Anticapitalismo romantico e antisemitismo di sinistra
- di Gabriel Carvalho -
Per tutto il periodo medievale, in Europa, gli ebrei hanno subito un lungo processo di persecuzione, discriminazione e sterminio. Perseguitati al tempo delle Crociate e dell'Inquisizione, isolati nei ghetti, vittime di pogrom, gli ebrei sono stati costituiti , fino a essere considerati come se fossero una sorta di grande «Altro», rappresentati come degli esseri stranieri, come degli invasori: il negativo di quella che era l'identità europea così come era stata costruita sotto la bandiera del cristianesimo. Questo processo di persecuzione si basava su tutta una serie di motivazioni cospiratorie che venivano alimentate dalla Chiesa cattolica, in particolare si fondava sulla teoria cospiratoria del deicidio (l'omicidio di Dio), secondo la quale gli ebrei sarebbero stati gli assassini di Cristo. Oltretutto, si diceva che gli ebrei rapissero i bambini cristiani per eseguire dei rituali con il loro sangue; tipo, ad esempio, utilizzare il sangue per fare il pane azzimo. Agli ebrei veniva attribuita una sorta di responsabilità diabolica per tutte le sventure che si abbattevano sull'Europa, come la peste nera, la cui colpa veniva imputata agli ebrei, accusati di aver avvelenato l'acqua dei pozzi. Ovviamente, tutte queste accuse non hanno alcun fondamento nella realtà. Ma una narrazione complottista non ne ha alcun bisogno, dal momento che non si basa su dei soggetti reali a cui attribuisce il male, bensì su un «Altro» immaginario, assolutamente onnipotente e del tutto malvagio. Il ponte che collega l'antisemitismo medievale a quello moderno, tuttavia, consiste nell'attribuzione del peccato di usura: un'eresia per i cristiani. In questo modello sociale, una tale attività veniva delegata e riservata agli ebrei (e non agli ebrei nel loro complesso, ma piuttosto a certi ebrei, come è opportuno precisare, dal momento che la maggior parte degli ebrei era povera, come lo era il resto della plebe europea). Essi prestavano denaro ai principi, facendo loro pagare degli interessi, facendo di questo un commercio. Sulla base di questo piccolo pezzo di verità decontestualizzata, si è convenuto, a partire da una narrazione antisemita, di attribuire l'origine del capitalismo agli ebrei. E tale racconto continua a essere diffuso anche da delle persone istruite che dovrebbero avere maggior discernimento e rigore nell'analisi della storia. Perciò, come è nato l'antisemitismo moderno?
Nel corso del processo di consolidamento del capitalismo, c'è stata una concomitanza tra il processo di espansione della rivoluzione industriale e il processo di emancipazione politica degli ebrei in Europa. Contemporaneamente al grande processo di spostamento dei contadini verso le aree urbane- spinti dal mutamento del loro vecchio modo di vita rurale e artigianale, che andava verso un nuovo regime di lavoro salariato capitalista e industriale - gli ebrei conquistarono la nazionalità e il suffragio. In seguito ai processi dovuti alle rivoluzioni borghesi, in particolare dopo la Rivoluzione francese, vennero istituiti i primi Stati nazionali d'Europa, le prime repubbliche borghesi, e in essi si ebbe il primo soffio di libertà civile per gli ebrei.
Il fatto che gli ebrei si siano emancipati politicamente, e abbiano prosperato come comunità all'interno delle nazioni dell'Europa occidentale, proprio mentre si sviluppavano l'universalizzazione del lavoro salariato e la grande accumulazione di capitale è solamente una mera coincidenza storica. Il produrli e perpetuarli risiede nella natura contraddittoria stessa della dinamica del capitalismo. Ma per un'Europa che è stata fondata a partire da una tradizione millenaria di antisemitismo, questo rapporto contraddittorio non era tuttavia chiaro. È evidente che in una cultura che per secoli e secoli ha attribuito le proprie crisi agli ebrei, il conto da pagare per i traumi della nascente modernità sarebbe stato addebitato al suo principale «Altro» storico. Ed è in questo modo che è nato l'antisemitismo moderno.
Alla paranoica e delirante narrazione dell'antisemitismo, ereditata dalla tradizione medievale, si aggiungeva ora quello che era il disagio per i nuovi tempi e per le nuove relazioni lavorative create dal capitalismo; quello strano metabolismo sociale, astratto e spietato, che stava trascinando con sé ogni cosa, e che quindi alla fine non sarebbe stato poi così diverso rispetto ai tradizionali modi di vita della vecchia Europa feudale. Questo disagio e questo malessere dovevano essere espiati da un soggetto storico. Nella mentalità complottista dell'antisemitismo europeo, sarebbe stato sufficiente il fatto che gli ebrei avessero ottenuto i diritti politici, e fossero così diventati cittadini come tutti gli altri europei, perché le cose si mettessero male per loro. Quindi, non potevano fare altro che situarsi all'origine del processo di distruzione del loro vecchio mondo mistico-religioso, pieno di certezze cristallizzate, ora sostituito da questo nuovo modo di vivere caotico, privo di Dio e fantasmagorico.
