Leggere le lettere inviate da James Joyce ad Harriet Weaver costituisce un'esperienza trasformativa (cosa abbastanza frequente in questo genere di letture: i dettagli, la rivelazione talvolta improvvisa di una soggettività, e degli aspetti poco esplorati di tale soggettività): seguendo i dettagli sulle malattie e sulle operazioni agli occhi di Joyce ( i nomi dei medici, le descrizioni delle procedure); i momenti in cui Joyce parla di sé come di un uomo noioso e monotono (e simultaneamente anche come lo scrittore responsabile di quella che è un'opera noiosa e monotona, l'Ulisse); i dettagli sui figli, sulla carriera di Giorgio come cantante, sui problemi mentali di Lucia e anche quelli sul suo lavoro di artista delle miniature. A proposito dell'Ulisse, il 20 luglio 1919 Joyce scrive: «Confesso che è un libro estremamente stancante, ma al momento è per me l'unico libro che sono in grado di scrivere. Durante questi ultimi due anni nei quali ho ricevuto le vostre donazioni ebbi sempre il presentimento ( che si è ora rivelato falso) che ogni capitolo del libro, progredendo, mi avrebbe gradualmente alienato la comprensione delle persone che mi stavano aiutando» (Joyce, Lettere a Harriet, 2018, p. 49). Una delle lettere più interessanti, è quella del 17 gennaio 1932, in cui Joyce scrive per ringraziare Harriet delle condoglianze ( il padre di Joyce era morto il 29 dicembre 1931 ). Joyce scrive a proposito del padre: «Ha pensato a me, e nel suo ultimo momento mi ha nominato ad alta voce» (una nota esplicativa aggiunge: «Dite a Jim che è nato alle sei del mattino”, aveva detto John Joyce sul suo letto di morte. James Joyce gli aveva scritto qualche tempo prima chiedendogli l'ora della sua nascita, perché un astrologo stava facendo il suo tema natale.
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