L'enigma del denaro, ovvero la relazione tra cappotto e stoffa
L’oggettività del valore delle merci, dunque, si distingue dall’amica di Falstaff, la vedova Quickly, perché: «a man knows not where to have her» [«un uomo non sa da che parte prenderla»]. In diretta antitesi con l’oggettività rozzamente sensibile dei corpi delle merci, nemmeno un atomo di materiale naturale penetra nell’oggettività del valore delle merci stesse. Dunque, potremo voltare e rivoltare una singola merce quanto ci pare e piace, ma come cosa di valore essa rimarrà inafferrabile. Tuttavia, se ricordiamo che le merci posseggono oggettività di valore soltanto in quanto esse sono espressioni di una identica unità sociale, il lavoro umano, e quindi che la loro oggettività di valore è puramente sociale, allora è ovvio pure che tale oggettività può manifestarsi soltanto nel rapporto sociale fra merce e merce. Di fatto, noi siamo partiti dal valore di scambio, ovvero dal rapporto di interscambiabilità delle merci, per poter trovare le tracce del loro valore ivi nascosto. Ora dobbiamo ritornare a questa forma fenomenica del valore. Ognuno sa, anche se non sa nient’altro, che le merci posseggono una forma di valore comune a tutte, la quale contrasta nettamente con le variopinte forme naturali dei loro valori di uso: la forma di denaro. Ora qui si tratta di compiere un’impresa, che non è neppure stata tentata dall’economia borghese, ossia la dimostrazione della genesi di questa forma di denaro, e quindi di seguire lo sviluppo dell’espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua figura più semplice e meno appariscente fino all’abbagliante forma di denaro. Con ciò sarà risolto e scomparirà, allo stesso tempo, anche l’enigma del denaro. La relazione di valore più semplice è, evidentemente, il suo rapporto con un’altra singola merce di specie differente, non importa quale. Per una merce, il rapporto di valore fra due merci fornisce dunque la più semplice espressione di valore. merce A = y merce B ovvero x merce A vale y merce B (20 braccia di tela hanno il valore di 1 abito) (...)
L’arcano di ogni forma di valore risiede in questa forma semplice di valore. La vera e propria difficoltà si trova, dunque, nell’analisi di essa. Nell’espressione semplice di valore, le due merci di genere differente, A e B, – nel nostro esempio tela e abito –, recitano evidentemente due parti differenti. La tela è la merce che esprime il proprio valore in un corpo di merce da essa differente, nell’abito. D’altro canto, la specie di merce abito serve da materiale di questa espressione di valore. La prima merce svolge una parte attiva, la seconda una parte passiva. Il valore della prima merce, che esprime il suo valore in un’altra merce, è rappresentato come valore relativo, ossia quella prima merce si trova in forma relativa di valore. La seconda merce invece, in questo caso l’abito, che serve da materiale per l’espressione di valore, funziona come equivalente, ossia essa si trova in forma di equivalente. La forma relativa di valore e la forma di equivalente sono due momenti correlati e inseparabili della stessa espressione di valore, i quali appartengono l’uno all’altro e si condizionano reciprocamente.Ma, allo stesso tempo, queste due forme sono estremi, cioè poli della stessa espressione di valore, i quali si escludono l’un l’altro, ossia sono opposti. Essi si distribuiscono sempre sulle differenti merci che l’espressione di valore mette in relazione l’una all’altra. P. es., io non posso esprimere in tela il valore della tela. 20 braccia di tela = 20 braccia di tela, non è una espressione di valore. Al contrario, tale equazione esprime il fatto che 20 braccia di tela non sono altro che 20 braccia di tela, ossia una quantità determinata dell’oggetto di uso tela. Il valore della tela può dunque essere espresso soltanto in altra merce, cioè soltanto relativamente. La forma di valore relativa della tela presuppone quindi che una qualsiasi altra merce si trovi in confronto a essa nella forma di equivalente. D’altra parte, questa altra merce –qui l’abito–, che figura come equivalente, non si può trovare contemporaneamente in forma relativa di valore. Non è essa a esprimere il suo valore. Essa si limita a fornire il materiale all’espressione di valore di un’altra merce. È vero che l’espressione 20 braccia di tela = 1 abito, ovvero 20 braccia di tela hanno il valore di 1 abito, implica anche la relazione inversa: 1 abito = 20 braccia di tela, ovvero 1 abito ha il valore di 20 braccia di tela. Ma, per far ciò, io devo per l’appunto invertire l’equivalenza, per poter esprimere relativamente il valore dell’abito e, appena lo faccio, la tela prende il posto dell’abito come equivalente. . Dunque, la stessa merce non può trovarsi simultaneamente nelle due forme nella stessa espressione di valore. Anzi, quelle due forme si escludono polarmente. Ora, che una merce si trovi nella forma relativa di valore o nella forma opposta di equivalente dipende esclusivamente dal posto che essa occupa di volta in volta nell’espressione di valore, cioè dal fatto che essa sia la merce della quale si esprime il valore, oppure la merce nella quale si esprime il valore... Se diciamo che, come valori, le merci sono semplici cristallizzazioni di lavoro umano, l’analisi che ne facciamo le riduce all’astrazione valore, ma non dà a esse alcuna forma di valore differente dalle loro forme naturali. Diversamente, stanno le cose nel rapporto di valore di una merce con l’altra. Qui il carattere di valore della prima spicca e si afferma proprio mediante la sua relazione con la seconda merce...