Serve notare, come tutte le caratteristiche attribuite agli ebrei nella modernità, sono caratteristiche del capitalismo stesso: il suo essere astratto, senza radici, che attraversa tutte le relazioni sociali, con fini nascosti e con una logica irrazionale di profitto infinito. La tesi dell'ebreo senza nazione, il cospiratore che muove i fili dietro le quinte, non è altro che la proiezione - su quello che per l'Europa è un vecchio capro espiatorio - di tutto ciò che nel capitalismo è strano e contraddittorio. Ed è proprio questa mentalità, quella che, in misura maggiore o minore, nel pensiero di alcuni settori della sinistra rivoluzionaria - in assenza di un'analisi materialista coerente e di una lettura rigorosa dei fatti storici - si trasforma in un'adesione alla visione del mondo antisemita. Solo che questo processo non avviene più attraverso le motivazioni mistico-religiose del passato medievale. Ad animare l'antisemitismo di sinistra, non è la tesi sul deicidio, o quella a proposito dei libelli di sangue, o quell'altra sui pozzi avvelenati. Ma la vecchia falsa correlazione tra ebrei e denaro. E il denaro è un aspetto centrale dell'antisemitismo di sinistra, proprio perché esso è la sfera più strana, astratta e irrazionale del circuito del capitale (produzione-circolazione-accumulazione). Nello scambio di merci, il denaro, la moneta, è l'equivalente universale, tanto nel calcolo del prezzo dei fattori produttivi, quanto in quello dei prodotti finiti o dei salari. Ma il denaro assume anche una forma di capitale fittizio in quella che è la sua funzione di capitale fruttifero, erroneamente chiamato «capitale finanziario». È questo il suo processo più strano, il più fantasmagorico, quello che è più «senza radici». Ogni analogia, che viene fatta tra gli attributi del denaro e le caratteristiche attribuite agli ebrei dagli antisemiti, non è una semplice coincidenza. Nello spirito dell'antisemitismo, gli ebrei vengono concepiti e sono rappresentati come la personificazione del denaro. È naturale che in un contesto politico in cui la critica al capitalismo si concentrava solo sulla sua sfera più astratta, gli ebrei venissero accusati di essere la causa di tutti i mali del capitalismo. Questa mentalità si è impressa nel pensiero di vari pensatori socialisti, in particolare in quello del teorico anarchico francese Proudhon, al quale Marx aveva risposto nella sua opera "La miseria della filosofia". Marx aveva già dimostrato in cosa consisteva l'assurdità delle idee di Proudhon, il quale riteneva che potesse esistere un'economia di produzione di merci purificata dalla sua caratteristica malefica, il denaro. Non è una semplice coincidenza che Proudhon, nelle sue glosse in risposta alla critica di Marx, cominci parlando prima in maniera cordiale, per poi, successivamente allorché Marx ha già demolito la sua utopia di una merce senza denaro, sbraiti e inveisca, schiumando antisemitismo e definendo il giovane Marx una «tenia del socialismo», un «maledetto ebreo». Per Proudhon, gli ebrei sono dei «nemici della razza umana». E come lui, sono stati diversi i teorici socialisti che avevano l'antisemitismo impresso nel loro pensiero, che si esprimeva nella forma del tentativo di esorcizzare, dal «buon capitalismo» concreto e produttivo, il demone astratto del denaro, emancipandolo dalle sue contraddizioni. Anche Silvio Gesell, Helmut Creutz, Rudolf Steiner, Gottfried Feder e Dieter Suhr - solo per citarne alcuni - erano sostenitori della merce senza denaro. E naturalmente, erano tutti anche, più o meno, antisemiti. Dai tradizionali stereotipi antisemiti riprodotti da Gesell, alla collaborazione con il regime nazista di Gottfried Feder, mentore economico di Adolf Hitler; nella sua versione moderna, l'anticapitalismo romantico ha animato l'ideologia antisemita. In definitiva, In cosa consiste quello che io definisco l'anticapitalismo romantico? Questa forma di resistenza reazionaria al capitalismo non appare caratterizzata da una difesa rivoluzionaria del superamento del capitalismo verso un orizzonte socialista, sia esso comunista o anarchico. No, l'anticapitalismo romantico è la nostalgia urlata di un passato mitologico, precapitalistico, nel quale le relazioni materiali non erano disturbate dalla logica perniciosa dell'accumulazione capitalistica e dalle sue massime espressioni: il capitale fruttifero portatore di interessi e il denaro.
