Che cos'è l'ideologia di crisi?
- Una rapida occhiata ai meccanismi di elaborazione della crisi tardo-capitalista -
di Tomasz Konicz [***]
«tried to save myself but myself keeps slipping away», da "into the void”, dei Nine Inch Nails
L’ideologia è giustificazione. È l'immagine distorta di una realtà sociale irrazionale, riprodotta quotidianamente dai membri della società, che rappresenta ciò che in ultima analisi non può essere giustificato. Ideologia, vuol dire essere in grado di riconciliare i membri della società con le più grandi contraddizioni e con le assurdità, che il capitalismo produce quotidianamente. Ed è in tal modo, e a partire da essa, che anche le contraddizioni sociali più stridenti e più dolorose, la pauperizzazione di massa e la spensierata crisi climatica del capitalismo - che sta avanzando allegramente a braccetto con l'accelerazione della disgregazione sociale – possono diventare tutte cose che vengono caricate di ciò che finisce per essere un significato intrinseco e immanente al sistema, dotato di una sua logica interna.
Nel contesto ideologicamente deformato di una percezione del mercato, della concorrenza e della produttività, tutte queste distorsioni della crisi si trasformano in quelle che sarebbero solo delle conseguenze dovute a una cattiva condotta - personale e/o collettiva - che viola i sacri comandamenti dell'economia di mercato. Pertanto l'ideologia non è semplicemente un frutto dell'immaginazione, oppure un insieme di menzogne; nei modelli ideologici si possono trovare degli elementi della realtà sociale, che però vengono deformati e incorporati in un contesto apologetico complessivo, il quale esternalizza in modo affidabile quelle che sono tutte le evidenti contraddizioni della formazione sociale capitalistica. L'ideologia è perciò inerente alle condizioni sociali, e non costituisce un "livello separabile" dietro il quale si nasconderebbe qualcosa di completamente diverso; per meglio dire, sono le contraddizioni della socializzazione tardo-capitalista a produrre inevitabilmente l'ideologia.
Di conseguenza, una critica dell'ideologia costituisce anche una critica della società, dal momento che essa riguarda proprio quella "falsa società" che produce a sua volta una coscienza "falsa", ideologicamente distorta. L'ideologia ( com'e tipico del capitalismo) viene prodotta in modo massiccio in un settore economico specificamente responsabile, l'industria culturale, i cui più importanti esponenti hanno anche accumulato una quantità di potere politico senza precedenti. Tuttavia, la consueta questione del "cui bono", ovvero di «chi è che ci guadagna?» dalla produzione di ideologia, non ha alcun senso. L'ideologia è una "coscienza necessariamente falsa" (Marx); è una prigione del pensiero specifica di una formazione sociale in cui le persone sono state degradate a soggetti impotenti di una dinamica del capitale in crisi, e mediata dal mercato. Per quanto tutti i membri della società riproducano quotidianamente il capitale con il proprio lavoro, essi sono allo stesso tempo - a causa della forma di riproduzione del rapporto di capitale attraverso il mercato – esposti, e privi di qualsiasi protezione, alla dinamica del capitale, come di fronte a una specie di forza sociale naturale.
Sono i "mercati" a dominare le persone attraverso i loro inesorabili "vincoli materiali", sebbene i mercati non siano altro che il lavoro degli esseri umani; la somma delle azioni dei soggetti del mercato. In ultima analisi, nel capitalismo l'ideologia cerca di riconciliare le persone con questo bizzarro spettacolo della società, nel quale una dinamica feticistica del capitale - costituitasi "alle spalle" (Marx) dei soggetti del mercato - si pone di fronte a loro come un'entità aliena, una forza naturale e distruttiva; sebbene, come detto, siano gli stessi partecipanti al mercato a operare inconsapevolmente ogni giorno, con la produzione di merci. Pertanto, nel capitalismo l'ideologia non è un'espressione di relazioni di potere personali e dirette, quanto piuttosto il risultato di una regola mediata e sistemica, la regola di una relazione sociale, la relazione di capitale, che si pone di fronte ai singoli - anche ai più potenti - membri della società in quanto potenza ostile e distruttiva. Questa situazione di crescente eteronomia, di una eteronomia quotidiana, è stata rielaborata dall'ideologia tardo-capitalistica e ora è stata plasmata secondo un canone più o meno ristretto di comandamenti e regole pseudo-religiose: rendimento, flessibilità, durezza verso sé stessi e verso gli altri, formazione continua, creatività e simultaneo conformismo, disponibilità al sacrificio, ecc..