Nel rapporto di valore con la tela, l’abito figura come qualitativamente uguale a essa, come cosa della stessa natura, perché è un valore. Quindi l’abito figura qui come una cosa nella quale si manifesta valore, ossia come cosa che rappresenta valore nella sua forma fisica tangibile. E l’abito, il corpo della merce abito, è d’altronde soltanto un valore di uso. Un abito esprime tanto poco valore quanto il primo pezzo di tela che capiti fra le mani. Questo prova soltanto che l’abito, all’interno del rapporto di valore con la tela, significa di più che fuori, allo stesso modo che tanti uomini dentro un abito gallonato significano di più che fuori dell’abito. Nella confezione dell’abito è stata spesa effettivamente forza lavorativa umana in forma di sartoria... Da questo punto di vista, l’abito è «depositario di valore», benché questa sua proprietà non fa capolino neppure quando l’abito è tanto logoro da essere quasi trasparente. E, nel rapporto di valore della tela, l’abito conta solo sotto questo aspetto, e quindi come lavoro incorporato, come corpo di valore. Nonostante che si presenti tutto abbottonato, la tela ha riconosciuto in esso l’anima gemella affine al valore. Però, l’abito non può, nei confronti della tela, rappresentare valore senza che, per la tela stessa, il valore assuma simultaneamente la forma di un abito. Così l’individuo A non si può comportare con l’individuo B come di fronte a una maestà, senza che, per A, la maestà assuma simultaneamente la forma corporea di B, e quindi la maestà cambi i tratti del viso, la capigliatura e molto altro ancora, secondo il «Padre della Patria» del momento. Dunque, nel rapporto di valore, in cui l’abito costituisce l’equivalente della merce tela, la forma di abito conta come forma di valore. Il valore della merce tela viene quindi espresso nel corpo della merce abito, il valore di una merce nel valore di uso dell’altra merce. Come valore di uso, la tela è un oggetto materiale sensibilmente differente dall’abito; come valore, è «cosa uguale ad abito» e quindi ha aspetto di abito. Così riceve una forma di valore differente dalla sua forma naturale. Il suo «Wertsein» si manifesta nella sua uguaglianza con l’abito, così come la natura pecorile del cristiano nella sua uguaglianza con l’Agnello di Dio...
Dunque, mediante il rapporto di valore la forma naturale della merce B diventa forma di valore della merce A, ossia il corpo della merce B diventa lo specchio di valore della merce A. La merce A, che si riferisce alla merce B come corpo di valore, come materializzazione di lavoro umano, fa del valore di uso B il materiale della sua propria espressione di valore. Il valore della merce A, così espresso nel valore di uso della merce B, ha la forma del valore relativo...
Abbiamo visto che una merce A (la tela), quando esprime il proprio valore nel valore di uso di una merce B (l’abito) di specie differente, imprime a quest’ultima anche una peculiare forma di valore: la forma di equivalente.
La prima peculiarità della forma di equivalente: il valore di uso diventa forma fenomenica del suo contrario, il valore.
La forma naturale della merce diventa forma di valore. Ma nota bene, questo quid pro quo si verifica per una merce B (abito o grano o ferro, ecc.) soltanto all’interno del rapporto di valore nel quale una qualsiasi altra merce A (tela, ecc.) entra con essa, e soltanto nell’àmbito di questa relazione. Ma, dal momento che nessuna merce può riferirsi a se stessa come equivalente, e quindi neppure rendere la sua propria pelle naturale l’espressione del suo proprio valore, essa si deve riferire ad altra merce come equivalente, ossia deve fare della pelle naturale di un’altra merce la propria forma di valore...