In altre parole, l'anticapitalista romantico non vuole una società più egualitaria, non vuole il superamento del capitalismo, della società di classe, del dominio statale. Al contrario, questa reazione romantica è un atto di ribellione aristocratica contro la modernità capitalista, per riportare la società a un glorioso e idilliaco passato comunitario. Questo anticapitalismo romantico si manifesta nel socialismo di Proudhon, nell'ideologia nazista e, per citare un caso brasiliano, nell'ideologia fondamentalista di Plínio Salgado. Non sorprende affatto che uno dei suoi principali sostenitori, Gustavo Barroso, sia un virulento antisemita, responsabile dell'introduzione dei Protocolli dei Savi di Sion in Brasile. Come ha giustamente sottolineato Moishe Postone, lo sterminio nazista è stato un tentativo disperato di spazzare via le contraddizioni del capitalismo attraverso il genocidio. Gli ebrei erano la personificazione del capitalismo speculativo e «parassitario» e dovevano essere sterminati, lasciando dietro di sé solamente dei valori d'uso sotto forma di vestiti, oro, capelli, denti e sapone. L'olocausto è stato un sacrificio demoniaco e infame, perpetrato nel tentativo di esorcizzare lo spirito del capitalismo dalle sue stesse contraddizioni e fantasmagorie. Ma questo anticapitalismo romantico non è stato solo limitato al periodo tra il XIX e la metà del XX secolo, quando l'ideologia nazista è stata sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Al contrario, come ogni ideologia reazionaria, l'antisemitismo si scatena in tempi di crisi. È stato così nel XIX secolo, è stato così durante l'epoca nazista e oggi, in un contesto di crisi strutturale del capitalismo, l'ideologia antisemita viene chiamata a offrire una facile spiegazione ai problemi della società delle merci. Da destra a sinistra, questa ideologia si manifesta sotto forma di un pensiero complottistico circa il funzionamento del capitalismo e sulla logica delle sue crisi. Se la destra crea una pletora di teorie della cospirazione, dal «marxismo culturale» al globalismo, agli Illuminati, a QAnon e ad altre sciocchezze, anche la sinistra ha la sua parte di deliri paranoici. L'insistenza nel criticare il capitalismo solo nella sua espressione finanziaria, la costante correlazione tra ebrei e banchieri, l'uomo di paglia George Soros, il ricorso al concetto di «lobby sionista», sono tutti altrettanti modi di sinistra per non cogliere la vera radice del problema. Il fatto è che - così come i vecchi teorici che difendevano le meraviglie delle merci contro i mali del denaro - molti esponenti della sinistra scivolano nella difesa di un presunto buon «capitale produttivo» da contrapporre a un cattivo «capitale finanziario». E a partire da questo punto di vista, diventa assai facile saltare a delle conclusioni antisemite. Tutti coloro che fanno una critica unilaterale al denaro sono antisemiti? Ovviamente no. Ma è questa critica unilaterale che rappresenta il cuore dell'anticapitalismo romantico, il quale, a sua volta, anima l'antisemitismo moderno. Se la sinistra vuole allontanarsi dalla strada dell'antisemitismo e, così facendo, realizzare una critica coerente e conseguente alla logica del capitalismo del nostro tempo, deve abbandonare la falsa dicotomia tra «capitale produttivo» buono e «capitale finanziario» cattivo. Non esiste un capitalismo industriale «concreto» senza che ci sia una sua controparte di capitalismo finanziario «astratto». Questi due aspetti si completano a vicenda, e producono quelle contraddizioni del capitalismo che non possono essere risolte nella logica dell'economia di mercato. Per sfuggire alla trappola dell'anticapitalismo romantico e dell'antisemitismo, la sinistra deve abbandonare completamente la sua apologia del capitale, cominciare ad ascoltare di più gli ebrei concreti, vivi, realmente esistenti, e abbandonare l'ebreo immaginario. Questo processo, tuttavia - per una militanza storicamente costruita sulla cancellazione degli ebrei e della loro identità - richiede uno sforzo doloroso e traumatico. Ma la storia non si costruisce senza traumi, e non si abbandonano i propri fantasmi senza lasciarsi dietro, come una vecchia pelle morta, le risposte facili e comode dell'antisemitismo, il razzismo più antico del mondo.
- Gabriel Carvalho - 19/5/2022 -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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