martedì 2 aprile 2024

Due filosofe per due foto !!

Gli errori della Arendt
- Kathryn Sophia Belle, "Hannah Arendt e la questione nera", ed. Kimé -
di Sylvie Schmitt

Il libro della filosofa americana Kathryn Sophia Belle si apre con una prefazione scritta da Emmanuel Faye, in cui si raccontano le difficoltà incontrate nel trovare un editore francese. Pubblicato negli Stati Uniti nel 2016, il libro esce, sette anni dopo, in Francia. Secondo Faye, la riluttanza della Francia deriva dal tema del libro, nel quale viene intaccata l'immagine positiva di cui Hannah Arendt gode nel paese. Durante gli anni '50, la filosofa tedesca-americana si oppose all'intervento statale che aboliva le pratiche segregazioniste negli Stati Uniti. Le sue idee sulla questione nera, rispetto agli Stati Uniti, vennero formulate in un suo articolo del 1957 intitolato "Reflections on Little Rock" (ora in, "Responsabilité et juge", ed. Payot, 2003, p. 217). In esso, Arendt esamina gli eventi che ebbero luogo nel 1957 a Little Rock, la capitale dell'Arkansas, allorché nove studenti neri delle scuole superiori della città cercarono di affermare pacificamente, contro il rifiuto delle autorità locali e della comunità il loro diritto a frequentare una scuola pubblica fino ad allora riservata esclusivamente ai bianchi. La storia, nota come "Little Rock Nine", ricevette una copertura mediatica internazionale, in cui venivano espresse diffuse critiche al sistema segregazionista americano. Kathryn Sophia Belle è professoressa di filosofia all'Università della Pennsylvania. La segregazione costituisce la cornice storica del suo libro, ma non bisogna equivocare: l'oggetto è soprattutto l'analisi delle teorie filosofiche mobilitate da Arendt nell'articolo del 1957. Belle, nota che queste teorie, concepite in contesti diversi, vengono applicata alla questione nera così come sono. La tesi arendtiana che viene maggiormente studiata da Belle, costituendo così il filo conduttore del libro, è quella della separazione tra sfera pubblica e sfera privata. Belle risale all'origine di questa teoria in modo da mostrare in cosa consista l'errore della sua applicazione alla questione nera. In altre parole, Arendt rimane prigioniera del suo quadro concettuale, senza mai cercare di rinnovare le proprie idee. E questo consente a Belle di sottolineare le contraddizioni a cui viene costretto il rigido pensiero rigido della Arendt. Infatti applicare la sua distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, è inappropriato per analizzare la questione nera (vedi sotto: I). Piano piano, Belle esce dal quadro dell'articolo del 1957, in modo da poter così affrontare la questione della violenza. Anche in questo caso, l'autrice contesta le teorie della Arendt, e lo fa partire dalla legittimazione di certi casi di violenza, nel mentre che Arendt respinge la violenza per principio. Su questo punto, è più facile comprendere la posizione di Arendt (vedi: II).

