« La cosiddetta "globalizzazione" - di certo lo slogan di maggior successo degli anni '90 - definisce sicuramente quello che sembra un processo reale a livello dell’apparenza, ma che tuttavia continua a essere un termine improprio, nella misura in cui pretende di descrivere generalmente quello che invece è solo un mero cambiamento strutturale di un "eterno capitalismo", nel momento in cui, nella realtà, la crisi categoriale del concetto di Nazione distrugge perfino il quadro stesso della modernizzazione. [...] Il "paradigma estremamente produttivo" della terza rivoluzione industriale, in effetti porta al "cosmopolitismo dell'economia"; ma lo fa unicamente nei confronti della sola economia, o più precisamente di una certa parte dell'economia: quella che costituisce una forma delle Totalità che è ormai in disuso. Il cambiamento che si verifica, non è il proseguimento di una tendenza secolare, ma consiste piuttosto in una rottura strutturale. Perciò, quello cui assistiamo non è un semplice ampliamento del commercio internazionale sul mercato mondiale - e neppure un semplice aumento quantitativo delle esportazioni di capitale tra le diverse economie nazionali – bensì stiamo assistendo a una dissoluzione di queste economie nazionali. In altre parole, il centro economico del moderno dispositivo della "Nazione" viene spazzato via dal capitalismo in crisi. E così, in un tale contesto, da un lato, la globalizzazione - in maniera analoga al pensionamento dello Stato o alla virtualizzazione dell'economia messa in atto dal capitalismo finanziario (e parallelamente a tutto questo) – è un prodotto diretto della terza rivoluzione industriale e della sua "eliminazione degli uomini"; ma, dall'altro lato, quei tre processi - consistenti nel pensionamento dello Stato, nella virtualizzazione e nella globalizzazione - si alimentano l'un l'altro e si rafforzano a vicenda, nella misura in cui l'economia reale, anche da questo punto di vista, non è niente più che un'appendice delle dinamiche speculative dei mercati finanziari globalizzati. [...]
La globalizzazione è solamente un'altra conseguenza logica dei processi di disoccupazione strutturale di massa e di deregolamentazione statale, così come sono stati innescati dalla terza rivoluzione industriale. E a questo livello di globalizzazione industriale e manageriale, si aggiunge e si sovrappone un secondo livello di globalizzazione del capitalismo finanziario, che poi è quello che determina il vero assetto. Dal momento che la virtualizzazione dell'accumulazione di capitale, a causa della mancanza di un'ulteriore sostanza lavorativa redditizia, ha rovesciato su scala globale la relazione tra i flussi di merci e i flussi finanziari, ne deriva che ora i movimenti finanziari globali non costituiscono più l'espressione monetaria di un corrispondente flusso di merci e di servizi, ma sono esattamente il contrario: i flussi di merci reali (e quindi la riproduzione materiale dell'umanità) non sono ormai altro che un'espressione - se non addirittura un prodotto di scarto - della "accumulazione fantasma", resasi autonoma, del capitale finanziario speculativo. Qui, il fine in sé del capitalismo si manifesta nella sua forma più pura, ma simultaneamente, allo stesso tempo, anche nella forma dell'irrealtà che sembra dominare la vita reale, in conseguenza del fatto che nei centri occidentali il "Crack" non ha ancora avuto luogo. L'accumulazione fantasma simulata dal capitale speculativo, non regola soltanto i flussi di merci secondo quelle che sono le loro esigenze fantasma; ma è logicamente anche il centro della globalizzazione, visto che può essere direttamente globale anche in un senso assai più ampio rispetto alla produzione reale di merci. [...]
Quest'ultima forma di "modernizzazione" è simultaneamente, sia l'auto-dissoluzione che l'auto-distruzione della modernità, in quanto essa è già sotto molti aspetti una disumanizzazione; vale a dire che secondo quelli che sono gli standard di civiltà, si trova a essere in ritardo, e indietro, rispetto alle società arcaiche. Pertanto, la globalizzazione non è un qualcosa che possa essere ancora una volta rivendicata e recuperata da una critica anticapitalista della società come se anche stavolta si trattasse di una qualche "eredità del progresso"; ma, al contrario, smentisce la solita vecchia costruzione marxista rimasta intrappolata nella filosofia borghese dell'Illuminismo. Nella globalizzazione, il capitalismo non entra in una nuova fase di sviluppo, ma conduce e trascina una vita fittizia ben al di là di quello che è il suo limite vitale; un po' come fa Valdemar nel racconto di Edgar Allan Poe, allorché, sul punto di morire, viene ipnotizzato e in tal modo mantenuto a lungo sul crinale del confine tra la vita e la morte, fino a quando, una volta svegliato dal suo sonno ipnotico, subito comincia a decomporsi in una massa informe di carne».
(da Robert Kurz, "Schwarzbuch Kapitalismus" (1999), Eichborn, S. 749-757.
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