In primo luogo, l'ideologia ha bisogno di essere accessibile: essa viene prodotta principalmente per quelle classi sociali che non sono ancora collassate. A proposito della produzione di ideologia nelle democrazie del miracolo economico del dopoguerra, Adorno ha osservato che: «L'ideologia nel vero senso della parola richiede rapporti di potere opachi, mediati e quindi anche attenuati». Secondo Adorno, pertanto, nel momento in cui prevalgono i rapporti di forza diretti non può più esistere ideologia. L'ideologia della crisi è perciò una forma decadente di ideologia, che spesso conduce all'estremismo fascista del centro. In tempi di crisi, la produzione di ideologia subisce quindi una maggiore pressione. Nel momento in cui le gratificazioni materiali scompaiono, ecco che anche i "rapporti di forza attenuati" si trasformano in coercizione diretta ed evidente; come quella che durante la crisi dell’Euro è stata sperimentata dalle società dell'Europa del Sud.
L'ideologia reagisce a questo irrigidimento dei rapporti di forza mediante un irrigidimento ideologico, intensificando in modo estremistico i suoi postulati centrali. Si assiste a un'affermazione esplicita del sistema dato e delle sue contraddizioni crescenti, che non richiede alcun "soft focus" ideologico e che potrebbe essere riassunta nella seguente formula: «Le cose stanno come stanno». Le varianti di questo culto delle cose che stanno come stanno, e che dichiarano le attuali distorsioni della crisi essere per eccellenza una costante antropologica dell'uomo, sono assai diffuse: La vita è dura, il mondo è ingiusto, ci saranno sempre guerre. La barbarie, i soprusi e gli omicidi di massa quotidiani che questo sistema agonizzante sta producendo su scala sempre più ampia costituiscono una vera e propria constatazione. Il rivestimento ideologico comincia a scrostarsi: sì, il sistema è duro e ingiusto ed è necessario imparare a gestirlo, ad adattarsi, a diventare più duri, più brutali.
Il presupposto fondamentale di questa forma di decadenza ideologica - in cui, ad esempio, i massacri da parte delle truppe d'intervento occidentali nelle regioni del Terzo Mondo al collasso vengono legittimati in base al fatto che le guerre vanno di pari passo con i massacri - consiste nell'impossibilità di discutere pubblicamente delle alternative sociali al capitalismo. Attraverso questo imbarbarimento, l'ideologia persegue la propria fine. Se l'accettazione e l'affermazione di questa barbarie appare sempre più diffusa, soprattutto tra le classi medie, allora ecco che non è più necessario giustificare una realtà di crisi barbarica. Il movimento sociale reale che sta alla base di questi processi ideologici di decadenza, corrisponde a una tremenda intensificazione della competizione indotta dalla crisi. Anche se l'esistenza di una crisi sistemica viene spesso negata, da tempo ampi settori, in particolare del ceto medio, hanno reagito a questi processi di erosione del loro strato: i ceti medi reagiscono con una sorta di panico al rallentatore, con un atteggiamento del tipo «si salvi chi può», dove l'intensificazione del comportamento competitivo mira a garantire il proprio status sociale a spese degli altri esclusi dalla società del lavoro capitalista in crisi. Le forme decadenti dell'ideologia della crisi capitalista mirano specificamente a legittimare questa competizione di crisi.
In ultima analisi, alla luce delle cause sistemiche dell'attuale crisi, questa brutale concorrenza di crisi, il tentativo di salvare sé stessi di fronte alle crescenti distorsioni, è destinata a fallire. Nell'attuale crisi, a causa degli enormi aumenti di produttività, quella che è la base e il fondamento del capitale - l'utilizzo del lavoro salariato - sta raggiungendo i suoi limiti interni. E sono proprio tali aumenti di produttività della macchina di valorizzazione globale che stanno alimentando la crisi climatica. Tutto ciò significa che non è soltanto l'ideologia capitalista, ma anche l'identità specifica del capitalista, quella del soggetto borghese competitivo, sta perdendo le proprie fondamenta sociali. Tutti cercano di salvare sé stessi, ma il sé è in via di disintegrazione. In realtà, questa concorrenza di crisi non rappresenta altro che l'intensificazione dei rapporti di concorrenza insiti nel capitalismo. Mentre ogni individuo cerca di salvarsi in quanto soggetto di mercato, l'identità del soggetto è in uno stato di disintegrazione che si manifesta con la disintegrazione dei mercati.
Ciò che rimane è il vuoto di quei gusci dei soggetti bruciati dal collasso della relazione di capitale, un crollo che proseguirà con la guerra di tutti contro tutti, e questo anche se il contesto capitalistico di riferimento in cui tale guerra viene combattuta e intensificata dovesse disintegrarsi. In paesi come Libia, Siria, Messico, Congo e Iraq, questa non è più solo una previsione, bensì è da tempo una barbara realtà. Ed è proprio questo "panico", che si riflette nella maggioranza della gente - che di fronte alla crisi vuol salvare solo sé stessa - ora sta costringendo a un ulteriore imbarbarimento, nel quale alla fine nessuno troverà più alcuna salvezza.
- Tomasz Konicz [***] - Questo testo costituisce l'introduzione all'e-book "Krisenideologie – Wahn und Wirklichkeit spätkapitalistischer Krisenverarbeitung" -
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