I – La distinzione tra sfera pubblica e sfera privata viene estesa alla questione nera
«Riflessioni su Little Rock», nasce dalla confusione in cui cade Arendt, allorché scopre una fotografia pubblicata sui giornali americani nel 1957. La foto [sulla copertina del libro di Belle] mostra una studentessa nera delle superiori, Elisabeth Eckford, che cammina fendendo una folla bianca ostile per poter entrare in una scuola che fino ad allora era riservata ai bianchi. L'immagine è stata scattata a Little Rock. Tuttavia, erroneamente, la Arendt descrive quella che invece è la foto [qui sopra] di un'altra studentessa nera, Dorothy Counts, la quale entra invece in un'altra scuola bianca; questa nella Carolina del Nord. Le due foto sono assai simili, tranne per un fatto: Dorothy è accompagnata da un adulto, mentre Elisabeth invece a quanto pare cammina da sola: Elisabeth è un membro dei "Little Rock Nine". Sulla strada che conduce alla scuola bianca, i "Little Rock Nine" sono stati scherniti, hanno sputato loro addosso, e vengono anche bloccati dalla Guardia Nazionale, convocata dal governatore dell'Arkansas in modo da impedire loro di entrare nella scuola pubblica. In tal modo, il governatore aveva respinto la "decisione Brown", adottata nel 1954 dalla Corte Suprema, la quale che condannava la segregazione nelle scuole americane. La segregazione, legalizzata nel sud degli Stati Uniti nel 1880, era stata confermata per la prima volta dalla Corte Suprema (Plessy v. Fergusson, 18 maggio 1896). Riconoscendo la costituzionalità delle leggi razziali sudiste, la Corte aveva adottato la dottrina "separati ma uguali", secondo la quale neri e bianchi potevano vivere separati e pure avere ancora uguali diritti; ci sarebbero voluti diversi decenni prima che la Corte ribaltasse la sua regola giurisprudenziale. Iniziò proibendo la segregazione nelle scuole pubbliche (Brown I, 17 maggio 1954). E tuttavia, nel Sud, dove le autorità locali mantengono la discriminazione razziale, la sua abolizione de facto stava procedendo assai lentamente. Tre anni dopo, nel momento in cui si verificarono i fatti di Little Rock, la co-educazione mista non veniva ancora applicata. Secondo l'analisi di Belle in "Riflessioni su Little Rock", la Arendt usa una distinzione che poi schematizzerà in maniera più dettagliata nel suo "VITA ACTIVA. La condizione umana" [1958]: praticata ad Atene, questo tipo di distinzione fa della sfera pubblica il luogo esclusivo della vita politica, alla quale così partecipavano quelli che erano uomini liberi. Ma questo possono farlo solo dopo essersi liberati dalle costrizioni dovute alla necessità; queste costrizioni ricadono nella sfera privata, riservata alle donne, alle lavoratrici e alle schiave. Sotto l'influenza della Rivoluzione francese, la nozione di sfera pubblica fu estesa alle questioni sociali come il lavoro o l'alloggio. Fino a invadere il regno della politica, cioè la libertà, cosa che la Arendt disapprova. Per lei, la segregazione dei neri era una questione solo sociale. Ciò significa - secondo la sua linea di pensiero - che, con l'ordinare la de-segregazione, le autorità politiche (compresa la Corte Suprema) interferirebbero in questioni che sono al di fuori della loro giurisdizione. Per questo motivo, contestava il «diritto del governo di dire [a lei] insieme a chi il[suo] figlio debba ricevere questa Istruzione» (in "Riflessioni su Little Rock"). Simultaneamente, Arendt esprime anche la sua feroce opposizione alle leggi segregazioniste: «Abolire questa legislazione riveste una grande e ovvia importanza» (ibid.). Ma appare piuttosto confusa quando mette in atto una distinzione artificiosa tra legge e prassi, ritendendo che se, da una parte, le leggi razziste devono essere abrogate, non è tuttavia possibile che le autorità politiche impongano un cambiamento di comportamento ai cittadini. Solo la società sarebbe in grado di abolire la segregazione, a partire da una graduale evoluzione. Pertanto appare essere d'accordo con la conclusione della Corte Suprema in Brown II (31 maggio 1955), che concedeva che, per raggiungere la desegregazione de facto, ci sarebbe voluto del tempo. Contro l'universalismo ereditato dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese, Arendt promuove qui un approccio comunitario di tipo anglo-americano. Secondo tale approccio, ogni comunità è libera di vivere per conto proprio, senza che le autorità pubbliche possano costringerla ad aprirsi. Come sostiene Arendt, se lei, in quanto ebrea, vuole trascorrere le sue vacanze insieme ad altri ebrei, nessuno deve poterglielo impedire. La segregazione, rappresenterebbe pertanto una conseguenza della libertà di costituire una comunità. Arendt, qui sta evocando, riferendola agli Ebrei americani, una separazione volontaria; cosa che non avviene per i Neri. Questi, vengono segregati in tutti i settori della società: istruzione, alloggio, lavoro, trasporti. Pertanto, Belle ritiene che Arendt non comprenda affatto la questione dei Neri. Allo stesso tempo, le rimprovera anche di una forma di disprezzo per i genitori neri, che secondo lei vorrebbero fare della figlia una "eroina" a tutti i costi: il suo atteggiamento deriva dall'applicare una distinzione fondamentale - ripresa dal suo libro sull'antisemitismo. "Le origini del totalitarismo" [1951] - tra i parvenus e i paria: dove i primi vogliono assimilarsi, i secondi rifiutano o non ci riescono. Nell'articolo del 1957, Arendt arriva a sostenere che i genitori neri avrebbero usato loro figlia come un "ascensore sociale"; cosa che per Belle equivale a trattarla da parvenus. In realtà, la posizione di Arendt è più sfumata: a proposito dei genitori, non usa mai questo termine. Se li avesse ritenuti "parvenu", probabilmente non avrebbe esitato a scriverlo, poiché la Arendt non è una che risparmia la propria suscettibilità. In realtà, la sua concezione del parvenu, inteso da lei come l'ebreo assimilato che tradisce le proprie origini tenendole segrete, anche a costo di non reagire agli attacchi antisemiti (cfr. "Le origini del totalitarismo"), non corrisponde alla situazione dei genitori neri di Little Rock. Al contrario, osserva che i neri, a differenza di altre comunità, a causa del colore della loro pelle non potevano negare la propria origine. Se avesse utilizzato la distinzione paria/parvenus, avrebbe inserito i neri nella prima categoria. Belle, da parte sua, sostiene giustamente che i neri sono effettivamente considerati paria dalla società bianca dominante, notando il silenzio ambiguo di Arendt su questo punto. Piuttosto che la distinzione parvenu/paria, Arendt utilizza un'altra delle sue distinzioni, quella tra visibile e invisibile: il visibile è ciò che appartiene alla sfera politica, l'invisibile alla sfera sociale. Però usa la distinzione in modo sbagliato, dichiarando che il colore della pelle dei neri impedisce loro di essere "invisibili", per cui non potranno mai assimilarsi alla stregua di altre comunità, facendo scomparire la loro specificità. Su questo punto si contraddice dal momento che, come osserva Belle, la visibilità è una questione politica, laddove invece la segregazione è una questione sociale. Per Arendt, la ricerca dell'avanzamento sociale indurrebbe i genitori neri a scaricare sui figli una lotta che spetta loro. Secondo Belle, la filosofa si basa sulla propria esperienza di bambina vittima di discriminazione antisemita in Germania. Sua madre la proteggeva sistematicamente dagli attacchi razzisti degli adulti. Arendt avrebbe conservato il criterio secondo cui i genitori devono proteggere i figli dall'umiliazione degli adulti. Per questo motivo è rimasta scioccata dalla foto di Dorothy, che la mostra mentre subisce una prova dolorosa senza il supporto dei genitori (in realtà è presente anche il padre di Dorothy, che però non compare nella foto). Da qui la conclusione di Arendt, sotto forma di domanda: «Siamo arrivati al punto in cui si chiede ai bambini di cambiare o migliorare il mondo?». Alla fine, la storia ha dato torto alla filosofa. La sentenza Brown I della Corte Suprema è stato il punto di svolta a partire dal quale la segregazione negli Stati Uniti ha cominciato a retrocedere. Per questo Belle ha ragione a rapportare le riflessioni della Arendt con il quadro storico in cui si collocano. Questo discorso viene esteso, in modo più ambiguo, anche al tema della violenza.