Poiché la forma relativa di valore di una merce, p. es. la tela, esprime la sua esistenza di valore come qualcosa del tutto distinto dal suo corpo e dalle sue proprietà, p. es., come cosa uguale ad abito, questa stessa espressione lascia intuire che in essa si cela un rapporto sociale. Accade l’inverso per la forma di equivalente. Essa consiste proprio nel fatto che un corpo di merce, l’abito – questa cosa così com’è, essa e non altra –, esprime valore; e quindi possiede per sua natura la forma di valore. Va da sé che questo è vero soltanto all’interno del rapporto di valore, nel quale la merce tela è riferita come equivalente alla merce abito. Ma poiché le proprietà di una cosa non sorgono dal suo rapporto con altre cose, anzi si limitano ad agire in tale rapporto, anche l’abito sembra possedere per sua natura la sua forma di equivalente, la sua proprietà di immediata scambiabilità, così come possiede per sua natura la proprietà di esser pesante o di tener caldo. Di qui viene il carattere enigmatico della forma di equivalente, carattere che non colpisce l’occhio borghesemente rozzo dell’economista politico prima che questa forma gli si erga di fronte, fatta e finita, nel denaro. Allora egli cerca di eliminare, a forza di spiegazioni, il carattere mistico dell’oro e dell’argento, surrogando loro di soppiatto merci meno abbaglianti e biascicando con sempre rinnovato compiacimento il catalogo di tutto il volgo di merci che, di volta in volta, ha rappresentato la parte dell’equivalente di merci. E non ha la minima idea che già la più elementare espressione di valore, come 20 braccia di tela = 1 abito, contiene e ci dà la soluzione dell’enigma della forma di equivalente...
Nella forma della sartoria, come nella forma della tessitura, si spende forza di lavoro umana. Quindi l’una e l’altra posseggono la proprietà generale di lavoro umano e quindi in casi determinati, p. es. nella produzione di valore, devono essere considerate soltanto da questo punto di vista. Tutto questo non è misterioso. Ma nell’espressione di valore della merce la cosa è stravolta. P. es., per esprimere che la tessitura, non nella sua forma concreta di tessitura, ma nella sua proprietà generale di lavoro umano, costituisce il valore della tela, le si contrappone, come forma tangibile di realizzazione di lavoro astrattamente umano, la sartoria, il lavoro concreto che produce l’equivalente della tela... Dunque, la seconda peculiarità della forma di equivalente è che il lavoro concreto diventa la forma fenomenica del suo opposto, il lavoro astrattamente umano... Ora, poiché, questo lavoro concreto, la sartoria, conta come semplice espressione di lavoro umano indifferenziato, esso ha la forma dell’uguaglianza con un altro lavoro, col lavoro inerente alla tela, ed è quindi, benché lavoro privato, come il lavoro che produce tutte le altre merci, purtuttavia lavoro in forma immediatamente sociale. Appunto per questo, esso si manifesta in un prodotto che è immediatamente scambiabile con un’altra merce. Dunque, la terza peculiarità della forma di equivalente è che il lavoro privato diventa la forma fenomenica del suo opposto, il lavoro in forma immediatamente sociale... La considerazione attenta dell’espressione di valore della merce A, contenuta nel suo rapporto di valore con la merce B ha mostrato che, all’interno di essa, la forma naturale della merce A conta unicamente come figura del valore di uso, e la forma naturale della merce B unicamente come forma del valore. L’opposizione interna fra valore di uso e valore, racchiusa nella merce, viene dunque rappresentata da un’opposizione esterna, cioè il rapporto fra due merci, nel quale la merce A, il cui valore deve essere espresso, conta immediatamente solo come valore di uso, mentre l’altra merce B, in cui viene espresso valore, conta immediatamente solo come valore di scambio. La forma semplice di valore di una merce è dunque la forma semplice nella quale si manifesta l’opposizione fra valore di uso e valore in essa contenuta... L’espressione di valore di A (la tela) in una qualsiasi merce B (l’abito), dà alla merce A una forma di valore, per la quale essa soltanto come valore viene distinta da se stessa come valore di uso, e quindi si limita a porre la merce A soltanto in un rapporto di scambio con una qualsiasi singola specie di merce B da essa distinta. La sua forma di valore deve di conseguenza rappresentare anche una forma che la pone in una relazione di uguaglianza qualitativa e di proporzionalità quantitativa con tutte le altre merci. Alla forma semplice relativa di valore di una merce corrisponde la forma singola di equivalente di un’altra merce. Così, p. es., l’abito, nell’espressione relativa di valore della tela, possiede soltanto forma di equivalente, ossia forma di immediata scambiabilità in relazione a questa singola specie di merci, alla tela. Tuttavia, la forma singola di valore trapassa da sola in una forma più completa. È vero che, per suo tramite, il valore di una merce A viene espresso solo in una merce di altra specie. Ma di che specie sia questa seconda merce –abito, ferro, grano o altro – è del tutto indifferente. Dunque, a seconda che la merce di partenza A entri in un rapporto di valore con questa o quella specie di merci, nascono differenti espressioni semplici di valore di quell’unica e medesima merce di partenza. Il numero di queste sue possibili espressioni di valore è limitato soltanto dal numero delle specie di merci da essa differenti. Ergo, la sua espressione isolata di valore si trasforma nella serie sempre prolungabile delle sue differenti espressioni semplici di valore... z merce A = u merce B, oppure = v merce C, oppure = w merce D, oppure = x merce E, oppure = ecc. (20 braccia di tela = 1 abito, oppure = 10 libbre di tè, oppure = 40 libbre di caffè, oppure = 1 quarter di grano, oppure = 2 once? di oro, oppure = ½ tonnellata di ferro, oppure = ecc.)...
