giovedì 11 aprile 2024

Ognuno è malinconico a modo suo…

Sotto il segno di Saturno raccoglie alcuni tra i più brillanti saggi pubblicati da Susan Sontag negli anni Settanta. In quest'affascinante galleria critica di grandi melanconici della letteratura e dell'arte, Sontag delinea con acutezza i tratti febbrili e le apatie, le provocazioni e le risacche, le tenaci ossessioni e i piaceri stravaganti che innervano le opere di alcuni autori chiave della modernità, maestri di sensibilità estetica talmente singolari da non avere allievi: Antonin Artaud, Walter Benjamin, Elias Canetti, Roland Barthes, Paul Goodman, Hans-Jurgen Syberberg. Ognuno di loro è a suo modo sovversivo e inquieto, pungolato dal tempo in dissoluzione e da un appetito insaziabile per le parole, le immagini, le passioni della mente, le trasgressioni del senso comune, le classificazioni eccentriche, le collezioni e i repertori - con un gusto ansioso e liberatorio per l'accumulazione e la decifrazione di libri, figure, memorabilia privati, pensieri e metapensieri. In controluce, questi ritratti di minuziosi, caparbi esploratori della conoscenza e della coscienza appaiono come autoritratti mascherati della stessa Sontag - che, da un punto di vista in questo caso oppositivo, non teme di ritornare sui propri passi come ha fatto spesso nella sua vita, per smontare il fascino camp di Leni Riefenstahl definendolo fascista.

(dal risvolto di copertina di: SUSAN SONTAG, Sotto il segno di Saturno. Traduzione di Paolo Dilonardo. NOTTETEMPO, Pagine 216, €17)

Susan Sontag e la malinconia come metodo
- di Emanuele Trevi -

Un po’ dappertutto è caduta molto in discredito l’arte di raccogliere in un libro una serie di scritti originariamente destinati a giornali e riviste. Queste miscellanee ormai sembrano più destinate a soddisfare la vanità dei loro autori che suscitare l’interesse effettivo dei lettori. Eppure, nell’albo d’oro di questo genere minore figurano alcuni capolavori della prosa moderna, come Musica per camaleonti di Truman Capote o Altre inquisizioni di Jorge Luis Borges (per fare degli esempi italiani, possiamo citare Pesci rossi di Emilio Cecchi, o quei delicati e inimitabili miracoli di stile che sono Fiaba e mistero e Il flauto e il tappeto di Cristina Campo). Forse il segreto dei migliori di questi libri consiste nel fatto che i testi raccolti non sono troppo lontani nel tempo fra loro: in tal modo, privi dell’unità dell’argomento, e sottoposti alla forza centrifuga delle occasioni che li hanno generati, fotografano un’epoca della vita di chi li ha scritti. È questo il caso del bellissimo Sotto il segno di Saturno di Susan Sontag, pubblicato nel 1980 e composto di 6 saggi pubblicati sulla «New York Review of Books» tra il 1972 e il 1980, ai quali si aggiunge un lungo ritratto critico di Antonin Artaud uscito sul «New Yorker» nel 1973, quando Susan Sontag aveva raggiunto i quarant’anni: siamo dunque nella piena maturità artistica e intellettuale di questa scrittrice così originale e sorprendente, irrequieta e profonda figlia del Novecento, che al suo secolo convulso e avventuroso ha fornito sintesi di pensiero e aperture di orizzonti davvero irrinunciabili. Come denuncia il titolo, al di là della varietà dei soggetti trattati, l’argomento centrale del libro è la malinconia. Il terribile pianeta che governa l’esistenza dei malinconici è presente nei titoli di molti libri importanti del secolo scorso, come Nati sotto Saturno di Rudolf e Margot Wittkower (1963), affascinante indagine biografica sui disturbi e le devianze di un grande numero di artisti moderni, Saturno e la melanconia di Raymond Klibansky, Erwin Panofsky e Fritz Saxl (1964), formidabile ricerca all’incrocio tra arte, filosofia e storia della medicina. Difficile che Susan Sontag non conoscesse questi libri, ma bisogna anche ricordare che a metà degli anni Novanta, quando W. G. Sebald pubblicò Gli anelli di Saturno, salutò l’opera con entusiasmo, come un estremo e quasi anacronistico esempio di sublime contemporaneo.