II – Il rifiuto della violenza
Nella seconda parte del suo libro, Belle allarga il suo libro, includendo altri testi di Arendt, in particolare, il saggio “Sulla rivoluzione” [1963] e quello "Sulla violenza" [1972]. Osservando come ci sia, nella filosofa, rispetto al corso della storia, una tendenza a minimizzare le imposizioni e le discriminazioni razziali. Arendt esprime una grande ammirazione per la Rivoluzione americana, l'unica a essere stata veramente politica, nel senso che mirava a stabilire una nuova forma di governo, e per di più fondato sulla libertà. Pertanto, la Rivoluzione americana corrisponderebbe perfettamente alla sua concezione idealizzata della politica, così come essa emerge dal modello ateniese. Al contrario, la Rivoluzione francese sarebbe stata un fallimento, poiché essa voleva sopprimere la povertà; un obiettivo che invece non è riuscita a raggiungere. In generale, Arendt analizza la Rivoluzione francese in modo assai critico, a partire dal fatto che essa era più sociale che politica e poiché veicolava proprio quei valori universalistici criticati dalla filosofa. Indubbiamente è presente anche una certa amarezza da parte sua nei confronti della Francia, il Paese in cui si era rifugiata per sfuggire al nazismo, in cui ha vissuto per sette anni e che ha dovuto lasciare in fretta e furia per gli Stati Uniti, quando è sfuggita per un soffio a una deportazione organizzata dalle autorità francesi. Belle critica Arendt accusandola di non aver tenuto conto nella sua analisi della Rivoluzione americana del mantenimento della schiavitù. In effetti, la Arendt colloca la schiavitù greca nella sfera privata. Nondimeno, aveva condannato fermamente il rifiuto dei rivoluzionari di abolire la schiavitù, la quale costituisce «uno dei grandi crimini della storia americana» (in "Riflessioni su Little Rock"). In merito alla questione specifica della razza, le due filosofe partono da diverse prospettive. Belle si concentra sul razzismo anti-nero americano, esistente fin dalla fondazione degli Stati Uniti. Invece, Arendt si concentra sull'antisemitismo, che lei distingue dall'antigiudaismo. L'antigiudaismo è la più antica forma di rifiuto degli ebrei, che coincide con la fioritura del cristianesimo nel Medioevo. L'antisemitismo è invece una categoria di razzismo nella quale gli ebrei vengono definiti appartenenti a un gruppo etnico distinto. Arendt ne data vagamente la comparsa, preferendo concentrarsi soltanto su alcuni eventi cruciali, come l'affare Dreyfus o i pogrom in Russia alla fine del XIX secolo. Vede l'antisemitismo come un fenomeno esclusivamente europeo, che negli Stati Uniti sarebbe inesistente. Per quanto riguarda il razzismo anti-nero, la filosofa non ha sviluppato una riflessione su questo tema.Belle si è anche stupita del fatto che nel suo Saggio sulla rivoluzione Arendt non abbia menzionato la rivoluzione haitiana, nonostante le sembri estremamente importante per la sua dimensione razziale. Ma anche in questo caso il tema è troppo lontano dal pensiero della Arendt. In realtà, le due filosofe non perseguono lo stesso obiettivo: Belle vuole mettere in evidenza la nascita del razzismo anti-nero, mentre Arendt cerca invece di comprendere l'origine del nazismo e della Shoah. Da qui nasce l'affermazione di Arendt, contestata da Belle, secondo cui la Shoah sarebbe stata un evento unico nella storia per dimensioni e sistematicità degli omicidi. Belle, da parte sua, ritiene che ci siano stati altri genocidi, in particolare quelli commessi dagli americani contro gli indiani e dagli europei contro i popoli colonizzati. Mentre Belle ha ragione a sottolineare l'importanza dei massacri che hanno preceduto la Shoah, il suo ampio uso del termine "genocidio" non sempre corrisponde alla definizione giuridica data dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 (art. II), secondo la quale il genocidio consiste in un atto di distruzione