Il valore di una merce, p. es. la tela, è ora espresso in altri, innumerevoli elementi del mondo delle merci. Ogni altro corpo di merce diventa uno specchio del valore della tela. Qui il valore della tela, per la prima volta, è dunque veramente espresso come valore, cioè come coagulo di lavoro umano indifferenziato, perché, per la prima volta, il lavoro che lo genera è rappresentato ora espressamente come lavoro che equivale a ogni altro lavoro umano, qualunque sia la sua forma naturale, e indipendentemente dal fatto che esso si oggettivi in abiti, in grano, in ferro, ecc., o in oro. In virtù della sua forma di valore, ora la tela è in un rapporto sociale non più soltanto con un’altra singola specie di merce, ma con il mondo delle merci. Come merce, è cittadina di questo mondo. E allo stesso tempo è implicito, nella serie interminabile delle sue espressioni, che il valore della merce è indifferente alla forma particolare del valore di uso nel quale esso si presenta.
(...) La catena, nella quale un’equazione di valore si connette all’altra, può essere continuamente prolungata mediante ogni nuova specie di merci che si presenti alla luce e che fornisca il materiale di una nuova espressione di valore. In secondo luogo, essa costituisce un mosaico variopinto di espressioni di valore divergenti ed eterogenee. E infine, se si esprime – come non può non avvenire –, il valore relativo di ogni merce in questa forma dispiegata, allora la forma relativa di valore di ogni merce è una serie interminabile di espressioni di valore, diversa dalla forma relativa di valore di ogni altra merce...
Poiché qui la forma naturale di ogni singola specie di merce è una forma particolare di equivalente accanto a in numerevoli altre forme di equivalente particolari, esistono, in generale, soltanto forme di equivalente limitate, che si escludono reciprocamente. Allo stesso modo, la specie di lavoro determinato, concreto, utile, contenuto in ogni equivalente particolare di merce, è soltanto una forma fenomenica particolare, e quindi non esauriente, del lavoro umano. È vero che il lavoro umano possiede la sua forma fenomenica completa, ossia totale, nella gamma complessiva di quelle forme fenomeniche particolari, ma così non possiede alcuna forma fenomenica unitaria.
La forma relativa di valore totale, o dispiegata, consiste tuttavia soltanto in una somma di espressioni relative semplici di valore, o equazioni della forma I, come: 20 braccia di tela = 1 abito, 20 braccia di tela = 10 libbre di tè, ecc.
Però, ognuna di queste equazioni contiene inversamente anche l’equazione identica: 1 abito = 20 braccia di tela, 10 libbre di tè = 20 braccia di tela, ecc.
Infatti, se un uomo, il possessore della tela, scambia la sua merce con numerose altre merci, e quindi ne esprime il valore in una serie di altrettante merci, allora anche i molti altri possessori di merci debbono necessariamente scambiare le loro merci con la tela, e quindi debbono esprimere i valori delle loro differenti merci nella stessa terza merce, la tela.
( Karl Marx, da "Il Capitale. critica dell'economia politica". Libro I; Quarta edizione, 1890)
È come se accanto e oltre ai leoni, alle tigri, alle lepri e a tutti gli altri animali reali, che raggruppati costituiscono i differenti generi, le specie, le sottospecie, le famiglie, ecc., del regno animale, esistesse anche l’animale, l’incarnazione individuale di tutto il regno animale. Un siffatto Singolo, che comprende in sé tutte le specie realmente presenti della stessa cosa, è un Universale, come l’animale, Dio, ecc. Quindi, come la tela diviene equivalente singolo per il fatto che un’altra merce si riferiva a essa come alla forma fenomenica del valore, così essa, in quanto forma di manifestazione comune del valore per tutte le merci, diventa l’equivalente generale, corpo di valore generale, materializzazione generale di lavoro umano astratto.
(Karl Marx, da "Il Capitale. critica dell'economia politica". Libro I; Prima edizione, 1867)
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