Disegnata questa costellazione, devo però aggiungere che Susan Sontag non mi sembra affatto, a differenza di Sebald, un temperamento saturnino, e forse per questo, in Sotto il segno di Saturno, è così brava a stanare la malinconia degli altri. Agendo come sa fare una vera, affilata mente critica, vale a dire privilegiando gli individui sulle teorie, e le singole opere sulle categorie generali. Ne consegue che il concetto astratto viene efficacemente assorbito dalla singolarità presa in esame: ognuno è malinconico a modo suo. E se Susan Sontag non ha difficoltà ad accettare da Sigmund Freud l’idea che la malinconia discenda dall’incapacità di elaborare il lutto, una cosa è l’amabile fantasma di Walter Benjamin, incapace di distaccarsi dal mondo della sua infanzia, e un’altra è l’odiosa vecchiaia di Leni Riefenstahl, così legata alle mitologie naziste della sua giovinezza di regista e apologeta di Hitler da mantenerle intatte anche quando tenta di rifarsi un’improbabile verginità ideologica tra i Nuba del Sudan (in un mondo così popolato di lupi che perdono il pelo ma non il vizio, bisognerebbe raccomandare la lettura del saggio intitolato Fascino fascista nelle scuole di ogni ordine e grado). Ma quello che più conta, è che la malinconia non è considerata primariamente né una patologia né un destino, ma una forma di conoscenza del mondo, e dunque una specie di metodo, proprio come si può parlare di un metodo scientifico o un metodo storico: «Proprio perché il carattere melanconico è ossessionato dalla morte, i melanconici sono coloro che sanno leggere il mondo». O meglio, aggiunge subito dopo Susan Sontag, correggendo leggermente ma significativamente il tiro, «è il mondo ad arrendersi allo sguardo indagatore dei melanconici, come non fa davanti allo sguardo di nessun altro». Molto significativa, a questo proposito, l’analisi dell’opera di Elias Canetti che chiude Sotto il segno di Saturno, perché in questo grande prosatore e inventore di aforismi memorabili il mondo si rende leggibile proprio a partire da una condizione di guerra perpetua alla morte, di caparbia e quasi irragionevole protesta per la brevità della vita.

Già, la vita: non si può scordare che, nel clima culturale degli anni Settanta, dominati da un’ideologia del Testo talmente radicale da considerare quasi un fastidio e un accidente secondario il fatto che qualcuno li avesse pur scritti, questi benedetti testi, l’atteggiamento di Susan Sontag era molto più libero e quasi, direi, eretico di quanto oggi si possa sospettare. Ancora più che una grande interprete dell’arte e dei comportamenti culturali del suo tempo, in Sotto sul segno di Saturno Susan Sontag si è dimostrata una grande ritrattista, come spesso le accade di essere anche nei suoi preziosi diari. Non che sia interessata ai dettagli biografici nella loro inerte insignificanza: le opere e i processi di conoscenza rimangono sempre al centro del suo racconto, ma non c’è mai stata un’impresa artistica davvero importante che non sia in relazione con l’esistenza da cui emerge. Non si tratta solo dell’evoluzione di un metodo critico, ma del talento di scrittrice della stessa Susan Sontag. E c’è da rimpiangere che abbia sperperato un po’ dei suoi doni nella scrittura di romanzi (lo stesso errore lo fece un’altra grande maestra della forma saggistica, Joan Didion): non era quella la sua strada. Me ne convinco leggendo quello che mi sembra il pezzo più bello tra quelli raccolti in Sotto il segno di Saturno: un ricordo semplicemente perfetto di Roland Barthes, scritto nel 1980 a una settimana dalla morte improvvisa del maestro francese, a causa di un incidente stradale. Sono pagine impagabili nel loro mescolare, al rimpianto per la perdita di un amico e all’ammirazione sincera della sua opera, un velo di ironia che, anziché attenuare la commozione, è come il sigillo supremo dell’amicizia: perché ciò che abbiamo davvero amato e apprezzato spesso ci fa anche sorridere. E così, Susan Sontag riesce a schizzare magistralmente i tratti di un vero narcisista, di uno scrittore «vivace, rapido, denso, acuto», talmente immerso in «un’immensa e complessa impresa di auto-descrizione» da diventare uno «zelante e ingegnoso studioso di sé stesso». Ed è, anche questa, una forma suprema e geniale di malinconia.

- Emanuele Trevi - Pubblicato su La Lettura del 29/10/2023 -

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