intenzionale di tutto o parte di un determinato gruppo di esseri umani. E per quanto orribili possano essere stati i massacri citati da Belle, nessuno di essi può essere paragonato allo sterminio di sei milioni di persone in luoghi appositi, inflitto da alcuni europei ad altri europei. Per quanto sia indubbiamente ingiusto sottovalutare altri crimini di massa, la verità è che i crimini più eclatanti restano quelli perpetrati vicino a casa. Nonostante i suoi paragoni sconcertanti, Belle ci impone di affrontare la crudeltà degli occidentali nei confronti dei popoli oppressi. Tuttavia, è più difficile seguirla quando finisce per giustificare la violenza. Molto spesso Arendt rifiuta la violenza, ma, come sottolinea Belle, si riferisce soprattutto alla violenza subita dagli occidentali. Si riferisce in misura assai minore alla violenza subita dagli africani e dagli amerindi, il che induce Belle a sospettarla di condiscendenza. Può anche darsi che Arendt non fosse interessata a ogni forma di violenza. Ha privilegiato una lettura della storia incentrata sull'Europa e sulla questione ebraica. Tuttavia, possiamo concordare con Belle sul fatto che il suo eurocentrismo a volte sfiora la condiscendenza nei confronti dei popoli non occidentali, come dimostra l'uso - nella sua opera "L'origine del totalitarismo" - del termine detestabile "addomesticamento" degli africani da parte dei boeri. Malgrado il suo rigetto in linea di principio della violenza, Arendt sosteneva la rivolta degli ebrei nel ghetto di Varsavia. Belle non capisce perché non mostri la medesima indulgenza nei confronti del Black Power. La comparazione non costituisce una ragione: se Belle non avesse fatto un parallelo tra le due situazioni, non avremmo certo pensato di confrontarle, tanto sono diverse l'una dall'altra. I bianchi americani non sono nazisti, e le deplorevoli condizioni di vita dei neri, vittime della segregazione e della discriminazione legale, non sono le stesse in cui morivano gli ebrei nel ghetto di Varsavia. La fotografia di Dorothy Counts, che avanza a testa alta in mezzo a una folla rabbiosa, richiama più la figura di Gandhi che non quella del Black Power. L'emozione che proviamo nel vederla ha toccato anche Arendt al punto da farla reagire, in modo sicuramente maldestro. Belle l'ha criticata per aver utilizzato dei vecchi stereotipi europei, ma si potrebbe anche pensare che Hannah Arendt esprimesse un senso di appartenenza alla società americana. Questa intellettuale europea, formata dai migliori accademici tedeschi dell'anteguerra, tra cui Martin Heidegger e Karl Jaspers, si sentì improvvisamente così vicina a un adolescente nera da scrivere: «se fossi una madre nera». Più tardi, nel medesimo articolo, scrive anche «se fossi una madre bianca del Sud». Non è nessuna delle due, e ciò contribuisce alla divaricazione tra la sua interpretazione della situazione e quella di Belle, la quale è molto più vicina alla madre nera dell'adolescente, ma anche a una madre bianca del Sud, di quanto lo sarà mai la Arendt. In nessun punto Kathryn Sophia Belle afferma che Hannah Arendt sia razzista. Cerca piuttosto di dimostrare, e lo fa molto bene, le approssimazioni della filosofa tedesco-americana: la sua disattenzione nel confondere le foto di Elisabeth e di Dorothy, la sua ignoranza sui fatti relativi alla vicenda dei Little Rock Nine, la sua grossolana applicazione di una distinzione tra sfera pubblica e sfera privata. Arendt ha dovuto scrivere di un mondo di cui evidentemente non sapeva nulla? Belle ha la distanza necessaria che occorre per poter analizzare il pensiero di una filosofa nata all'inizio del XX secolo in un mondo che non esiste più? Queste sono solo due delle molte domande che il sorprendente libro di Kathryn Sophia Belle ci invita a considerare.

Sylvie Schmitt  - pubblicato il 18/10/2023 su https://laviedesidees.fr/

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