Non con l’Assolutamente Inflessibile Mahler. Sarebbe stato solo fiato sprecato. La ruota sveva completato il suo giro, e lui era praticamente sulla Luna. Guardò l’uomo dietro la scrivania con una nuova strana luce negli occhi. «Non mi sarei mai sognato di trovarla qui.» disse il viaggiatore. Il trasmettitore della tuta spaziale diffuse la sua voce con un suono cupo ed echeggiante.
- Robert Silverberg - Pubblicato sulla Rivista "Fantastic Universe" del Luglio 1956 -
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