martedì 31 maggio 2022

Un, due e tre... Kafka !!!

Nel 1969, Elias Canetti pubblica "L'altro processo", il suo libro sulle lettere di Kafka a Felice; nel 2005, Ricardo Piglia pubblica una raccolta di saggi dedicati alla lettura -  "L'ultimo lettore" - uno dei quali riguarda proprio Kafka e il suo rapporto con Felice. Canetti e Piglia insistono, da prospettive diverse (e quindi complementari), sull'esasperante consapevolezza che Kafka aveva della materialità del proprio linguaggio/letteratura: come avviene, ad esempio, mediante il passaggio dalla lettera alla cartolina postale, o dalla scrittura manuale alla scrittura meccanica (dalla penna stilografica alla macchina da scrivere); cosa che trasforma le idee, le sensazioni, le percezioni che un soggetto ha di sé e del mondo circostante (e anche, soprattutto, del mondo possibile, vale a dire, di ciò che viene proiettato, immaginato e desiderato a partire dalla disposizione delle parole sulla pagina). Del resto, in tutto Kafka la narrazione è costellata di emissari, di copisti, di ambasciatori, di entità che vengono investite della responsabilità di dar conto di un discorso (sia attraverso le conversazioni e le conferenze ma anche nell'offerta del corpo stesso, come avviene nella Colonia Penale).

Ne "Le Città invisibili" (1972), Calvino fa di Marco Polo una sorta di punto di attraversamento delle informazioni del mondo al cospetto del sovrano - il viaggiatore è un punto allo stesso tempo immobile e mutevole, egli sta davanti al sovrano come se fosse una sorta di incarnazione di quello che è un «Impero multiplo e disperso» (nel libro che leggiamo, egli registra non tanto ciò che effettivamente vede, ma piuttosto quello che il desiderio del sovrano organizza  e ricostruisce nella sua mente; il fantasma del desiderio del sovrano è ciò che rende possibile l'opera di Marco Polo, così come il desiderio inaccessibile di Felice - o di Milena - rende possibile l'opera di Kafka).

In un romanzo del 1956, di Ignazio Silone, "Il segreto di Luca", il rapporto tra la costruzione della soggettività e l'infrastruttura comunicazionale viene reso nella maniera seguente: un uomo torna nella sua città natale dopo aver passato 40 anni in prigione, per incontrare, finalmente, l'uomo che, da bambino, scriveva le lettere che lui stesso riceveva poi in prigione (la madre del detenuto, analfabeta, lavorava in casa di quel ragazzo al quale chiedeva aiuto per leggere le lettere del figlio; e per poi scrivere le risposte). È la scrittura del ragazzo a dare forma alle emozioni della madre; è la voce del ragazzo a incarnare/rappresentare/aggiornare virtualmente le emozioni del prigioniero (il ragazzo costituisce un punto di attraversamento postale, un intermediario che non può riuscire a comprendere con precisione né i sentimenti della madre né quelli del figlio). Il ragazzo legge, scrive, registra nella memoria e spedisce; tutta questa dinamica rimane archiviata dentro di lui per venire rivisitata dopo decenni, quando finalmente incontra («Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.»; 1 Corinzi 13:12) Luca, il prigioniero che ora è libero, l'essere di carta che ora si trasfigura in un essere ora in carne e ossa e voce. 

fonte: Um túnel no fim da luz

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